Cose di questo mondo

Le borse sempre più a picco, Piazza Affari che colleziona maglie nere, con Jürgen Stark, membro tedesco del consiglio esecutivo della Banca centrale europea, che si dimette per ribadire la sua contrarietà a salvaguardia di Italia e Spagna, l’America che non si tranquillizzata neanche con la  manovra di Obama da 470 miliardi di dollari per […]

Le borse sempre più a picco, Piazza Affari che colleziona maglie nere, con Jürgen Stark, membro tedesco del consiglio esecutivo della Banca centrale europea, che si dimette per ribadire la sua contrarietà a salvaguardia di Italia e Spagna, l’America che non si tranquillizzata neanche con la  manovra di Obama da 470 miliardi di dollari per lavoro ed occupazione, sono solo alcuni dei drammi che attraversano questo mondo in cui nulla sembra più funzionare; con la guerra che continua in Libia, la situazione che non migliora in Afganistan ed Iraq, centinaia di migliaia le morti per fame, sete e carestie nel Corno D’Africa e crescita della tensione fra Egitto ed Israele, con assalto all’ambasciata di quest’ultimo Paese al Cairo,   dopo la morte, nelle scorse settimane, di cinque poliziotti egiziani per un’azione dei militari di Tel Aviv, a seguito di una serie di attentati compiuti il 18 agosto a Eilat. I manifestanti hanno demolito parzialmente un muro di protezione costruito due giorni fa dalle autorità egiziane davanti alla sede diplomatica e hanno invaso i locali della missione devastandola. Un manifestante ha rimosso la bandiera israeliana, come già avvenuto il 21 agosto, mentre l’ambasciatore israeliano e la sua famiglia hanno abbandonato la sede per rientrare in Patria e Netanyahu ha chiesta aiuto agli USA. Il Medio Oriente, distrutto dalle guerre, è al limite e oggi va in cerca di una tregua politica che stabilisca l’ordine economico e sociale, che aiuti i popoli devastati a risollevarsi da una crisi infinita. E mentre Israele e Palestina stanno cercando, a fatica – come assicurano i loro rappresentanti – di auto-controllarsi in favore della propria sopravvivenza, tutt’attorno è  una continua crescita di tensioni. Nella crisi diplomatica tra Ankara e Tel Aviv, ad esempio,  la pubblicazione del rapporto Palmer sull’assalto israeliano alla nave turca Mavi Marmara,  è solo un pretesto e molto più ampi e complessi sono i motivi di politica interna e strategia regionale che detta le scelte oltranziste di Erdoğan. Con una lunga nota il ministro degli Affari Esteri turco Ahmet Davutoğlu ha spiegato, lo scorso 2 settembre, che la decisione è stata presa in seguito alla pubblicazione del cosiddetto rapporto Palmer sull’assalto israeliano alla nave turca Mavi Marmara. La pubblicazione del rapporto, frutto di un’indagine ordinata dalle Nazioni Unite, era stata posticipata già due volte e, sebbene Tel Aviv avesse chiesto un’ulteriore proroga di sei mesi, è stato anticipato dal New York Times lo stesso 2 settembre, con la conclusione che, sebbene il blocco della Strisica di Gaza da parte di Israele sia stata una “misura di sicurezza legale”, l’azione militare che ha portato all’uccisione di nove cittadini turchi in acque internazionali è stata del tutto “eccessiva, ingiustificata e inaccettabile”. Scrivono in questi giorni gli osservatori che, per lo Stato di Israele la presa di posizione di Ankara e le violente proteste di ieri al Cairo,  rappresentano ulteriori, inequivocabili segnali di isolamento dello stato ebraico nella regione. Il governo oltranzista guidato da Netanyahu è ritenuto il maggior responsabile della situazione attuale e non è un caso che le proteste di piazza dei cosiddetti indignati israeliani, in cerca di giustizia sociale, stiano procedendo con sempre maggior determinazione e vigore. Insieme ai problemi legati alla crisi economica e del lavoro, infatti, il paese deve affrontare anche una serie di sfide diplomatiche legate alla propria sicurezza che di certo non facilitano l’azione del governo. Come non facilita credibilità ed azione del nostro governo, mentre