Apertura negativa stamane delle piazze asiatiche e ieri male per Wall Street, che ha chiuso con meno 4 per cento. Ancora peggio del previsto (-6) per Pizza Affari, con notizie di scricchiolamento anche per la Francia. Prima notte di quiete a Londra, ma con disordini che divampano in tutta l’Inghilterra e tre giovani morti a Birminghan, travolti e uccisi mentre tentavano di impedire saccheggi. Agosto è stato spesso un mesde maledetto, ci ricorda “il Fatto Quotidiano”, epicentro di tragiche scosse non solo economiche, a partire di 18 minuti col quale Richard Nixon, il 15 agosto del ’71, annunciava la sospensione della convertibilità del dollaro con l’oro, per giungere al Ferragosto del 1998, con la crisi russa che seguiva quella asiatica e sudamericana, producendo una delle famigerate crisi finanziarie che nel corso degli ultimi vent’anni si sono intensificate a dismisura. “Tutto precipita” ha detto ieri in apertura d’incontro fra governo e parti sociali Gianni Letta, tradendo la preoccupazione che attraversa questi difficili momenti di destabilizzazione economica e sociale, con borse sempre più in nero in tutto il mondo e venti di rivolta anche nel cuore dell’Europa, nella democratica Inghilterra, che oggi sembra divenuta non meno inquieta dei Paesi del Maghreb. Tutto precipita e lo fa velocemente, senza che vi siano strategie di contenimento, con una velocità crescente che angoscia ed inquieta. Il frastuono che arriva dai mercati in caduta libera e dall’area euro assediata da ogni lato, echeggia minacciosamente dietro le porte chiuse di Palazzo Chigi e cancella, in un nanosecondo, anche la proverbiale prudenza di Gianni Letta. Tanto che anche Laura Cesaretti del Giornale non può non notare che nel duro monito lettiano echeggia la preoccupazione del Quirinale, angustiato dall’idea che la maggioranza si avviti nei veti incrociati tra Lega e Pdl, tra fautori della patrimoniale e suoi avversari e la stesura del decreto rallenti. Mentre “se passano altri due giorni di questo terremoto dei mercati, si rischia di dover fare davvero interventi socialmente pesantissimi”, ha vaticinato Letta. In effetti è questo il succo inquietante di un incontro per il resto inutile, che non ha portato a niente e a scontentato completamente gli interlocutori. Letta avrebbe detto che il governo sa che servono scelte rapide e coerenti. In questi cinque giorni tutto è cambiato, tutto è precipitato, avrebbe detto il sottosegretario, sottolineando come la realtà sia in così rapida e negativa evoluzione. Ma poi, nessuno dei presenti ha formulato ipotesi e dato concretezza alle scelte necessarie, in poco tempo, per raggranellare i 17 miliardi che la Ue ci chiede di risparmiare immediatamente. “L’anticipazione della manovra richiesta dalla Bce ci impone di trovare più risorse: nel trovarle, serve però più equità per poter garantire la coesione sociale del Paese – ha detto il segretario della Cgil Susanna Camusso, aggiungendo però un “no ad interventi che guardino alle pensioni, ai redditi da lavoro dipendente, alla sanità e all’assistenza”. Per la Cgil, invece, “bisogna chiedere di più a chi non ha dato intervenendo con una tassazione significativa sui grandi patrimoni, sull’evasione fiscale e sui costi della politica”.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, “ribadiamo che il tema sta nella disponibilità delle parti”. Alla fine dell’inutile incontro ha preso la parola di fronte ai giornalisti Emma Marcegaglia, nominata portavoce delle parti sociali, la quale ha detto: “Vista la situazione di urgenza è bene che il governo vari il 16 o il 18 agosto il decreto sulla finanza pubblica. E oltre alle misure, vogliamo vedere anche tagli alla spesa pubblica e i provvedimenti sulla tracciabilità dei contanti, per rafforzare la lotta contro l’evasione fiscale – ha detto il presidente di Confindustria – Credo sia giusto che in questo momento di emergenza per il Paese chi ha di più possa dare un po’ di più», ma ha escluso l’ipotesi di ricorrere alla tassa patrimoniale. “Occorre lavorare su crescita, liberalizzazioni e privatizzazioni. Sul tema del lavoro ribadisco l’autonomia delle parti sociali”. Nell’incontro di ieri, con il solo Berlusconi a elargire sorrisi e ottimismo, il governo si è limitato a ribadire la sua tabella di marcia: un rapporto deficit-Pil al 3,8 nel 2011, per scendere ad un livello tra l’1,5 e l’1,7% nel 2012, fino al traguardo del pareggio di bilancio nel 2013, come annunciato dal governo già la scorsa settimana. Numeri che danno la misura della manovra in vista sui conti pubblici: circa 20 miliardi per l’anno prossimo, che si aggiungono ai 5 già previsti dai documenti del governo, prima dello tsunami finanziario. Tutte cose che si sapevano ma ciò che non si sapeva e che resta un