L’ultima omelia di Tettamanzi l’8 settembre, in Duomo, prima dell’arrivo del suo successore, con tutte le autorità schierate e, soprattutto cittadini in coda, dentro e fuori dalla cattedrale. La sua non è stata affatto una celebrazione formale, tanto che Tettamanzi ha confessato subito che il suo “saluto sereno e gioioso” era “accompagnato da quei sentimenti umani che sono legati ad alcune inevitabili forme di distacco”. Un’omelia insolitamente stringata e densa di ricordi commossi, quella pronunciata davanti al sindaco Giuliano Pisapia; al governatore Roberto Formigoni; al questore Alessandro Marangoni; alla presidente del tribunale, Livia Pomodoro; al presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, e a quello di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, e a uno stuolo di autorità civili e militari, e di vescovi arrivati non solo da tutta Italia, ma anche dall’estero. Ancora una volta, pensando forse agli attacchi che più di una volta gli sono arrivati dal mondo politico per le sue prese di posizione a favore dei poveri e degli immigrati, Tettamanzi ribadito di non aver provato “mai nessun risentimento” e di sentirsi un “seminatore di gioia e di pace”. La cattedra che fu di S. Ambragio, nella diocesi più grande del mondo, è passata di mano. Se ne è andato il cardinale Tettamanzi, allievo e successore del cardinal Martini ed è arrivato l’ormai ex patriarca di Venezia Angelo Scola, con 15.000 milanesi a dargli il benvenuto. “Nei vent’anni del mio magistero episcopale – ha spiegato Scola nel suo discorso d’insediamento, nel Duomo, dove è stato accolto e scortato dal suo predessore – ho avuto dolorosa e crescente conferma dell’attualità di questa diagnosi”, con persone che sembrano “sopraffatte dal mestiere di vivere”. E non può essere una scusa per la Chiesa “il male oscuro della cosiddetta crisi economica, finanziaria e politica”. Il cristianesimo, insomma, deve essere in ogni forma del quotidiano. E per i cristiani dalle scritture vengono alcuni orientamenti fra cui “la decisa assunzione degli obblighi sociali, attraverso l’esercizio delle virtù cardinali, prudenza giustizia, fortezza e temperanza, tanto necessarie per una vita associata in ogni Paese, soprattutto nel nostro”. Il nuovo arcivescvo di Milano, che prima di approdare in Piazza Duomo ha incontrato nella Basilica di Sant’Eustorgio, dove sono stati evangelizzati e battezzati i primi milanesi, 200 catecumeni che si stanno preparando al Battesimo, è certamente più gradito di Tettamanzi a quelli del Carroccio, con i gruppi consiliari della Lega Nord, dell’Udc e di una lista civica dell’aula provinciale di Monza e Brianza, che si sono opposti alla proposta formulata da un consigliere Pdl di scrivere una lettera di saluto e ringraziamento al cardinale uscente. A stupire in questa vicenda (ma neanche tanto, a ben ragionare) è il fatto che il no alla lettera di ringraziamento e saluto sia arrivato non solo dal Carroccio ma anche da Udc, da cui ci si sarebbe aspettati una posizione meno dura, e della Lista Ponti, vicina al Pd. Il rifiuto ha fatto tuonare il Pd. “La Lega Nord ha detto un no secco – è stato l’attacco del capogruppo Pd Domenico Guerriero che ha peraltro sottolineato l’origine brianzola del cardinale -. Anche in questa occasione il partito di Bossi non ha mancato di rimarcare la propria distanza da una figura che in questi anni è invece stata autorevole e a totale servizio della comunità”. Ma mentre quello della Lega Nord è un no grezzo, volgare, poco raffinato (sulla “distanza politica in tema di immigrazione”), più sottile e subdolo è il no della Udc, che riflette il malumore del rifiuto di Tettamanzi di avallare il progetto che vorrebbe far passare sotto l’ombrello vaticano la gestione della Università Cattolica, il che ha suscitato le ire di Bertone. Scola raccoglie un pesante fardello, una eredità fatta di molti problemi. Ad esempio, come scrive Lettera 43 on-line, le attese di un’incisiva azione sul seminario ambrosiano. Più di un sacerdote indica uno dei punti dolens della diocesi nella formazione dei nuovi presbiteri, sperando in un’inversione di rotta e in un’azione più attiva a livello vocazionale. Nulla contro gli attuali vertici del Seminario, ma di fronte al calo energico di vocazioni (e contestuale moria di clero anziano) occorre un impegno sempre più stringente in questo settore. Altre attese sono rivolte in una rivisitazione delle contestate unità pastorale troppo spesso vissute come calate dall’alto e imposte alle comunità parrocchiali. Alcuni accorpamenti di parrocchie hanno dato i frutti sperati, in altri casi hanno generato tensioni e incomprensioni. Per questo forse urge una correzione di rotta a livello di curia. Proprio da questo punto di vista si spera che Scola riveda gli organici e che proceda allo sfoltimento di alcuni uffici, in particolare di sacerdoti che potrebbero