Alla ricerca della credibilità perduta

Hanno voluto dare un’idea di unità e coesione ed hanno assunto la comune decisione di dire no agli Eurobond e all’incremento del fondo di solidarietà, richiamando tutti ad un maggior rigore sui conti pubblici e sulla necessità di tagliare le spese, oltre a dichiarare la necessità di un governo economico comune per l’Europa. L’attesissimo vertice […]

Hanno voluto dare un’idea di unità e coesione ed hanno assunto la comune decisione di dire no agli Eurobond e all’incremento del fondo di solidarietà, richiamando tutti ad un maggior rigore sui conti pubblici e sulla necessità di tagliare le spese, oltre a dichiarare la necessità di un governo economico comune per l’Europa. L’attesissimo vertice tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel, andato in scena ieri pomeriggio all’Eliseo, ha insomma confermato le attese della vigilia, senza riservare particolari sorprese e senza convincere le borse che scendono anche nella parte asiatica. Penalizzata soprattutto Tokyo,  che ha chiuso la seduta in calo dello 0,55%, a causa dell’indebolimento dell’euro sullo yen e per il  permanere di timori per l’economia dell’eurozona. Non a caso hanno sofferto i titoli dell’export, come Honda (-2,3%), il cui fatturato deriva per l’80% dall’estero. Le proposte della cancelliera tedesca e del presidente francese, soprattutto quella di un governo economico per la zona euro “rappresentano un contributo politico importante da parte delle due più grandi economie della zona al dibattito e al lavoro in corso su queste questioni”, ha detto il presidente  della Commissione europea Barroso, ma evidentemente gli operatori finanziari non si fidano. In effetti, in barba all’ottimismo dei leader di Francia e Germania, alcuni analisti, come Pieter Cleppe dell’istituto indipendente Open Europe, sottolineano che le misure evocate non vanno affatto nella direzione giusta.“Hanno fallito, non sono riusciti a capire qual è il problema dell’Eurozona: non le politiche di bilancio ma le politiche monetarie, dal momento che è estremamente difficile avere una politica monetaria unica in tutta la zona euro. Quando la Germania cresceva a ritmo ridotto, la Spagna e l’Irlanda crescevano rapidamente e mantenere bassi i tassi d’interesse si è rivelato un danno per questi ultimi due Paesi”. A dare ragione all’economista le borse europee, ancora in calo questa mattina, con i trader delusi dal vertice di ieri. Per i bookmakers finanziari, l’indice FTSE 100 britannico in apertura è stimato in calo di 35 punti, ovvero -0,7%, il tedesco Dax dovrebbe perdere in avvio 53 punti, ovvero -0,9%, e il Cac francese è visto in ribasso di 6 punti, ovvero -0,2%. Come scrive su il Riformista Mauro Bottarelli, l’incontro di ieri fra le due economie più forti della Eurozona doveva essere un vertice bilaterale per proporre soluzioni in grado di stabilizzare la situazione del debito euro ed invece si è trasformato in un direttorio che nei fatti ha imposto una nuova architettura europea “basata sulle legislazioni francese e tedesca” e affossato Wall Street. Ciò che si è deciso (deludendo le aspettative di tutti), è, in primo luogo, l’insediamento di un governo economico dell’Europa destinato a riunirsi una volta al mese, denominato Euro Council al capo del quale vi sarà un presidente che resterà in carica per due anni e mezzo (il primo dovrebbe essere l’attuale numero uno dell’Ue, Van Rompuy, su esplicita richiesta francese e tedesca). Poi il vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione entro l’estate del 2012 per tutti gli Stati membri, “assoluta determinazione nella difesa dell’euro”, istituzione per ogni Stato membro di una commissione che possa stabilire regole su come frenare l’indebitamento e proposta per una