mistero è come attuarle, con quali misure e con il sacrificio di chi. Secondo Nicoletta Picchio, Davide Colombo e Luca Ostellino del Sole 24 Ore, ieri il governo ha preferito non scoprire le carte sulle misure, ma i tecnici sarebbero a lavoro e già si parla di un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 12,5% al 20% (con l’esclusione dei titoli di Stato); di un anticipo dell’Imu, l’imposta municipale unica, prevista nei provvedimenti sul federalismo; di alcune liberalizzazioni nei servizi pubblici locali, di addizionali sbloccate per i comuni, di misure sul mercato del lavoro, che potrebbero riguardare l’erga omnes per i contratti aziendali e forse anche le regole sui licenziamenti. Nessuno ha parlato di decreto legge, ma e’ chiaro, spiegano a palazzo Chigi, che i tempi sono talmente stretti che molto probabilmente sara’ necessario un testo urgente. Il presidente del Consiglio ha assicurato: “Confermo gli impegni assunti, faremo tutto presto e bene. Sappiamo che servono scelte rapide e coerenti, e il governo sta valutando tutte le possibilita’ e tutte le ipotesi”. Tremonti, che oggi parlerà a Camere riunite e, si spera, entrerà nei dettagli, ha detto che “Occorre ristrutturare la manovra” e ribadito, come aveva fatto Berlusconi, che per la prossima settimana e comunque entro il 18 agosto, e’ in programma un consiglio dei ministri durante il quale sara’ varato un provvedimento con le misure anticrisi. E fanno più paura del ridicolo “sciopero dei calciatori” le parole della Camuso che, a fine incontro ha dichiarato: “Se lo schema della manovra, così come lo leggiamo dai giornali, verrà confermato nel decreto proseguiremo la mobilitazione per cambiarla, senza escludere lo sciopero generale. Tempi e modi li deciderà l’organizzazione”. “L’incontro non è all’altezza dei problemi che abbiamo e della trasparenza che sarebbe necessaria”, ha detto la segretaria della Ggl, quindi, ha aggiunto, rispondendo alle domande dei cronisti, che “se non sarà all’insegna dell’equità ci sarà una mobilitazione”. Naturalmente si dicono contrari i segretari degli altri sindacati, dicendo che uno sciopero generale non è una risposta adeguata a questa critica, ma, in questa confusione e gioco (coperto) delle parti, l’unica cosa certa è che le forbici non servono più, serve la scure, come scrive Vittorio Feltri nell’editoriale de il Giornale, dimenticandosi di dire che i colpi d’ascia si abbatteranno sui soliti noti abituati da sempre ai sacrifici. Un attacco frontale all’esecutivo è stato sferrato anche da L’Unità, che oggi parla di “vertice senza proposte” e dà spazio alla delusione delle parti sociali. “Voragine Italia” titola il Fatto quotidiano in edicola, con una assonanza fra l’incontro di ieri e il caso di Napoli dove un camion dei rifiuti è precipitato a causa del cedimento del fondo stradale, provocando la morte di un uomo ed una lunga tirata sulla voragine economica che divora il Paese, con il governo che “prepara lacrime e sangue, ma non per tutti”. Ha ragione l’esperto di problemi economici Michele Carcea che su Notizie Radicali, ci spiega che c’è una ragione di fondo macroeconomica, alla base del secondo tempo della grande crisi che stiamo vivendo. La ragione è che la politica di espansione monetaria, praticata dalla Fed con due operazioni di quantitative easing, QE1 e QE2 (alleggerimento quantitativo) non ha funzionato, il pompaggio di una grande liquidità nel sistema da parte di Ben Bernanke, chiamato per questo Helicopter Ben, perché ha buttato i dollari a pioggia da un metaforico elicottero sulle banche americane, non ha portato grossi balzi in avanti dell’economia americana. In realtà ha fornito una montagna di liquidità alle grandi banche d’affari, che per rivitalizzare i loro bilanci in grande sofferenza, a causa degli enormi attivi tossici, hanno speculato là dove hanno annusato l’affare, sulle materie prime, sui generi alimentari e sui debiti sovrani. Ma a questo va aggiunto, come sottolinea il professor Deaglio, che l’attacco proprio all’Italia si deve al fatto che abbiamo un governo debole e poco all’altezza e le mosse di questi ultimi giorni, certo non lo smentiscono. Certamente i mercati cercano ogni occasioni per guadagnare, ma va anche ricordato che questo mercato è dominato soprattutto dagli investitori istituzionali, che sono quelli che detengono il vero potere, quelli che concentrano in loro la possibilità di comprare quote di aziende, debiti pubblici e tutto quello che possibile acquistare con il meccanismo del moltiplicatore bancario, che da’ loro la possibilità’ di moltiplicare il denaro a loro piacimento, fornitogli dalle Banche Centrali. Ma soprattutto hanno la possibilità grazie all’enorme potere concentrato nello loro mani di influenzare le politiche