Sguardo riparatore su Locarno ed occhi aperti su San Sebastian

Perso in una cosa a perdifiato, in questo agosto cinefilo,  ho dimenticato di “chiudere” Locarno,  uno dei Festival più amati dai cultori di cinema, dove il film italiano “L’estate di Giacomo”, di Alessadro Comodin,  ha vinto a sorpresa la sezione Cineasti del Presente. La premiazione ,il 13 agosto, nella serata conclusiva, ha visto il trionfo […]

Perso in una cosa a perdifiato, in questo agosto cinefilo,  ho dimenticato di “chiudere” Locarno,  uno dei Festival più amati dai cultori di cinema, dove il film italiano “L’estate di Giacomo”, di Alessadro Comodin,  ha vinto a sorpresa la sezione Cineasti del Presente. La premiazione ,il 13 agosto, nella serata conclusiva, ha visto il trionfo di “Abrir puertas y ventanas” (Back to Stay) della regista Milagros Mumenthaler, vincitore del Pardo d’Oro e anche di quella per la migliore interpretazione femminile (andato alla bravissima Maria Canale), con i Pardi speciali  andati a Shinji Aoyama per il film “Tokyo Koen”  e a Nadav Lapid per ‘Hashoter’ (Policeman), quello per la regia a Adrian Sitaru per ‘Din dragoste cu cele mai bune intenti’ (Best Intentions) il cui protagonista, Bogdan Dumitrache, è risultato anche migliore attore; infine la menzione speciale a ‘Un amour de jeunesse’ di Mia Hansen-Løve. Fra i premi minori, quello speciale è stato vinto da ‘El estudiante’ (The Student) di Santiago Mitre e la menzione speciale se l’è presa ‘É na terra nao é na lua’ (It’s the Earth Not the Moon) di Gonçalo Tocha. Il Pardo Opera Prima è stato vinto da ‘Nana’ di Valérie Massadian e il Variety Piazza Grande Award è stato attribuito a ‘Monsieur Lazhar’ di Philippe Falardeau. Amaro in bocca per il nostro “Le sette opere di misericordia” dei gemelli De Serio, che se ne torna con due “consolazioni” di terz’ordine: il premio della Federazione Internazionale e quello dei Cineclub,  due premi non ufficiali, che nulla c’entrano con il Palmarès del festival, due tra i tanti assegnati da giurie indipendenti. Ma il film che esce ingiustamente sconfitto è, secondo molti, è il giapponese Saudade di Katsuya Tomita, smisurato affresco (tre ore) di una piccola città in cui si incrociano molti destini, e che apre squarci su un Giappone poco conosciuto, di rapper arrabbiati contro tutto e tutti, di minoranze etniche (brasiliani immigrati da generazioni, thailandesi, filippini), di operai colpiti dalla crisi economica. Troppo lungo, estenuante, qua e là troppo esagitato. Ma anche la vera sorpresa del festival, la rivelazione di un autore. Incredibile come Saudade, snobbatissimo dalla stampa italiana e molto amato dai critici tedeschi e nordici, sia uscito da Locarno senza niente. Forse alla giuria non è piaciuto quel senso di eccesso, di troppo pieno, che il film comunica. Altro grande dimenticato è stato Low Life, della coppia francese Klotz-Perceval, pellicola con una specifica aura bressoniana (è un omaggio dichiarato a Il diavolo, probabilmente), che, evidentemente,  non è piaciuta  ai giurati. Si tratta, comunque, di uno di quei film che dividono, che ami o odi e che difficilmente mettono d’accordo e che certamente restano nella storia del cinema. Per quanto concerne la bocciatura di questo film, scrive il giovane, rampante critico Luigi Locatelli, che non sorprende perché, di là dalle ambiziosi intenzioni, il film è tutt’altro che grande, sicchè è successo a Locarno ciò che succede (di solito, negli ultimi tempi) agli altri grandi Festival (Cannes, Venezia, Berlino, ecc.), con film italiani pompatissimi dalla stampa, presentati come capolavori ed invece molto spesso vuoti, risaputi, pedanti e noiosi. La conferenza stampa dei De Serio è stata la più affollata (soprattutto di giornalisti