la manovra ancora cambia di colore e di forma e si parla (anche se Maroni fa scudo) di nuovo di ritoccare le pensioni;  la posizione sempre più debole del premier, ritenuto ormai un’ombra che vaga nel palazzo, anche da una parte pare cospicua del Pdl. Cancellato il decreto sulle intercettazioni dalla presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno, con messa al bando del bavaglio tombale, mani legate ai pm e pene abnormi per giornalisti ed editori, il Cavaliere, ora che l’Espresso ha pubblicato on-line le ennesime intercettazioni su un altro caso giudiziario che lo riguarda, torna a vagheggiare un decreto lampo in suo favore,  che imbarazza la stessa maggioranza. Secondo quanto si legge su L’Espresso, Walter Lavitola chiamò il premier il 24 agosto, dopo la fuga di notizie sull’inchiesta relativa alla presunta estorsione e gli chiese: “Mi presento ai giudici?”. Berlusconi gli avrebbe risposto: “Resta dove sei”. Ma l’onorevole Ghedini, difensore a tutto a campo del premier, dice che la notizia sul sito de L’Espresso è infondata e ottenuta con “reiterate violazioni del segreto e comunque con violazione del divieto di pubblicazione”. Cicchitto parla di comportamento scandaloso del giornale, ma  si dimentica lo scandalo dei contenuti che sono attribuibili al suo leader. Quindi ecco la strategia del Pdl e dei suoi sostenitori: per superare lo scandalo censurarlo o, meglio ancora, renderne illegale il disvelamento. La questione delle intercettazioni come momento delle indagini dei Pm, è un problema che investe il complesso del funzionamento della giustizia e del ruolo della magistratura nella società in cui viviamo. Nei giorni scorsi, su questo tema scottante, ho letto su Il Mattino un interessante articolo di un alto magistrato che si è sempre distinto per la sua cultura e indipendenza: Giuseppe Maria Berruti. Il quale, dopo aver descritto la nostra grave situazione economica, osserva che nel nostro Paese “la crisi è resa più difficile dalla corruzione, diffusa tanto del tessuto istituzionale, quanto dalla cultura del corpo sociale”. A un bel dire Napolitano che richiama tutti all’urgenza drammatica del momento con un Paese in pieno marasma, che non cresce (anche secondo i recentissimi dati ISTAT), si avviluppa su se stesso, non taglia le spese politiche,  non fa riforme e non si preoccupa di scuola, lavoro e sviluppo. La verità è che Berlusconi si dibatte come un gigante morente fra mille insidie personali, il governo si divide sulle scelte da compiere, l’opposizione critica ma non propone altro che improbabili dimissioni spontanee del primo ministro, oltre a governi tecnici davvero poco credibili. In questa Italia tutto sembra schizofrenico, anche Emma Marcegaglia che, dopo aver lodato la manovra, dice anche che Berlusconi deve andarsene; come affermare che sebbene la nave sia stata tirata fuori dalla tempesta, il capitano vada buttato in mare. Dire tutto e il contrario di tutto, blaterare ed abbaiare alla luna,  sembra essere divenuto uno sport nazionale (o forse planetario), in una condizione in cui si respira la follia di momenti confusi e mancanti di lucidi pensieri e forti personalità capaci di indirizzi e di scelte. Come dice Berruti nel richiamato articolo, paradigma di questi difficili tempi è il fatto che la maggioranza governativa come progetto ha la cancellazione dei fatti, se coinvolgano il presidente del Consiglio e niente cancellazione invece se riguardano Penati. Ma, mentre la destra non esce da questa ed altre contraddizioni (non riuscendo neanche a pensare ad una sola cosa di destra), l’opposizione non ha un progetto, ma aspetta che venga rimosso l’ostacolo: la presidenza di Berlusconi . E non capisce che senza il “progetto” l’azione politica non si può configurare come alternativa. Ieri Berlusconi ha preso parte alla festa di Atreju della Meloni e si mostrato raggiante e spargente ottimismo, ma è sembrato un guitto al declino in una macabra danza di fine.  