Bonelli ha posato la matita, per sempre

Ha appassionato più di due generazioni di lettori e ha fatto sì che il fumetto fosse considerato un possibile “genere letterario”. Sergio Bonelli, il papà di Zagor e Mister No e l’editore di Tex e Dylan Dog, è morto l’altro ieri a Milano e, porgendogli l’estremo saluto, il sindaco Pisapia (uno dei suoi più accanniti […]

Ha appassionato più di due generazioni di lettori e ha fatto sì che il fumetto fosse considerato un possibile “genere letterario”. Sergio Bonelli, il papà di Zagor e Mister No e l’editore di Tex e Dylan Dog, è morto l’altro ieri a Milano e, porgendogli l’estremo saluto, il sindaco Pisapia (uno dei suoi più accanniti lettori) ha detto: “Sergio Bonelli ha appassionato con i suoi fumetti generazioni di ragazzi e adulti. Ci lascia l’eredità della sua arte: i suoi personaggi, da Tex Willer a Dylan Dog, sono entrati nella storia dei cartoon, emozionandoci con le loro avventure che ci hanno fatto sognare e che ricorderemo sempre Cittadino benemerito di Milano, ha avvicinato alla lettura generazioni di ragazzi. La sua casa editrice è la maggiore impresa editoriale italiana nel campo del fumetto.” Con storie appassionanti ed interminabili, Bonelli è riuscito, come pochi altri, ad influenzare l’industria culturale, con vicende in cui i personaggi non raccontano una storia, ma, al contrario, è la storia che li racconta. Oltre a Tex e Zagor, Bonelli era molto affezionato a Mister No, serie terminata nel 2006, che racchiudeva la sua passione per i viaggi e per l’Amazzonia. Negli anni più recenti, ha salvato il fumetto con Dylan Dog, metafora di un universo cambiato e difficile, in cui l’orrore e sempre più visibile e non si può più tenere nascosto. Aveva cominciato come sceneggiatore di Zagor, con lo pseudonimo di Guido Nolitta, per poi proseguire a capo della casa editrice, contribuendo alla creazione di sempre nuovi personaggi, fino a raccontare un contemporaneo minaccioso, celato dal volto cibernetico di Nathan Never o dai segreti di Martin Mystère. Bonelli ha saputo, elevare i suoi albi da semplice strumento di intrattenimento di massa a un prodotto con una riconoscibile dignità culturale ed ora che è scomparso, vinto da una grave malattia, l’Italia sembra più vuoto, più appiattita e con sempre meno per cui essere fieri. E’ uscito in questi giorni il primo romanzo, intitolato “Zita” ed edito dal Saggiatore, del saggista Enrico Deaglio, che dietro la storia, iniziata con i 100 anni della’Unità d’Italia e terminata oggi, con i 150 anni; ci dice di quanto sconfortante possono essere le perdite, in un Paese un tempo orgoglioso e che ora ben poco conserva. E noi vecchietti che ancora ci appassioniamo per le cose (libri, arte, giornalismo, politica) di qualità, dobbiamo non solo renderci conto che questo, anche nel fumetto, è perduto, ma che soprattutto ai giovani consegniamo un vuoto davvero difficile da riempire. Definito destrorso e maschlista, Bonelli era invece autore grande e sensibile che, ad esempio, portando del femminile, ha ancora molto da insegnare a tanti osservatori di oggi, apparentemente più sensibili e corretti. Le donne che entrano nelle sue avventure sono affascinanti, imprevedibili, un po’ diaboliche, ma sempre leali. Un modello plasmato sull’immagine dell’amatissima moglie indiana Lilyth, che troppo presto lo aveva lasciato. Ed è forse nella fedeltà a questo struggente ricordo, che si cela il segreto della tenacia con cui le sue eroine (come gli eroi dei racconti), tenacemente perseguono ogni genere di malvivente che capita sulla loro strada: banditi, trafficanti d’armi e d’alcol e politici corrotti. Nel 1961, dopo un breve rodaggio con “Verdugo Ranch”, una serie di produzione argentina di cui riscriveva i testi adattandoli al gusto italiano, e dopo una breve esperienza di sceneggiatore in proprio con due serie, “Il Giudice Bean” e “Un Ragazzo nel Far West”, che però lasciò presto nelle mani del padre Gianluigi, l’editore Sergio Bonelli decise di mettere a fuoco la saga di un nuovo personaggio, di cui avrebbe scritto egli stesso i testi, affidandone la parte grafica a un giovane disegnatore dal tratto veloce e deciso, Gallieno Ferri. Fu allora che nacque l’idea di “Zagor”, una serie apparentemente western, in realtà puramente fantastica dove, come in un pentolone alchemico, potevano mischiarsi tutte quelle suggestioni che Bonelli, appassionato spettatore di cinema e soprattutto vorace lettore di fumetti e di romanzi d’avventura, aveva assimilato negli anni precedenti: un po’ di don Chisciotte e un po’ di Tarzan, un po’ di Robin Hood e un po’ dell’Uomo Mascherato. E questo asse direttivo, Bonelli, non lo ha mai abbandonato. Nel 2008, in occasione dei 70 anni di Tex, fu rieditato, con le magnifiche illustrazioni di Aldo Di Gennaro, il suo romanzo Il massacro di Goldena, uscito nel 1951. Ricordo di averlo trovato (nella edizione originale), nel 1961, quando avevo otto anni, fra le carte di mio padre e, ricordo, l’epico finale: un piccolo capolavoro pieno di risonanze omeriche che ci fa capire, come si crea la conoscenza di un problema (quello dei Nativi Americani) fra le pieghe di un racconto e, ancora che il cinema la letteratura americana ha certamente raccontato la leggenda e l’epopea storica del Far West; ma solo la cinematografia ed i fumetti italiani hanno saputo celebrarne il mito, un mito che è fatto non solo da Tex ma anche dal meno noto Giudice Bean: serie composta da sole cinque avventure (di cui una scritta con il padre Gianluigi), affidate ai pennelli di Sergio Tarquinio, pubblicata nel 1963 (ero già grande ed i fumetti me li compravo), sui primi cinque numeri de Gli Albi del Cow Boy.

Carlo Di Stanislao

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