tassazione sulle transazioni finanziarie. Infine il colpo mortale agli Eurobond, invocati invece come soluzione definitiva e forte da molti economisti e sostenuti da molti anche in Germania,  ma non graditi al partito liberale che fa parte del governo della Merckel, che afferma che le obbligazioni europee sono incompatibili con l’attuale unione monetaria che prevede bilanci nazionali. Come scrive oggi il Sole 24 Ore, dietro a questa posizione franco-tedesca si nascondono sentimenti diversi: da un lato una certa difficoltà a rimettere in discussione le regole, soprattutto in piena emergenza; dall’altro, una vena nazionalistica, vale a dire la paura che obbligazioni europee possano provocare un aumento dei tassi d’interesse nei due Paesi che adesso si trovano in difficoltà, con una crescita del Pil di appena dello 0,1% nell’ultimo semestre anche per “il treno” tedesco e con evidenti segni recessivi per i cugini d’Oltralpe. Come già si disse durante il Meeting 2010 di I&M, il problema dell’economia è ancora il debito, con gli USA che hanno raggiunto r il traguardo del 100% debito /Pil,  che diventa il 140% tenendo conto di tutte quegli enti ed agenzie garantite da Washington e l’Europa che vede molti Stati, Italia in primis, davvero fuori da qualsiasi parametro. Secondo Simon Tilford, capo economista del Centro Europeo per le Riforme,la debolezza istituzionale dell’Eurozona è stata svelata dal tentativo, fallito,  di condurre una politica monetaria comune senza un Ministero del Tesoro. Il summit dell’Eurozona del 21 Luglio è stato un piccolo passo avanti. I leader hanno acconsentito a ridurre i tassi d’interesse sui prestiti concessi dal fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) e hanno riconosciuto che il peso del debito greco è insostenibile. Ma tutto ciò non è abbastanza per fermare la crisi sempre più profonda che colpisce l’unione monetaria. Prendere a prestito rimane troppo costoso per tante economie della zona euro e non soltanto per quelle nelle aree periferiche. Il potenziale di crescita economica di Spagna ed Italia, per esempio, ondeggia attorno all’1% ma il costo dell’indebitamento supera il 6%. In Germania, invece, i rendimenti dei titoli sono scesi nettamente, abbassando il costo dell’indebitamento sia per il pubblico che per il privato. Ora, questa strada, inevitabilmente, condurrà, per forza di cose, ad un ulteriore divergenza economica ed insolvenza nell’Eurozona e, per prevenire quest’eventualità, la zona euro ha bisogno di un tasso d’interesse “privo di rischio”. Le economie in lotta hanno bisogno di poter prendere a prestito ad un costo più basso altrimenti soffocheranno, economicamente parlando, con un conseguente dissolversi del supporto politico alla membership nell’Eurozona. Ma ieri, al vertice dell’Eliseo, si è visto che le più forti economie d’Europa, non se la sono sentita di superare quella specie di “vincolo morale” che impedisce che paesi irresponsabili approfittino della solvibilità degli altri stati membri. Come dicono gli economisti, una possibile soluzione sarebbe di permettere agli stati membri di emettere debito con eurobond fino al 6% del PIL e di richiedere che il singolo paese sia individualmente responsabile per la propria esposizione oltre questo livello. Questo darebbe ai paesi con alti livelli di debito pubblico un incentivo per consolidare le proprie finanze pubbliche. Ma questo sistema avrebbe potuto funzionare molto bene se fosse stato introdotto nella zona euro fin dall’inizio, mentre ora è troppo tardi, poiché per molte economie europee l’indebitamento addizionale risulta semplicemente troppo costoso. Non è mancato ieri, al vertice di Parigi, un pensiero ai cugini discoli di Italia e Spagna: “L’Italia ha varato una nuova manovra per tornare