Stuzzicato dalla Meloni, il Cavaliere ha anche fatto riferimento alle modifiche apportate in questi anni dalla maggioranza e all’Europa: “Ogni volta che un governo intende aumentare l’età per la pensione si scontentano gli elettori. Quindi è molto difficile per un Paese aumentare l’età. Se l’Europa lo facesse e imponesse come obbligo a tutti i Paesi l’aumento dell’età, il governo può dire “ce lo impone l’Europa”. Non ultimo un aneddoto legato al vertice di Parigi con cui si decise l’intervento militare in Libia: “pensai di dovermi dimettere per essere fedele ai miei rapporti di amicizia con Gheddafi”; battuta degna di un personaggio che sa che il suo tempo è passato ed è passato male ed è solo alla ricerca di conservare brandelli di reputazione per i posteri. Il premier ha spiegato, con la plaudente Meloni affianco,  di stimare in particolare, “sopra gli altri”, due persone: Angelino Alfano e Gianni Letta e di verdrli bene, in futuro al Quirinale il primo e presidente del consiglio dei ministri il secondo, affermazione che alcuni hano accolto come un auspicio, mentre per altri è la solita boudate di uno che vuole mostrarsi generoso ma non ha alcuna intenzione di mollare. Ed ha affrontato anche (ben conscio di essere fra amici), anche il tema del “bunga bunga”, che a suo dire è “una cosa innocentissima fatta per stare allegri perché, ha aggiunto: “ a me piace cantare, raccontare un po’ le cose che si fanno, e poi fare quattro salti”. Commozione, poi, ha destato fra i giovani emuli di Atreju la confessione che quando era giovane formulò tre fioretti che ha sempre rispettato: “non ballare, non fumare e non giocare mai più”. Ma allora, si chiede lo scrivente, a quali “salti faceva riferimento  chiosando sulle innocenti feste di Arcore? Atreju è uno dei protagonisti del romanzo La storia infinita di Michael Ende, ossessionato da un incubo che lo perseguita. L’incubo che ossessiona Berlusconi è quello di sopravvivere a se stesso. Per i giovani della Meloni il simbolo quest’epoca calamitosa è Steve Jobs, l’uomo che ha insegnato come si cambia il mondo solo con la forza delle proprie idee. LO hanno detto al il Giornale poco prima della edizione numero 13 della loro festa, partita il 7 e che si chiuderà l’11 settembre (un caso?). Ma allora perché, ieri, non ha chiesto a Berlusconi di imitarlo e farsi da parte nel momento in cui diventa una peso e una minaccia per gli stessi suoi? Come diceva Heidegger, occorre lasciare che le cose, persone e oggetti, riposino nella loro essenza, non forzarli  inutilmente a essere ciò che non sarà mai e mai, di certo, Berlusconi sarà un personaggio alla Cumus o alla Fante. Scopro con piacere un bagaglio culturale cerio più affascinante di quello che caratterizza Scilipodi ed i suoi “responsabili”, nel DNA de “la Giovane Italia” della Meloni, che pare conoscano ed amino, oltre a Ende e Tolkein, Camus e Marimnetti ed ancora Bruce Chatwin, viaggiatore irrequieto armato di taccuino e curiosità;  John Fante, anticomunista e politicamente scorretto e Mordechai Richler, spirito libero e sarcastico: uno che avrebbe sempre votato extraparlamentare, per un cicchetto e un bel culo femminile. Ma, mi chiedo, a parte l’amore per certe “doti” feminnee, cosa avvicini questi intellettuali a Berlusconi, pure tanto applaudito ed amato dalla Meloni e dai suoi.  Nella pagella (pubblicata il 31 maggio scorso) di Anna Paola Concia in un’intervista a Grazia, la Meloni è definita “simpatica e coatta”;  ma la cosa più strana e che i due termine sono accostati senza alcuna contraddizione da una omosessuale dichiarata che milita nel Pd. Strano mondo davvero il nostro, molto più strano di quanto si possa immaginare. Un modo che, per dirla con Magritte, crea più di un istante di panico, da contrastare rientrando in noi stessi, per ritrovare qualcosa di sicuro a cui aggrapparsi. L’alternativa è  il rimpianto di tempi migliori, perché, diceva Ugo Ojetti: “Il rimpianto è il passatempo degli incapaci”.

Carlo Di Stanislao

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