Colpi di sole e scioperi della fame

Mentre è tempesta nei mercati e Piazza Affari incassa l’ennesima “maglia nera” con un secco -6%, mentre si diffonde il panico dopo una mattinata di ribassi e piazze continentali andate in rosso pesante a metà seduta, per sprofondare in coincidenza con l’apertura degli scambi a New York, con i colossi Citigroup e Bank of America […]

Mentre è tempesta nei mercati e Piazza Affari incassa l’ennesima “maglia nera” con un secco -6%, mentre si diffonde il panico dopo una mattinata di ribassi e piazze continentali andate in rosso pesante a metà seduta, per sprofondare in coincidenza con l’apertura degli scambi a New York, con i colossi Citigroup e Bank of America che registrano pesanti perdite a Wall Street (tra il 6 e il 7%), Fed che apre una inchiesta sospetta sulle filiali USA delle banche europee e tonfo per la grande banca francese Société Générale (-12%); da noi il governo gioca al ribasso sulla manovra e tutti,  nel Pdl e nella Lega,  nascondano la mano, dicendo  che loro nello stagno non hanno buttato nessun sasso. Bossi, che oggi ha festeggiato il compleanno del ritrovato amico Tremonti, con l’amicone di sempre Calderoli, dopo aver cancellato un comizio per paura dei fischi, fa marcia indietro sugli enti locali e Alfano, in vacanza all’estero, è in affanno pensando a come potrà calmare i frondisti, sempre più numerosi ed agitati, in casa Pdl, al suo rientro lunedì. Intanto, anche se dal Pdl ci si affanno a dire che non è vero, si pensa (la cosa sembra piacere a Berlusconi), ad uno scudo fiscale bis, per racimolare fra 7 e 10 miliardi e, in cambio del lavaggio del denaro occultato  dai soliti furbi, di risparmiare ad alcuni italiani la cosiddetta “solidarietà”. Si calcola che siano 140 i miliardi illegalmente occultati all’estero da singoli e società, più delle stesse riserve auree nazionali e più di tre volte quanto occorrebbe al nostro Paese,  per mettersi al sicuro ed in pari con le richieste europee. L’ultimo condono fiscale, in Italia, è stato varato nel 2009 e ha permesso alle casse dello stato di riappropriarsi di 104,5 miliardi grazie ad un’aliquota del 5%. Ma ora, con la speculazione economica che aggredisce l’Italiae  l’esigenza di dare un messaggio positivo ai mercati finanziari, ecco che è spuntata nuovamente questa coppia di parole. Si è detto, infatti, che la manovra economica all’esame della commissione il 22 agosto conterrà anche norme relative ad un nuovo scudo fiscale, mentre dalla maggioranza il Ministro della semplificazione, Roberto Calderoli,  assicura che un’eventualità del genere altro non è che “un’invenzione dei giornalisti“ ed aggiunge: “l’adeguamento del settore pubblico era sulla base di un pronunciamento europeo, e, quindi non si sarebbe potuto fare diversamente. Se c’è questa esigenza anche nel privato benissimo: ma lo si faccia con uno scivolo di una durata sufficiente“. Dalle opposizioni, intanto, strepitano sia Bersani che Di Pietro, che non perdono tempo nel chiedere ancora le dimissioni del premier, senza naturalmente dare suggerimenti su cosa fare subito dopo,  per governare la crisi. L’unico immune ai colpi di sole in questo agosto incandescente, sembra essere il vicepresidente del CSM Vietti, che, dal Corsera, lancia l’idea di un processo civile breve con razionalizzazione dei tribunali (ve ne sono in questa Italia 8 in una sola regione, l’Abruzzo e ben 4 in una sola provoncia della Sicilia), che ci farebbe risparmiare più dei due terzi dei 45,5 miliardi dovuti. Nell’intervista al Corriere della Sera Vietti dice di reputare “una grave e preoccupante carenza” il fatto che non ci sia. Perché, spiega, basta leggere l’ultima relazione di Bankitalia per sapere che la giustizia civile ci costa “l’1% del Pil, all’incirca 22 miliardi di euro, quasi quanto metà manovra”. Quando vengono ricordati gli oltre 5 milioni di processi arretrati, il vice presidente del Csm fa presente, pur con  un “approccio prudente” che anche per la giustizia civile “ci potrebbero essere le condizioni di necessità e urgenza. Non mi pare che fin qui si sia osato molto”. Per Vietti sono “tre i fronti da aggredire”. Primo: l’abnorme accesso alla giustizia civile intervenendo con una modifica dell’articolo 24 della Costituzione che “impone una tutela unicamente giurisdizionale dei diritti”; questo comporterebbe “una scrematura preventiva dei giudizi civili”.Poi “un robusto filtro precontenzioso”. E dopo – aggiunge – “ci vuole, diciamo cosi, un processo breve civile, questo si’ urgente, con durata massima di tre anni per giungere al giudicato”, anche per rispettare “il principio di ragionevole durata”. Inoltre si può  “ipotizzare una responsabilità disciplinare dei magistrati” che devono condurre in porto le cause e la possibilità di accordarsi sui tempi. Tutto questo, conclude Vietti, si puo’ agganciare alla manovra nella parte “in cui si riduce il numero delle province”, e per esempio “trasformare tutti i