in crescita ma ora occorre un impegno durevole di tutti, a partire da Germania e Francia”, ha detto la Merkel. “Serve un meccanismo permanente – ha continuato il Cancelliere tedesco – che riguardi la valuta comune. Proporremo a Van Rompuy un meccanismo tale che ci sia un giudizio sui singoli Stati della zona euro, non dobbiamo avere la tendenza a fare subito la cosa più facile. Ai nostri amici spagnoli e italiani consigliamo che il governo di questi due Paesi prendano delle decisioni forti per la ripresa della credibilità”, ha concluso Nicolas Sarkozy. Come risposta, a meno di una settimana a dalla sua approvazione, il fronte dei no nel Pdl e nella maggioranza di governo alla manovra finanziaria, che arriva oggi al Senato,  si allarga, senza contare i veti di Bossi ed i distinguo di Maroni e con Berlusconi che afferma che i cambiamenti debbono lasciare comunque intatti i saldi finali. Durissimo Antonio Martino che, da SkyTg24, definisce la manovra di Tremonti “statalista” e “inaccettabile”. Berlusconi si è sempre “presentato in campagna elettorale promettendo di ridurre le tasse e rilanciare la produttività”. Per ridurre davvero la spesa pubblica l’Italia ha bisogno di riforme e non di nuove tasse” ha detto duro Martino, sostenuto da Guido Crosetto, uno dei primi parlamentari del Pdl a contestare molti degli interventi contenuti del decreto anti-crisi varato dal governo. La fronda in seno al Pdl è composta da una ventina di parlamentari capeggiati da Giorgio Straguadanio, che ha dichiarato che saranno peresto messe nero su bianco proposte alternative, come “portare l’età pensionabile per tutti a 67 anni”  o puntare “su soluzioni che ci allineino all’Europa come anticipare la norma che porta a 65 anni l’età pensionabile delle donne a partire dal 2028. Si possono studiare soluzioni intermedie ma dato che la questione previdenziale è quella che pesa di più e che più incide sulla nostra non credibilità bisogna incidere su questo tema”. Vista la difficile situazionee, Alfano prova a mediare e si dice disposto ad incontrare i frondisti per cercare “soluzioni comuni”. Ma i malumori nel Pdl, non arrivano solo dai frondisti. Anche Giancarlo Galan, ministro della Cultura, da sempre critico verso la politica economica del collega Tremonti, ha di nuovo polemizzato con il governo, questa volta sulla norma che prevede la soppressione degli enti pubblici non economici che abbiano meno di 70 dipendenti , definendola “del tutto inutile, illogica e grossolana”. Tra gli enti a rischio, ha ricordato il ministro in una nota, non solo l’Accademia della Crusca, ma anche l’Accademia dei Lincei, la Scuola Archeologica di Atene e gli Istituti Storici Italiani. Ed anche Osvaldo Napoli, sempre in prima linea nel difendere Berlusconi, si è detto perplesso sul contributo di solidarietà e ha chiesto un intervento più incisivo sul delicato fronte delle pensioni. In mattinata anche Maurizio Lupi, che della Camera è il vice Presidente, ha espresso i propri dubbi su alcuni aspetti del provvedimento e ha  praticamente fatto propria la proposta del Pd di tassare i capitali rientrati grazie allo scudo fiscale, misura alla quale sembra che ora  stia pensando anche il governo. A ciò si aggiunga la contrarietà della Lega, restia a qualsiasi ipotesi di tagli che tocchi le pensioni e all’aumento dell’Iva. Nel discorso di Ferragosto è stato poi il ministro dell’Interno Roberto Maroni a tornare sulla questione dei tagli agli enti locali, colpiti con sei miliardi di trasferimenti in meno, chiedendo di “ridurre o azzerare i tagli ai comuni”, sicchè la manovra di pochi giorni fa appare del tutto svuotata e sotto sopra. Se a questo si aggiunge il fatto che, a conti fatti, i cosiddetti tagli alla politica faranno incassare, in pratica, zero Euro, si