italiani) dell’intero festival, manco fossero i Dardenne o Tarantino. Il loro era un Pardo annunciato, ma la giuria evidentemente non l’ha pensata così. Si dirà: altri bei film sono stati bocciati. Vero, però Sette opere di misericordia nella sua proclamata autorialità, nella sua ostentata tensione al cinema alto e al sublime, sembrava nelle corde dell’austera giuria locarnese. Peccato, un’altra occasione sprecata. “I nuovi film italiani sono deprimenti. Le pellicole che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali, non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano degli Anni 60 e 70 e alcuni film degli Anni 80, e ora sento che è tutto finito. Una vera tragedia” Moretti fa le sue cose, è uno che porta energia vitale e respiro al cinema. Ma l’Italia non è più quel che era. Potrei fare liste di nomi di registi che mi piacciono provenienti da molti Paesi, ma non dell’Italia”. Questo disse nel 2007 Tarantino ed i fatti continuano a dargli ragione. Hanno ragione Bellocchio (che è in procinto di ricevere il Leone alla carriera) e Mazzacurati (uno dei pochi nomi italiani di pregio, oggi), quando dicono (al’indomani di Venezia 2010), che l’Italia degli ultimi 15 anni meriterebbe un film modulato come un romanzo ottocentesco, in cui  raccontare l’Italia che avremmo potuto avere in questi anni e che non abbiamo avuto: gente di buona volontà che lavora e che lotta. La gente che nessuno vede, neanche al cinema.  Curioso, per uno Stato che ha dato i natali a Rodolfo Valentino, una delle prime “star” della “settima arte”, dove è presente Cinecittà e dove sono cresciuti Sophia Loren, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Federico Fellini o Sergio Leone (solo per citare alcuni degli innumerevoli artisti), sia in ormai annosa crisi competitiva con le produzioni estere. Basta fornire alcuni dati concreti: gli ultimi Oscar di un film completamente realizzato in Italia risalgono al 1999, grazie a “La vita è bella” di Benigni (l’ultima nomination è del 2006 con “La bestia nel cuore” di Cristina Comencini). Fine a sé stessa, invece, è stata la gioia di qualche tecnico o sceneggiatore italiano impegnato in kolossal stranieri, poco pubblicizzata da chi di dovere. Ennio Morricone compreso, che ha ricevuto l’Academy Award alla carriera nel 2007 per le sue composizioni. Altro segnale significativo: dal ’98 ad oggi, il maggior risultato ai botteghini di casa nostra l’ha ottenuto all’inizio di quest’anno Checco Zalone con il suo “Che bella giornata”. Una pellicola ben fatta ma che certamente non ambisce a premi di portata mondiale. E  non solo non vinciamo a l’estero, ma neanche in casa, come al Festival di Roma, nato nel 2007, né a Venezia, sicchè la nostra Italia  si è ridotta  a distruibire le sue “statuette” in un’unica sera: quelle del “David di Donatello”. Certo, realizzare con mezzi cinematografici ciò che si vuole realmente mettere in scena non è cosa facile. Ma, altrettanto certamente, se voliamo davvero un ritorno ad una attenzione attorno al nostro cinema, bisogna migliorare stile e contenuti. Dobbiamo augurarci una nuova stagione di Autori che sappiano, col loro sguardo, tenere in vita un loro modo di vedere il mondo, con messe in scena meritevoli di essere ricordate, lette e vissute, nel corso dei decenni,  come un’unica storia, senza tempo né spazio,  di uomini che sognano, vivono e giocano le loro carte in una sfida continua, in un continuo tentativo di consapevolezza.  