tribunali infraprovinciali in sezioni distaccate di quello del capoluogo di provincia”, oltre allo “smaltimento dell’arretrato civile”. Tutto molto logico, se non fosse che la logica non è affatto di casa in questo Paese. Come notava giorni fa Roberto Codebò su Fuori Udienza, noi viviamo in un Paese in cui  la medesima maggioranza e il medesimo governo riescono a mettere in cantiere due riforme della giustizia penale nominalmente antitetiche: una per fare durare di meno il dibattimento, l’altra per farlo durare di più. Più precisamente: nel primo caso, si tenta di fissare la durata massima in mesi nel dibattimento; nel secondo, si tenta di intasare il dibattimento stesso con un apparato probatorio che non possa più essere oggetto del tradizionale vaglio di legittimità da parte del giudice. In questo stesso Paese, dopo che un provvedimento è approvato all’unanimità da un Consiglio dei Ministri è sconfessato dallo stesso governo, o gran parte di esso, che lo ha approvato. A me questo non pare normale. E speriamo che, da lunedì, il caldo scenda e con questo i cervelli tornino a funzionare, affinchè si possa discutere lucidamente, fra governo ed opposizioni, su misure dolorose e che vanno certamente e rapidamente prese, ma che siano nella direzione di una lotta seria agli evasori, di riforme strutturali, di tagli autentici alla politica ed infine incentrate sulla irrinunciabile triade di equità, crescita e lavoro. E speriamo anche che passi il “colpo di sole” ai vertici Fao riuniti a Roma, con suite in alberghi di lusso e cene e pranzi di lavoro a dir poco sontuose, affinchè si astengano dal fare moniti ipocriti al mondo che lascia morire di fame e colera 16 milioni di Somali o si accontentino di accoglienze più a buon mercato, per dirottare quei soldi verso chi, nelle stesse ore, muore di sete e diarrea. In Somalia la siccità si somma a una crisi politica e militare che non trova soluzione ormai da vent’anni, con migliaia di persone che stanno lasciando le loro case per rifugiarsi nei paesi vicini, anch’essi allo stremo a causa della siccità. Nel campo di Dadaab, in Kenya, in pochi giorni si è passati da 300 mila a 400 mila sfollati (moltiplicate per cento quella che a noi pare una emergenza: Lampedusa):  un incremento che mette a dura prova le già limitate risorse delle agenzie umanitarie. E, naturalmente, la Fao continua a riunirsi e parlare. In più, una micidiale combinazione di inedia e morbillo, sta falcidiando, sempre nei campi profughi di Etiopia, decine di bambini ogni giorno, tutti del Corno d’Africa e tutti che, invece di aiuti, ricevono le parole  de l’Alto commissariato dell’ Onu per i rifugiati (Unhcr), che parla di “livelli di mortalità allarmanti” e lancia una campagna di vaccini. Aiuti concreti in termini di denaro, farmaci e derrate alimentari vengono dalla certo non floridissima Turchia, ma non da quei paesi che richiamano gli altri e ciascuno di noi ad un maggiore impegno; un po’ come qui a L’Aquila dove il povero Kyrgyzstan e non la ricca America ha dato concretamente aiuti. Ancora, in questa agosto di “colpi di sole e calore”, solo ora, dopo mesi di eccidi e oltre 1.700 civili uccisi, USA , ONU e Ue si ricordano del governo di Bashar al-Assad,  ma si limitano a minacciare sanzioni che potranno ancora e per molto essere ignorate. Non potrà, invece, essere ignorato lo sciopero della fame Anna Hazare, l’attivista gandiano che si batte contro la corruzione in India, che inizierà lo sciopero in un parco cittadino di Nuova Delhi alle tre del pomeriggio (le 10.30 in Italia) e andrà avanti per quindici giorni e che è atteso fuori dalla prigione (è stato arrestato l’altro ieri,  mentre stava iniziando la sua protesta accompagnato da un migliaio di manifestanti), da non meno di 70.000 persone. In un primo momento, in un intervento in Parlamento, il primo ministro indiano Manmohan Singh aveva accusato Hazare di voler sovvertire il processo democratico, ma è stato interrotto più volte dall’opposizione che ha messo in difficoltà il governo e, dopo una massiccia protesta della popolazione, è stato costretto a tornare sui suoi passi. Un monito, questo,  per molti, anche  per noi italiani e per la nostra opposizione,  che in una certa percentuale, in parlamento, dovrebbe rappresentarci. Com’è stato più volte detto, in Africa si interviene solo nelle emergenze e vi è una rassegnata, e talvolta consapevole, consuetudine di attendere la catastrofe prima di intervenire, di lasciare sedimentare e “cronicizzarsi” situazioni che altrove griderebbero allo scandalo e indignerebbero l’opinione pubblica. Gli africani sopportano con dignità e fatalismo. Assistono, oramai senza lacrime, alla morte dei propri figli, vedono la propria terra seccarsi e morire, abbandonano la propria casa e vivono pensando che il domani forse non verrà. Questo fatalismo tenace deve cambiare, in Africa ed altrove.

Carlo Di Stanislao

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