comprende la fibrillazione di queste ore, fra veti e ricatti di natura politica, che rendono il panorama italiano più incerto che nei giorni scorsi. Come nota Felice Bellisario su politicamente corretto.com, più passano le ore più appare chiaro che il governo ha fatto una manovra come se giocasse a Risiko: tutti contro tutti. Bankitalia ha telefonato durante la riunione e il leader del Carroccio ha minacciato di svergognare Brunetta se avesse ceduto alle sue richieste. Berlusconi, Bossi e Tremonti hanno giocato a ‘chi offre di più’ sull’età pensionabile delle donne. Il superministro Tremonti l’ha spuntata sull’innalzamento dell’Iva (ma ancora per quanto?), Berlusconi sulla patrimoniale, introducendo una tassa di solidarietà che, ed è tutto dire, crea sussulti anche a Montezemolo. Tutto per trovare una quadra tra posizioni totalmente diverse, tra leader incapaci, il cui obiettivo è solo vincere una battaglia interna, strafregandosene delle sorti dell’Europa e del nostro Paese. La dimostrazione è l’incontinenza lessicale di Bossi, capo di un importante partito di governo, ministro della Repubblica, che invece di argomentare offende ed invece di formulare giudizi insulta. L’esuberanza espressiva, anche se vistosamente disartrica, di Bossi è ormai divenuta vera “incontinenza”, anche se certamente e furbamente funzionale al suo elettorato, che vede nel suo modo di rapportarsi al mondo con pernacchie, gestacci e vivaci rumoreggiamenti, il segno di uno schietto spirito popolaresco. Dal “celodurismo”, alle volgarità rivolte  alla Boniver, fino ai recenti insulti verso Casini e Fini o al dare del “nano” al ministro Brunetta, Bossi è un dramma umano (e questo potremmo ignoralo), ma anche politico (cosa che non possiamo ignorare), motivo di serio imbarazzo istituzionale. Come saggiamente scrive Pierluigi Battista sul Corriere, anche se noi italiani siamo ormai assuefatti a ogni eccesso e rispondiamo con un sorriso ad ogni volgarità, nei circuiti della reputazione internazionale può essere un ulteriore, micidiale colpo alla nostra credibilità. A quell’impalpabile virtù, difficilmente quantificabile ma determinante nei rapporti internazionali, che è l’autorevolezza o il prestigio.  Ci si occupi, davvero e seriamente, di un decreto che è nato per salvarci dal baratro, affinchè sia equo e distribuisca in modo accettabile i sacrifici, senza interventi correttivi fatti solo per difendere i propri potentati. Come dice Felice Belisario, nel richiamato articolo, qui sta andando in fiamme l’intero Paese e il problema è tutto politico, di un governo incapace, pasticcione, diviso ed egoista che gioca sulla pelle dei cittadini che si spezzano la schiena con lavori davvero usuranti, che non arrivano a fine mese, che pagano le tasse e che si vedono ancora una volta penalizzati a vantaggio dei grossi patrimoni e degli evasori fiscali, bacino elettorale di questa maggioranza. Così, forse, varrebbe la pena prendere in considerazione l’ipotesi formulata, finalmente in modo unitario, dal  segretario Pier Luigi Bersani, dal  capogruppo Dario Franceschini, dal vicesegretario Enrico Letta e anche da leader della minoranza Walter Veltroni, di un governo tecnico alla Ciampi, capace di dare sostanza al decreto e fare le riforme, attraverso una sorta di alleanza quadrilatera a tempo (20 mesi), ha detto Letta al Corriere il 15 agosto, fra Bersani, Casini, Maroni e Alfano, idea che non piace al leader di Sel Nichi Vendola, ma che, forse, potrebbe portare, dopo questa baraonda, l’Italia fuori dalla crisi. Molto meglio questo che il pantano caotico in cui siamo immersi, mentre l’Europa ci chiede segnali di credibile serietà che non possono più attendere.

 

Carlo Di Stanislao

 

 

 

 

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