Incrociando le dita per l’Italia grande e piccola a Venezia

E’ stato il primo film italiano in concorso, presentato domenica a Venezia e in uscita, nelle sale, il 7 settembre. “Terraferma”, terzo capitolo di una “trilogia del mare” iniziata da Crialese con “Respiro” (Leone d’Argento nel 2002), girato non con l’intento di chiarire, ma con quello di porre domande. La “terra ferma” la cercano tutti […]

E’ stato il primo film italiano in concorso, presentato domenica a Venezia e in uscita, nelle sale, il 7 settembre. “Terraferma”, terzo capitolo di una “trilogia del mare” iniziata da Crialese con “Respiro” (Leone d’Argento nel 2002), girato non con l’intento di chiarire, ma con quello di porre domande. La “terra ferma” la cercano tutti in questo splendido film,  gli immigrati con le barche alla deriva, i pescatori travolti dalla modernità, le madri che vorrebbero rifarsi una vita, le nuove generazioni indecise tra le leggi del cuore e quelle dello stato. L’anteprima veneziana (con in sala anche il ministro Galan) è andata benissimo:  10 minuti di applausi ininterrotti ed una profonda emozione di fronte alla messa in scena di una tragedia contemporanea con cui ormai siamo abituati a convivere e a cui l’Italia dovrebbe guardare con particolare attenzione, perché,  in fondo, fino a poco tempo fa, eravamo noi a rivestire il ruolo di quelli che oggi chiamiamo clandestini. Come dicevamo,  il pubblico ha reagito con grande passione ad una storia fatta di emigrazione e solidarietà femminile,   un film non giudicante e senza tesi, con una  straordinaria prova di Beppe Fiorello, isolano figlio di pescatori,  con la voglia di riciclarsi con il turismo, intrattenendo i forestieri in spiaggia e sulla barca con cui li porta a fare a gara di tuffi al ritmo di Maracaibo, anche se a due passi da loro sbarcano i migranti disperati:  metafora emblematica di molti italiani, simpatici e vigliacchi,  che non  vogliono vedere il mondo che cambia, con i suoi urgenti problemi. Bravissima anche Angela Finocchiaro ed autentica rivelazione il giovane aretino Filippo Scarafia. Girato sulla sabbia nera  di Linosa, sotto un vulcano che al tramonto si colora di strisce grigie e rosse,  il film  racconta una favola moderna, con al centro una vicenda di donne,  un’isolana ed un immigrata, che si rispecchieranno l’una nell’altra e lo fa con l’incanto toccante della vera ispirazione poetica, con una forza espressiva che ci rinsalda nella speranza di un premio, finalmente, all’Italia, all’asciutto ormai da molto tempo nei festival internazionali. Tanti applausi, il 3 settembre,  anche a “Cose dell’altro mondo”, nella sezione “Controcampo Italiano”, che esplora il  paradosso, tutto nostrano, degli extracomunitari, insostituibili ed odiati, con un linguaggio politicamente scorretto, in cui si usa l’ ironia in luogo della drammaticità, l’imbarazzo al posto dell’ideologia, la tenerezza dove si vorrebbe conforto sociale. Il successo del film di  Patierno, in “Controcampo Italiano”, ci convince che il nostro cinema è in ripresa e non solo sotto il profilo autorale. Basta guardare, ad esempio, alla prova straordinaria degli interpreti di questa pellicola: Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea, Valentina Lodovini, che creano personaggi autentici e molto distanti dal macchiettismo risaputo ed anodino dell’ultimo periodo.  Si attendono ancora altri due altri film italiani nella gara principale: quello di Cristina Comencini “Quando la notte”,  con Filippo Timi e Claudia Pandolfi e “L’ultimo terrestre” di Gianni Pacinotti,  con Gabriele Spinelli, Anna Bellato, Roberto Herlitzka e Teco Celio. Per la trama, Pacinotti si è ispirato a un libro di fumetti (“Nessuno si farà del male”) del collega: Giacomo Monti; mentre la Comencini trae il plot dal suo omonimo romanzo, scritto con Doriana Leondeff, trasformato in film in tempo record, girato a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa e prodotto da Cattleya in collaborazione con