essere impiegati attivamente nelle parrocchie. Milano soffre una carenza di sacerdoti – come tutte le diocesi – ma, secondo alcuni parroci, attraverso una riorganizzazione dei diversi dicasteri di curia si potrebbero recuperare energie fresche, lasciando spazio a laici che potrebbero benissimo supplire in loro assenza. Ma, a giudicare dalle lettere, dagli scambi affettuosi di saluti e dalla prima omelia, non ci pare che Scola, uno degli allievi prediletti di Don Giussani, che torna nella “capitale” di Comunione e liberazione, sarà molto diverso dal suo predecessore. Ma non si può dire con certezza poiché il cielo ciellino (ora insediato a Piazza Fontana), è molto diverso da quello ambrosiano, cresciuto alla scuola di Montini e Colombo prima e i di Martini e Tettamanzi poi. Anche buona parte del folto clero milanese, di stretta formazione martiniana, che pure non aveva mancato di esprimere, talvolta rumorosamente, il suo esplicito disappunto per la nomina, appare piuttosto sospeso e in attesa dei passi del nuovo vescovo. D’altra parte, molta diffidenza si è sciolta a Madrid, nelle Giornate Mondiali della Gioventù, quando, di fronte alla legione di pellegrini ambrosiani, è avvenuto un inedito e pubblico “passaggio di consegne” tra l’uscente cardinal Tettamanzi e l’entrante Scola all’insegna di affettuosità non formali e di comune comprensione di un solido mandato di continuità religiosa. Inoltre, magari indipendentemente dalla sua volontà, il nuovo vescovo è per forza di cose chiamato a tutelare e a rafforzare l’autonomia e l’orgogliosa diversità della Chiesa ambrosiana, coltivata nel corso dei secoli (non foss’altro, per la peculiarità della sua liturgia) e che stesso Scola, brianzolo di Malgrate, ha recepito e respirato fin dall’infanzia. Caratteristica antica del prestigio e dell’autorevolezza della diocesi di Milano era (fin dai tempi di Carlo Borromeo) il fatto che l’autonomia orgogliosamente affermata avesse il suo naturale corrispettivo nel legame speciale con il Papa (con la persona e la figura del Pontefice e non con l’apparato e gli uffici vaticani) : riannodare e irrobustire questo cordone sfilacciatosi negli ultimi decenni è probabilmente tra i compiti più cari all’ex allievo di Ratzinger e suo stimato collaboratore nella rivista teologica “Communio”. Vedremo come Scola se la caverà e si comporterà anche nei confronti di fatti più “politici”, perché le sfide pubbliche non sono finite con l’esplicito appoggio alla “primavera arancione” del sindaco Pisapia da parte dei martini ani ed ora l’entusiasmo iniziale sembra dissolversi di fronte al riemergere di punte laiciste nell’amministrazione. E anche il dialogo con l’Islam e i nuovi migranti pongono urgenti interrogativi. Ma, forse, il fatto che Scola abbia già 70 anni, lascia pensare che lui sarà solo un ponte, un elemento di transizione, un’anticipazione della vera scelta per la diocesi più grande del mondo. Il giorno prima il passaggio di consegna del pastorale di San Carlo, il banchiere cattolico Giovanni Bazoli , in un articolo scritto su Ilsussidiario.net, ha censurato il l clima di sospetto di queste ore e che ricorda quello che precedette la nomina di Scola a patriarca di Venezia nel 2002, per la sua “vicinanza a un movimento ecclesiale che, a torto o a ragione, non era ritenuto affine a quella vocazione al confronto e al dialogo tra culture e civiltà diverse che la storia e la tradizione hanno inscritto nel Dna della città lagunare”. Naturalmente Bazoli parla da presidente della veneziana fondazione Cini, ma a Milano il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo non è uno qualsiasi. E non solo per la sua influenza sul Corriere della Sera, ma anche per i suoi strettissimi rapporti con il cardinale Carlo Maria Martini, il predecessore di Tettamanzi sulla cattedra che fu di Ambrogio. E allora, forse, a sorpresa, il ciellino Scola stupirà un po’ tutti. C’è chi teme l’attivismo “affaristico” della ciellina Compagnia delle opere e chi crede che la nomina sia per compensare il proppo sinistrorsi Pisapia. Ma noi sappiamo che molte spesso la Chiesa è capace di sorprendere. Tettamanzi si è dedicato con passione all’annuncio del Vangelo. Il problema è che in questi anni la politica ha coltivato la paura dell’altro e strumentalizzato il pensiero di chi affrontava certe questioni senza pregiudizi. Ora, forse, Scola riuscirà a risolvere i problemi che riguardano i rapporti fra CL e Università Cattolica, fra cristianesimo ed islamismo, fra calo delle vocazione e necessità di nuova guida, in un mondo fatto di confusione. Ricostruendo una complessa vicenda che dura da quasi mezzo secolo, quando Martini, dal rettorato del prestigioso Pontificio Istituto Biblico di Roma, arriva a Milano (è il 1979), la Lombardia è la capitale dell’organizzazione parrocchiale del cattolicesimo italiano, in cui l’Azione Cattolica conserva