Dovrebbero, gli autori italiani, riguardare la storia del cinema e recuperare, ad esempio, la forza narrativa di grandi maestri del passato, come, ad esempio, la capacità di immagine-racconto di Michael, girato da Carl Dreyer nel 1924, soprattutto quando il protagonista più giovane – assistente, ‘figlio’ e amante dell’altro protagonista maschile, un anziano illustre pittore – realizza senza esitazioni gli occhi della nobildonna, destinata subito dopo a diventare la sua amante, di cui il pittore anziano sta dipingendo il ritratto. Gli scambi di sguardi tra i due giovani impedivano infatti al maestro di cogliere con esattezza l’espressione degli occhi della donna, e rendono invece semplicissima la cosa al futuro amante. La rivelazione del nodo melodrammatico del film si svolge quindi in un susseguirsi di scambi di sguardi all’interno del triangolo sentimentale, che risolto cinematograficamente con inquadrature in primissimo piano degli occhi, in un caso addirittura sottolineate da una striscia nera che riduce la misura convenzionale del fotogramma. Si tratta di uno degli stilemi tra i più complicati della tecnica cinematografica, quella del cosiddetto “sguardo in macchina”., una modalità di racconto ormai dimenticata e sepolta in immagini fisse e stantie, tanto nella forma che nei contenuti. Tornando al film premiato a Locarno, “L’estate di Giacomo”, presentato il 9 agosto in prima mondiale, prodotto da Faber Film in coproduzione con la friulana Tucker Film, la belga Les Films Nus di Bruxelles e la francese Les Films d’Ici – finanziato dal Fondo Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, è la storia poetica di un ragazzo di diciannove anni, a cui un’operazione chirurgica ha ridato l’udito perso da piccolo. Una storia d’amore e d’iniziazione alla vita adulta attraverso un vero e proprio apprendistato dei sensi: tutto attorno a Giacomo appare incantato, tutto è una nuova scoperta. Girando nella campagna tra il Friuli e il Veneto, la macchina da presa di Comodin, trasparente, racconta Giacomo e una sua amica d’infanzia, soli e liberi, nel bosco che costeggia il fiume durante un pomeriggio che sembra durare il tempo di un’estate. Alessandro Comodin, classe 1982, nato a San Vito al Tagliamento e originario di Teor, dopo aver studiato le tecniche del cinema a Bruxelles, si è fatto notare al Festival di Cannes nel 2009. Il suo primo film, prodotto nel 2008, “Jagdfieber – La febbre della caccia” aveva conquistato le attenzioni dell’allora direttore della Quinzaine Des Réalisateurs, Olivere Père (ora direttore del Festival di Locarno), che non aveva esitato a inserirlo nella selezione ufficiale legata ai cortometraggi. E passiamo ora al Festival Internacional de Cine di San Sebastian, che, il prossimo 16 settembre, inaugurerà la sua 59esima edizione, con il documentario di Martin Scorsese George Harrison: living in the material world, che naturalmente riguarda l’ex chitarrista dei Beatles, cui  hanno contribuito vari personaggi che sono stati vicini al musicista come Paul McCartney, Ringo Starr, Eric Clapton, Yoko Ono e la moglie e il figlio di George, Olivia e Dhani Harrison e che non sarà proiettato nelle sale cinematografiche perché i diritti sono stati acquistati dalla emittente americana Hbo che lo trasmetterà il 5 ottobre prossimo negli Stati Uniti, mentre in Europa l’uscita del dvd è prevista il 10 ottobre. Ciò che si sa che i film in concorso sono 16 e non vi è nessuna presenza italiana. Fra i film selezionatici saranno pellicole passate con successo attraverso i due Festival americani indipendenti di maggior prestigio: il Sandance e il Festival di Deauville (nella cui giuria è compresa l’italiana Chiara Mastroianni), con una particolare attenzione (come favoriti) per Take Shelter di Jeff Nichols, interpretato dal grandissimo Michael ShannonEn secret di Maryam Keshavarz che esplora la vita di due amici nella Téhéran di oggi. Stavolta vi terremo aggiornati.

Carlo Di Stanislao

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