Silenziosa – ma non rassegnata – e ferma nel chiedere giustizia. Questa è L’Aquila che oggi ha assistito alla prima udienza del processo alla Commissione grandi rischi, accusata di non avere informato compiutamente la popolazione dei pericoli legati di uno sciame sismico che andava avanti dal dicembre 2008 e che il 6 aprile 2009 culminò nella tremenda scossa che devastò il capoluogo, altri 56 comuni e provocò 309 vittime e oltre 1.600 feriti. Nessuno spirito di vendetta, nessuna manifestazione di protesta davanti al Tribunale né in aula. Nemmeno curiosi: gli unici “non addetti ai lavori” erano giornalisti, cameraman e fotografi (in tutto una cinquantina) accorsi, anche dall’estero, al processo nel quale oltre 60 parti civili – tra cui diverse associazioni di famigliari delle vittime e lo stesso Comune – cercano giustizia. “Quello che cerchiamo è la verità a 360 gradi”, ha detto Massimo Cinque, medico, che perse la moglie e due figli piccoli e si salvò solo perché era in servizio all’ospedale di Sulmona. “Ci sono responsabilità a livello più alto, ma anche più basso della Commissione grandi rischi. Speriamo che non finisca tutto come accade in Italia a tarallucci e vino”. Nelle quattro ore dell’udienza ci sono stati alcuni momenti di tensione soltanto in occasione dalle schermaglie tra gli avvocati di difesa, il giudice unico e i Pm per la costituzione delle parti civile e sulla velocizzazione del processo. Per il resto, i famigliari delle vittime hanno assistito in silenzio, rifiutando con cortesia e fermezza ogni dichiarazione. Solo alla fine il presidente dell’Associazione “309 martiri”, Vincenzo Vittorini, ha commentato con soddisfazione il “decisionismo” del giudice, Marco Billi, di voler procedere speditamente e ha ringraziato la “stampa internazionale e quella locale che conoscono le nostre ragioni e si occupano del processo, mentre quella nazionale ci sta censurando”. Anche tra i numerosi addetti ai lavori – forze dell’ordine e avvocati – c’é stato grande interesse con la sottolineatura che il processo non tende a stabilire che la commissione grandi rischi avrebbe dovuto prevedere il terremoto, ma che quell’organismo avrebbe dovuto attivare ogni iniziativa utile per allertare la popolazione e sollecitare l’attivazione di un piano, da parte degli enti, in modo da attuare il maggior numero di precauzioni possibili. Lo ha evidenziato Antonietta Centofanti – presidente dell’Associazione “Vittime della casa dello studente”: “Se non ci avessero detto ‘state tranquilli’, ci saremmo attenuti alla cultura aquilana di uscire dopo le scosse forti”. Fuori dalla cittadella giudiziaria la vita è proseguita come sempre, con il problema quotidiano della ricostruzione e la dignità e discrezione di una popolazione che, così come avvenne in occasione del sisma, ha mantenuto la compostezza. Un comportamento simile a quello avuto in occasione di precedenti processi nei quali imputati erano costruttori e progettisti negligenti.
L’Aquila silenziosa chiede giustizia
Silenziosa – ma non rassegnata – e ferma nel chiedere giustizia. Questa è L’Aquila che oggi ha assistito alla prima udienza del processo alla Commissione grandi rischi, accusata di non avere informato compiutamente la popolazione dei pericoli legati di uno sciame sismico che andava avanti dal dicembre 2008 e che il 6 aprile 2009 culminò […]
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