Rai Cinema, con distruzione della 01. Altro titolo italiano che fa volare in alto il cuore (ed incrociare le dita circa i premi di quest’anno), è “L’arrivo di Wang”, secondo film italiano con alieni a questo festival e vero capolavoro del cinema di genere, inserito in “Controcampo” e firmato da quei geniacci non troppo fortunati dei Manetti Bros: due fratelli che hanno un occhio e una visione originali, un modo di usare la macchina da presa straordinario e imprevedibile. Due che sanno come appassionare gli spettatori e, cosa che non guasta, non disdegnano di lavorare in economia (meno di 500.000 euro per un sci-fi che nulla ha da invidiare agli americani). Come nei grandi cult della fantascienza, ovviamente c’è anche la metafora del presente: l’abbattimento degli stereotipi, che siano buonisti o violenti, il voler rovesciare il pregiudizio, sempre e comunque. Con ironia, acume ed idee geniali, con un paio di colpi di scena da antologia e due attori- Ennio Fantastichini e Francesca Cuttica- che tengono sulle spalle il film, sono certo che il film piacerà molto, almeno al pubblico. Ottimo il lavoro del cast tecnico e ed encomiabile Noemi Marchica per le scenografie. Non posso, prima di chiudere, dimenticare lo scabroso (e bellissimo) “Ruggine: primo fil italiano per “Le Giornate degli Autori”, diretto con grande garbo, ma anche con forza determinata e senza melense sbavature, da Daniele Gaglianone, con Stefano Accorsi,  Valerio Mastrandrea e Filippo Tini, nel difficile ruolo dell’orco; un film non stupidamente moralistico sul dramma della pedofilia, tratto dall’omonimo, struggente romanzo di Stefano Massaron e certamente meritevole di un premio. Va qui detto, facendo eco a Giona A. Nazzaro sui MicroMega, che Daniele Gaglianone è probabilmente uno dei segreti meglio custoditi del cinema italiano e nonostante vanti una filmografia foltissima, la grande parte della sua opera risulta ancora troppo poco frequentata. Con “Ruggine”, dopo l’esito maiuscolo di Pietro, affronta una storia corale, ampliando il raggio del suo sguardo e riconnettendosi alle urgenze delle storie calate nell’agone della Storia. Il lavoro di Gaglianone, infatti, sin dalle sue origini, si è andato sviluppando attraverso un fittissimo dialogo con le ragioni e il farsi della Storia. Basti pensare alla presenza fortissima della guerra di Liberazione o all’interesse, sempre in primo piano, nei confronti di figure come Gobetti. A parte ciò, “Ruggine” è un continuo e vertiginoso montaggio alternato,  che mette in scena il conflitto che oppone i piccoli Cinzia, Carmine e Sandro al malefico dottor Boldrini (un Filippo Timi davvero stellare e che conferma una straordinaria duttilità espressiva). Il ricordo di quei giorni perseguita i bambini ormai adulti (Valeria Solarino, Valerio Mastandrea e Stefano Accorsi) che vivono dialogando dolorosamente con le loro scelte e incubi. Proprio come accadeva nel suo cortometraggio L’orecchio ferito del piccolo comandante, Gaglianone racconta il momento in cui si manifesta la coscienza come responsabilità, osservando l’infanzia in forme che il cinema italiano ha sfiorato solo nei film migliori di Luigi Comencini e Vittorio De Sica anche se, a uno sguardo ravvicinato, si scoprono sfumature che avvicinano Ruggine a Mark Twain o addirittura a Cormac McCarthy,  per la sua capacità di dare corpo a un male che striscia sulla linea dell’orizzonte arsa dal sole. Il dottor Boldrini, infatti, personifica tutte le minaccia e la promiscuità sessuale che le favole attribuiscono tradizionalmente all’”uomo nero”. E non è un caso che i bambini debbano sconfiggere il drago nella sua tana per poi accettare pienamente la sfida del dovere crescere. Un po’ “Mystic River”, ma alla fine più vicino a “It” di Stephen King, il film è un colpo allo stomaco, che ci costringe a pensare., come per lo più fanno i film italiani quest’anno a Venezia. Direi, un’ottima cosa.

Carlo Di Stanislao

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