Bruno Forte, Una teologia per la vita. Fedele al cielo e alla terra

S’intitola ”Una teologia per la vita”, ma in copertina poteva starci anche “Una vita per la teologia”. E non si sarebbe dovuto cambiare il sottotitolo:“Fedele al cielo e alla terra”. Che vale tanto per la teologia raccontata in queste pagine, quanto per il profilo del teologo qui sbalzato: Bruno Forte, il sessantaduenne arcivescovo di Chieti-Vasto. […]

S’intitola ”Una teologia per la vita”, ma in copertina poteva starci anche “Una vita per la teologia”. E non si sarebbe dovuto cambiare il sottotitolo:“Fedele al cielo e alla terra”. Che vale tanto per la teologia raccontata in queste pagine, quanto per il profilo del teologo qui sbalzato: Bruno Forte, il sessantaduenne arcivescovo di Chieti-Vasto. In questo nuovo libro, rispondendo alle domande di Marco Roncalli, ripercorre –con la sua- la vita della teologia di oggi, mettendola in relazione con la filosofia e l’azione pastorale, le religioni e la bioetica, l’educazione e la vita quotidiana; parlando di fede vissuta e pensata, cercata e negata; dilatando il suo sguardo ai diversi continenti da lui più volte visitati; offrendo un rapporto pur sotto la forma di un volume intervista- sulla ricerca di Dio nel nostro tempo, la crisi della postmodernità, il confronto tra identità e dialogo, il futuro del cristianesimo. Ecco il contenuto di queste pagine per i tipi dell’Editrice La Scuola. Napoletano, sacerdote dal 1973, dottorato in teologia nel ‘74 e in filosofia nel ‘77, dottorato “honoris causa” dell’ Università Cattolica di Lublino nel 2004, “Theologischer Preis” conferitogli a Salisburgo nell’agosto scorso, già professore di dogmatica alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (di cui è stato preside e decano), autore fra i più tradotti e apprezzato conferenziere (ha tenuto corsi a interi episcopati e si è fatto conoscere persino in Cina), arcivescovo di Chieti-Vasto dal 2004; presidente della Commissione per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei dal 2005 al 2010, membro di Pontifici Consigli e importanti Commissioni… Ecco ricordato il profilo di Bruno Forte, il pastore di un’antica diocesi del Centro Sud d’Italia che più di altri ha scandagliato il rapporto tra fede e storia,confrontandosi con le voci più autorevoli del nostro tempo. Ecco l’uomo di Chiesa che crede  nella possibilità di parlare in tanti modi di Dio in quello che è sì tempo del crollo delle ideologie e della ragione totalizzante, ma pure del trionfo dell’identità ripetuta senza rivelare l’altro. Ogni itinerario ha però un punto di partenza. Per Padre Bruno è Napoli. Qui la sua famiglia, la sua formazione, i primi incontri che hanno segnato la sua vita, le esperienze in seminario e in parrocchia. Poi i primi studi oltralpe: a Tubinga con Walter Kasper e Jürgen Moltmann; a Parigi con Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, Henri de Lubac… E i primi libri di successo. E ancora esperienze fondamentali di primo relatore. Al convegno della Chiesa italiana a Loreto nell’85 suscitando contrapposte accoglienze. All’assemblea delle Chiese europee di Erfurt, un anno prima della caduta del Muro di Berlino. Di quel periodo -fra gli anni ’80 e ‘90- l’arcivescovo ha però anche altri ricordi: l’impegno pastorale e i viaggi  intercontinentali: Africa, Asia, America, Asia… Con ricordi interessanti della Cina (dove ha constatato che fra gli uomini del Partito persistono concezioni legate a una scarsa conoscenza del Concilio Vaticano II)  o dal Bangladesh (dove lo hanno interrogato missionari sconcertati dalle ondate di  pluralismo e relativismo religioso). Ma che tipo di uomo di Chiesa esce da questa lunga intervista? Forte applica a sé la definizione riservata anche al suo educatore e padre spirituale, monsignor Luigi Diligenza:“Lui in un certo senso era – e lo dico usando categorie forse non adeguate – un progressista, dalla mentalità aperta, ma fedelissimo nei valori fondamentali: è ciò che io sento nella mia identità profonda”. Si smarca da parecchi teologi e, ad esempio, definisce inaccettabile la proposta di Hans Küng dove “la differenza del cristianesimo sparisce”. Si sofferma a lungo sull’idea di “glocal”: l’unione tra gli aspetti positivi della globalizzazione, global, e quelli della valorizzazione del territorio, local :“nessuna realtà al mondo è  glocal  quanto la Chiesa cattolica”.Richiama gli anni in cui ha lavorato sui suoi volumi oggi suddivisi fra i cicli della Simbolica, della Dialogica e della Poetica. Il passato ritorna qui anche con le sequenze della preparazione del documento Memoria e Riconciliazione, nel 2000 (occasione, fra l’altro, per conoscere da vicino il cardinal Ratzinger), e quelle degli Esercizi al Papa con Giovanni Paolo II (che lo volle vescovo nel 2004). Fissato quest’anno come tappa di svolta, l’intervista allarga l’orizzonte e passa in rassegna i rapporti della teologia con il magistero, la psicologia, la comunità credente… Anche alla luce del suo lavoro di oggi a Chieti. Senza dimenticare gli incontri con i bambini in cattedrale  o le dispute all’università , la solidarietà dei teatini e la situazione delle parrocchie. Si parla dell’ “educazione alla vita buona del Vangelo” obiettivo della Cei per il nuovo decennio (anche se, dice: “forse, la formula può essere percepita come un po’ debole: la vita del Vangelo o è buona o non è vita secondo il Vangelo!”) .Via via l’intervistato non si sottrae alle domande più difficili. Sull’identificazione delle sfide nella trasmissione della fede oggi: la questione di Dio, la dignità e la libertà dell’uomo, i vincoli di comunione e l’arcipelago delle solitudini, l’identità e il dialogo. Infine la conversazione sfocia in un tour geoteologico: dall’Asia al Nord America, dal Sud del mondo all’Oriente, l’ortodossia, l’ebraismo,l’islam… Ma non si dimenticano i quesiti sul valore della vita, il dominio sulla natura, la morte e il dolore innocente Insomma: l’amore e il bene, il primato di Dio, ma anche le impronte del Male, di Satana (con Forte che descrive persino un suo esorcismo). E l’avvenire del cristianesimo?: “Si tratta in ogni caso di mettere al primo posto non un interesse mondano o un calcolo politico, ma l’esclusivo interesse alla causa della verità di Cristo e della sua giustizia; si tratta in nome di questo di giocare la propria vita

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