dei governi, anche di quello dello Stato più potente del mondo, divenendo il vero governo transnazionale che decide le politiche economiche e le politiche di bilancio dei singoli Stati, in tutto il globo; il tutto con la complicità delle agenzie di rating che sono il vero braccio armato del potere finanziario e di cui ora in molti si occupano. Fra questi anche la Commissione Finanza della Camera che mercoledì 27 luglio aveva approvato una risoluzione, con la quale si chiede al governo di denunciare alla European securities market authority (Esma) le agenzie di rating, ipotizzando idee di aggiotaggio e destabilizzazione del mercato, perché molte sono le perplessità sul motivo e sulla tempestività con le quali le agenzie di rating intervengono negli ultimi tempi. Ad esempio nel caso dell’Italia, le nostre condizioni economiche e dei conti pubblici sono le medesime da almeno tre anni, ma il problema è fatto esplodere solo ora. Già martedì, dopo l’ennesimo “lunedì nero”, Paolo Panerai, direttore ed editore di Milano Finanza, tuonava dalle colonne di Mf per segnalare come in questo momento la Germania sia l’unico paese europeo ad essersi dotato di una specifica legge che vieta le operazioni di vendita allo scoperto senza il possesso dei titoli stessi. La verità è che in una crisi complessiva dell’economia occidentale, incapace di correggere la rotta dopo gli eccessi della bolla immobiliare e del debito, appena la politica, qui e Oltreoceano, alza la testa contro la” finanza monstre” il sistema non esita a colpirla in modo pesantissimo e con la complicità involontaria di decine di migliaia di risparmiatori che sotto l’onda del panic selling, cioè delle vendite da panico, seguono l’onda degli speculatori professionali danneggiando se stessi scommettendo contro gli stati sovrani, facendo salire le quotazioni delle materie prime alimentari, rastrellando terre nei paesi più poveri dove coltivare biocarburanti incuranti degli effetti devastanti di carestie e cambiamenti climatici. Oltre a ciò, per quanto ci riguarda, c’è il fatto che il governo è intervenuto tardi e soprattutto male, su questioni delicatissime come i possibili reati finanziari e i conflitti di interessi ed ora non sa che pesci pigliare. Il nostro è davvero un governo debole e senza prospettive, che angoscia il Capo dello Stato ma anche milioni di italiani. Un governo che si difende dicendo che la crisi è mondiale e i fattori che la determinano sono tutti o quasi esterni all’Italia, ma non pensa altro che alla sua tenuta e non alle soluzioni da prendere tempestivamente. Ora è certo, come scrive ad esempio Patellaro, che da almeno tre anni a questa parte né i vertici della Commissione europea, né il governo spagnolo (per non parlare di quelli portoghese e greco), né il Parlamento e i due governi statunitensi che si sono succeduti, hanno dato prova di essere all’altezza del drammatico compito storico che si trovavano e ancora si trovano (grazie anche alla loro insipienza) di fronte. Questo fatto va riconosciuto e andrà ricordato alle anime belle che, di fronte ad ogni fallimento dei meccanismi di mercato, sentenziano che solo lo Stato e la politica possono salvarci. Se è vero che i mercati a volte falliscono e lo fanno gravemente, i governi e la politica falliscono molto più spesso e in modo molto più dannoso. Anche in un quadro generale tanto desolante, le élite socio-politiche italiane rappresentano un caso a parte. Visto dall’esterno questo fatto è così ovvio che cominciano a circolare anche per iscritto previsioni di un default italiano. Previsioni che si reggono sul seguente e purtroppo realistico argomento: l’Italia, di per sé, potrebbe farcela, ma con la classe dirigente che si ritrova non ha scampo. Per capire in che senso le élite politico-sociali italiane siano un caso particolare basterà confrontare quanto è successo da noi durante gli ultimi due mesi con quanto invece è accaduto negli Stati Uniti. I problemi, apparentemente, sono simili: deficit e debito pubblico alti e tendenzialmente fuori controllo in congiunzione a una crescita economica debole. Ma mentre altrove si sono prese decisioni, in Italia si resta alle intenzioni e alla confusione anche in seno alla stessa maggioranza, con posizioni divaricate e opposte fra Lega e Pdl. State certi che di contenuti non parlerà neanche oggi Tremonti, che solo pochi giorni fa, nella più totale segretezza, ha disegnato in poche settimane una manovra “straordinaria” che ha presentato al Parlamento il quale l’ha praticamente approvata a scatola chiusa senza nemmeno sapere cosa contenesse e che alla fine, allo stesso modo, farà calare la mannaia dei sacrifici solo su alcuni di noi italiani.
Carlo Di Stanislao
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