Il discorso di Tremonti crea malumori anche nel governo e l’intervento, scarno di numeri e dettagli davanti alle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Camera e Senato, viene criticato duramente anche da Bossi. Il ministro, che in serata, dopo essersi incontrato, da separato in casa, assieme a Berlusconi (che pare abbia detto che si rischia di fal saltare i tavoli) e Letta, con Napolitano, ha cercato di gettare acqua sul fuoco (vistosi abbandonare anche dalla Lega), parafrasando la famigerata lettera firmata Trichet (ma che molti attribuiscono a Draghi); ha detto che si deve accogliere il suggerimento sulle liberalizzazioni dei servizi locali e professionali ed è da guardare con favore alla spinta alla contrattazione a livello aziendale per superare un sistema centrale rigido; pur prendendo le distanze dal “diritto di licenziare”. Ha anche detto che saranno tassate le redite superiori a 90.000 Euro, annunciato amnistie fiscali per abusi edilizi e detto che, per abbattere il “rosso” dei conti pubblici, bisogna intervenire con maggiore incisività sui costi della politica, non solo sui costi dei politici ma sulle complessità del sistema. Tagliare gli stipendi dei politici non è sufficiente, egli vorrebbe anche mettere mano al numero (eccessivo) degli onorevoli presenti in parlamento. Sebbene nella lettera all’Italia la stessa Banca centrale europea abbia suggerito di prendere provvedimenti sulle pensioni di anzianità e di tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici, Tremonti preferisce “intervenire con forza su liberalizzazioni, servizi pubblici e professioni”. C’è, inoltre, l’intenzione di intervenire sulla tassazione delle rendite finanziarie senza però toccare i titoli di Stato (riduzione dal 27 al 20 per cento i depositi bancari e postali e aumento dal 12,5 al 20 per cento la tassazione sui titoli) e di garantire forme più forti di contrasto all’evasione fiscale, soprattutto nei casi di omessa fattura o scontrino. Berlusconi pare essere il primo degli scontenti, tanto da andare al Quirinale, verso le 17, separatamente da Tremonti e con il fido Gianni Letta e presentare un piano del tutto diverso da quello del suo ministro. . “C’è una bozza di massima – ha spiegato Berlusconi a Napolitano, che ora è divenuto un suo prezioso alleato, come spiega Stefano Folli sul Sole 24 Ore – su alcuni punti il decreto è pronto. Ma il testo finale ancora non c’è perché ci sono questioni ancora aperte, da risolvere”. Le cose mancanti, invero, riguardano, in realtà, proprio la “ciccia” del provvedimento, come scrivono Bei e Rosso su La Repubblica. Tremonti vuole l’Imu subito, ovvero la vecchia Ici sulla prima casa “caricata” anche della tassa sui rifiuti. Berlusconi non ne vuol sapere, “la prima casa non si tocca”. Chiede invece un punto in più di Iva. Ma su questo è Tremonti che resiste, “deprime i consumi e accende l’inflazione”. Alla fine, al termine di un estenuante vertice notturno a palazzo Grazioli, presenti anche Bossi e i capigruppo del Pdl Gasparri e Cicchitto, sul punto l’avrà avuta vinta il ministro dell’Economia: l’aumento dell’Iva non ci sarà. Mentre dalle pensioni dovrà uscire un miliardo di euro, a dispetto delle proteste di Bossi. Ciò che pare abbia fatto arrabbiare principalmente Berlusconi, che Tremonti ha sempre poco amato e che, negli ultimi tempi, ama ancor meno, sembra sia stata una frase pronunciata dal ministro durante il “rapporto” davanti alle commissioni congiunte a Montecitorio, nella quale il ministro ha lanciato una sfida aperta alle opposizioni e ha muso duro ha detto: “non chiediamo il vostro aiuto”. Al che il premier, che seguiva l’intervento dalla Sala del Mappamondo, pare abbia commentato con un infastidito: “Quello lì vuol far saltare tutto, insieme a Draghi. Puntano ad un governo tecnico”. Lo stesso sospetto che, apertamente, ha lanciato Bossi contro il governatore della Banca d’Italia, nel suo aspro intervento in aula. A parte il notare quanto umorale, imprevedibile, populista sia il comportamento della Lega, che fino a ieri elogiava l’intervento tutelare della Bce ed amava con tutto il cuore sia Tremonti che Draghi, è evidente che i tagli ed i sacrifici sono necessari e che “i danè”, come dice anche Stella nel suo commento mattutino ai giornali su Radio3, vanno cercati e trovati dove sono. Ma è anche evidente che ora, nello scrivere il decreto, fatto che pare avverrà alla vigilia di ferragosto, con un consiglio straordinario dei ministri, si dovranno trovare contrappesi tali da non irrigidire l’opposizione ed i sindacati, ad esempio rinviando la stesura del nuovo statuto dei lavoratori e trovando il modo di tassare anche le rendite patrimoniali. Dai commenti, poi, venuti dal Terzo Polo e da Bersani, pare evidente a Folli ed altri, che è possibile che la nostra classe politica, anche se in colpevole ritardo, abbia indirizzato il timone verso quel senso di responsabilità che ha in passato salvato il Nostro Paese in momenti di crisi. Ed è anche possibile che da questa bufera agostina, che oscilla dal torrido impietoso al freddo rabbrividente, se ne possa uscire una nazione migliore, finalmente più giusta, equa, corretta e ed evoluta. Ma se questo non fosse, se per qualche motivo il senso di responsabilità fosse subissato dagli interessi di parrocchia, si superebbe, senza esito, la strettissima finestra che va da stasera fino al 15 agosto, per l’approvazione di un decreto a cui l’Europa che conta guarda con particolare attenzione. Trepida in questa ore Napolitano (che ha detto “tenetemi costantemente informato”) e trepida l’Italia, che sa della dead-line di martedì prossimo, data di un vertice, a Parigi, fra Sarkozy e Angela Merkel, con la possibilità, date le incipienti difficoltà della Francia e l’arresto di crescita della Germania, che possa partire una nota durissima per mettere il Nostro Paese con le spalle al muro. Per questo, come notano in molti, Napolitano sta spendendo con vigore, tutta la sua forza per ricucire gli strappi, per trasmettere il senso dell’urgenza e chiamare alla responsabilità comune. Volenti o nolenti si deve accelerare e trovare una conciliazione frale parti (oggi Napolitano sentirà Fini e Alfano). Se, come pare, il Cdm si terrà nelle prossime ore, allora si comprende meglio quanto anticipato da Renato Schifani, presidente del Senato, a margine del suo colloquio con il Colle: “Dopo Ferragosto le commissioni possono iniziare l’esame del provvedimento”. Dunque la seconda metà del mese sarà impiegata per apportare emendamenti e correttivi al decreto. Lavorando a ritmi serrati, si riuscirebbe a convocare le Aule per la conversione definitiva in legge ad inizio settembre. Sarebbe il secondo “record” dopo quello realizzato a luglio, quando la manovra fu approvata in cinque giorni. E anche in questo caso il Colle ha bonificato il territorio chiedendo che non ci siano ostruzionismi da parte delle opposizioni. Certo, si naviga a vista. Il dopo-decreto è ancora oscuro. I gruppi in Aula fremono. Ieri Calderoli dispensava preoccupanti battute sui giorni della maggioranza. E Berlusconi sa che il boccone amaro che tanti dovranno digerire in queste ore potrebbe trasformarsi in una trappola autunnale. Ma il pressing intorno all’Italia impedisce ragionamenti che vadano troppo in là.
Carlo Di Stanislao
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