Due commiati in musica ed un ricordo

 Persone molto diverse e con diversi destini e carriere Alberto Panatta e Gino Latilla, ma entrambi innamorati della musica, solo per passione il primo, per professione il secondo. Il primo l’ho conosciuto, 15 anni or sono a L’Aquila, in occasione di una delle prime edizioni del Festival Internazionale della Chitarra, colpito dal tono suo pensoso […]

 Persone molto diverse e con diversi destini e carriere Alberto Panatta e Gino Latilla, ma entrambi innamorati della musica, solo per passione il primo, per professione il secondo. Il primo l’ho conosciuto, 15 anni or sono a L’Aquila, in occasione di una delle prime edizioni del Festival Internazionale della Chitarra, colpito dal tono suo pensoso e dall’aria un po’ triste, che mi ricordata il “matematico nopeletano” del film di Martone. Ed un matematico era, professore di Fisica sperimentale presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali della città, con una competenza musicologica fuori dal comune, affinata con lo studio della chitarra, in anni giovanile, nei corsi di Pasqualino Garcia e Oscar Ghiglia. Disilluso e autore di frasi di ingenua saggezza (gemme sparse per annebbiare il giudizio critico), dandy eretico ed eterodosso, lo ricordo silenzioso e profondo, capace di frasi fosforiche che illuminavano anche i più bui universi e facevano capire, anche a me, in conflitto da sempre con le scienze, come l’influenza della fisica moderna sulla realtà non si limiti soltanto al campo politico, ma essendo priva di posizioni geografiche e uguale per tutti, giunga a unirsi e spesso a scontrarsi con le più antiche tradizioni di ciascun popolo (realtà, tempo, spazio). E’ stato lui, con pazienza ad insegnarmi, dopo i concerti e nei fugaci, indimenticabili incontri, che fino all’avvento della fisica moderna era opinione comune che il mondo potesse essere interamente conosciuto tramite l’osservazione diretta, che le cose sono ciò che sembrano, così come vengono percepite mediante i nostri sensi. Viceversa, lo spettacolare successo della fisica moderna, basata su concetti che, come quello di Feynman, sono in contrasto con l’esperienza quotidiana, ha dimostrato che le cose non stanno così. La concezione ingenua della realtà, pertanto, non è compatibile con la fisica moderna. Ho sempre trovato noiose fisica e matematica ma con lui e grazie a lui, ho scoperto che sono forme filosofiche rese concretamente scienza e sempre grazie a lui, ho compreso che le caratteristiche dell’impegno intellettuale che richiedono matematica e musica sono le stesse e le due esperienze arrecano, infine, il medesimo piacere. E’ stato lui, soprattutto, ad educarmi alla conoscenza del fatto che il ritmo, la scala musicale, la ripetizione e la composizione di elementi, sono caratteristiche musicali, che si sviluppano con regolarità in una composizione e che hanno molto a che vedere con la matematica; poiché matematica e musica, hanno avuto storicamente, da Pitagora in poi, un percorso comun ed anche la scrittura musicale, che costituisce un linguaggio simbolico, può essere vista come un sorta di “algebra” con simboli e regole di scrittura che rinviano a significati, nel caso della musica rinviano a suoni. Ora che è prematuramente scomparso, nella indifferenza generale, ci mancherà il suo sguardo penetrante e distante, la figura china come sotto un peso, il parlare sibilante, i contenuti profondi dei suoi pensieri, il suo essere come uno specchio in frantumi, in cui più che il disegno di una struttura, conta la forza centrifuga che da esso si sprigiona. Ben diversa la vita e la morte (su tutti i giornali) di Gino Latilla, che non ho conosciuto, se non nelle canzoni di mia madre, sua inestinguibile fan, quando ancora ciondolavo per casa, muovendo incerto i miei primi passi e vocalismi e gorgheggi. Nato nel ’24, cresciuto alla scuola del padre (il cantante Mario Latilla), esordì negli anni della seconda guerra mondiale al Teatro Manzoni di Bologna con Mailù e vincitore, nel 1955, del Festival internazionale della canzone di Venezia, insieme alla Boni e al Quartetto Cetra, con Vecchia Europa. “Tutte le mamme” fu il brano che gli regalò la vittoria del Festival di Sanremo nel 1954, cantata insieme a Giorgio Consolini. In quella circostanza, conobbe la moglie, Carla Boni, autrice di “Mambo italiano”. Si sposarono nel 1958 ed ebbero due figli Davide e Lusella, prima di separarsi. Numerosi i suoi successi, da ‘Vecchio Scarpone’ a ‘Casetta in Canada”, con una carriera interrotta negli anni ’60, quando lasciò il palcoscenico per dedicarsi alla dirigenza Rai. Fu coinvolto nello scandalo P2 di Licio Gelli, uno scivolone che comunque ora nessuno ricorda. Alle esegue, avvenute oggi nella Chiesa di Santa Caterina da Siena  a Firenze, c’era infatti una enorme folla commossa. Domani, infine, sarà il primo anniversario della morte di Norman Zarcone, il dottorando in Filosofia del Linguaggio, che si è tolto la vita lo scorso, gettandosi dal settimo piano della Facoltà di Lettere di Palermo, che amava la vita e, sopra ogni altra cosa, amava la musica. Norman sarà ricordato con una manifestazione che si svilupperà in vari momenti e noi qui lo ricordiamo, con le esequie, diversamente commosse, di due innamorati della musica, che, almeno nel caso di Alberto, sono stati quasi completamente traditi dalla vita.

Carlo Di Stanislao

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