ancora un ruolo rilevante, nonostante la scossa della contestazione studentesca di quegli anni. Nei primi anni ottanta comincia ad andare in crisi la convinzione che la Democrazia Cristiana possa da sola esprimere le istanze del mondo cattolico e, di conseguenza, comincia ad essere ripensata in modo critico l’idea stessa di unità politica dei cattolici. Ciò non poteva non sortire effetti anche nel dibattito interno al mondo cattolico. Una certa vulgata ha insistito, un po’ rozzamente a mio avviso, sul dualismo tra Giovanni Paolo II e Martini, dimenticando che a volere il gesuita biblista a capo della diocesi più grande del mondo fu proprio Wojtyla in persona, suscitando le sorprese di tanti (e anche l’avversione di qualcuno). Però è vero che in un certo qual modo il confronto dialettico- ecclesiologico Wojtyla-Martini c’è stato per davvero, perché il Papa polacco avvertì la crisi del tradizionale associazionismo cattolico (espresso dall’Azione cattolica, appunto, e dal suo settore universitario, la Fuci) e volle subito porvi rimedio. Come? Lo rileva lo studioso Massimo Faggioli nella sua Breve storia dei movimenti cattolici (Carocci editore): “Una decisiva svolta nella politica vaticana e nel magistero papale sui movimenti si è avuta col pontificato di Giovanni Paolo II. Fin dai primi anni del pontificato si erano sviluppate le riflessioni sui movimenti da parte di Wojtyla”. Nello stesso tempo “la scelta religiosa” compiuta dalla presidenza di Azione Cattolica guidata da Alberto Monticone cerca di esorcizzare la crisi politica della Dc affinché l’emorragia di consensi democristiani non si riverberi anche sul numero degli associati di Azione Cattolica. Il tentativo fallirà, anche perché frattanto Wojtyla aveva sposato la linea di appoggio ai movimenti ecclesiali, in primo luogo a Comunione e Liberazione di don Luigi Giussani. E la partita, complessissima e fra avversari formidabili, dura ancora oggi. Martini aprì le porte del duomo di Milano agli atei, proponendo dialoghi fra cattolici e non credenti su temi di politica e di cultura, legandosi alla tradizione degli studi patristici di Giuseppe Lazzati, in cui la chiave di lettura era costituita dalla “contaminatio” fra il pensiero dei Padri della Chiesa e la “romanitas” e la “barbaritas” del decadente impero romano. Primalui e poi Tettamanzi, inoltre, hanno spostato anche l’oggetto del confronto: dai temi sociali ai temi etici, certamente favorendo il ruolo di baricentro a favore della Conferenza episcopale italiana, aiutati in questo dalla guida (intelligente) del cardinale Camillo Ruini. Ma poi, le posizioni del cattolico ciellino Roberto Formigoni che dialoga con i laici non-laicisti (o, se preferite, con gli atei-devoti), vengono condivise dalle alte gerarchie vaticane, più di certe sortite polemiche di Tettamanzi nei riguardi dei laici non-laicisti e la Conferenza Episcopale perde di potere. Pur con meno vigore teologico di Martini, Tettamamnzi ha continuato a fare di Milano un laboratorio di idee progressiste. Nel gennaio 2008 l’arcivescovo scrisse una “Lettera agli sposi in difficoltà” in cui si riconosceva di fatto l’esistenza del problema dei divorziati, promettendo vicinanza della chiesa, seppur ribadendo l’impossibilità ai sacramenti. Ne nacque una piccola polemica ecclesiale, che proprio dal Vaticano smorzò spiegando che il cardinale di Milano era perfettamente nel solco del pensiero di Benedetto XVI in materia. Più prudente dottrinalmente, Tettamanzi è oggi comunque all’avanguardia nell’episcopato per le sue iniziative sociali. Dopo l’iniziativa del fondo di solidarietà per le famiglie in difficoltà, ora ha appena pubblicato anch’egli un libro, “Non c’è futuro senza solidarietà. La crisi economica e l’aiuto della chiesa”(San Paolo), che si presenta come una vera e propria enciclica sociale ambrosiana: “Ritengo doverose un’approfondita riflessione e una formazione seria sui temi della solidarietà”. Battendo sul tempo il Papa che non aveva ancora finito di sistematizzare la sue idee per la sua enciclica sociale. Poiché Tettamanzi, nel suo mandato, si è servito di un pensatoio e di osservatori locali attenti, è riuscito anche a riflettere sul modello economico entrato in crisi, sugli stili di vita che oggi non reggono più, ma che già ieri generavano malessere e disuguaglianza. Ma, forse, proprio per questo è stato sostituito, anche perché gode di buona stampa, soprattutto a sinistra e fra i suoi sostenitori, oltre a Fabio Fazio, vi è anche il “rossissimo” Gard Lerner. Nella sua “Vita di S. Ambrogio”, Agostino di Ippona ricorda come quell’uomo riuscì a superare e conciliare mondi in contrasto e trovare un equilibrio in un mondo al collasso. Forse è questo, da sempre e per sempre, il ruolo che i suoi discendenti debbono adempiere, nel bene e nel male.
Carlo Di Stanislao
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