No alla Lis come lingua

Alla proposta di legge C. 4207  giunge un secco “no” che rappresenta un “chiaro passo indietro”.  Ad affermarlo è stato oggi il Comitato nazionale dei genitori e familiari dei disabili uditivi . Secondo il Comitato “il riconoscimento della Lis rappresenta necessariamente la definizione di una minoranza linguistica e l’appartenenza ad essa in base a un […]

Alla proposta di legge C. 4207  giunge un secco “no” che rappresenta un “chiaro passo indietro”.  Ad affermarlo è stato oggi il Comitato nazionale dei genitori e familiari dei disabili uditivi . Secondo il Comitato “il riconoscimento della Lis rappresenta necessariamente la definizione di una minoranza linguistica e l’appartenenza ad essa in base a un deficit sensoriale. Ma i nostri ragazzi non vogliono riconoscersi in questa minoranza, vogliono essere a tutti gli effetti italiani- sostengono. Riconoscere la Lis nuoce invece gravemente all’applicazione del protocollo sanitario che da quarant’anni consente a tutti i bambini audiolesi il recupero uditivo e l’acquisizione della lingua italiana”.
Secondo Paolo Pagnini, presidente della Società italiana di audiologia e foniatria (Siaf) è necessario, invece, puntare su diagnosi precoci, che permettono di intervenire fin dai primi mesi di età sul recupero dei bambini sordi. “Se si interviene tempestivamente i bambini riescono a sentire e anche a parlare, perché oggi possediamo protesi sempre più potenti- spiega Pagnini-. Oggi dopo un lavoro di 50 anni, i bambini sordi non vengono più notati nella società, perché non ci si accorge più del loro handicap. E questo è un risparmio anche per lo stato. Per questo il fatto che si parli ancora di Lis come alternativa ci fa arrabbiare. Chiunque cerchi di farci tornare indietro, ripropone soltanto cose anacronistiche”. Elio Marciano, presidente della società italiana di Otorinolaringoiatria (Sio) ha ricordato che  tutto il mondo accademico ha firmato un documento di appoggio alla lingua oralista come lingua che devono sviluppare i bambini ipoacustici. “Se il bambino riceve una diagnosi di sordità a tre mesi e viene seguito da subito, già a 6 mesi ha  uno sviluppo uditivo pari a un bambino udente”.

Secondo il Comitato il riconoscimento della Lis sottintende anche un aggravio della spesa dello Stato italiano per la formazione e l’inserimento degli interpreti nelle strutture pubbliche, togliendo risorse per l’applicazione  del protocollo sanitario. “Quando non c’erano le protesi ai sordi si impediva di usare il linguaggio mimico-gestuale, oggi che le protesi ci sono si esalta la lingua dei segni, ma la lis non è altro che  linguaggio mimico gestuale ribattezzato – aggiunge Giuseppe Gitti, direttore del Centro di rieducazione ortofonica-. Qualcosa non quadra. Non trovo una ragione né scientifica né morale ed etica che possa giustificarne l’uso. Il gesto uccide la parola, noi dobbiamo cercare invece di tenere alla normalità”.

Il Gruppo dei genitori dei disabili auditivi ha ribadito la volontà di lottare per il diritto alla salute dei propri figli. “La lis non è un interesse dei sordi, loro avrebbero voluto parlare- sottolinea Laura Brogelli, mamma di un bambino sordo. Le fa eco Valentina Paoli, sorda dalla nascita: “La posizione del Comitato per qualcuno è impopolare, sembra una cattiveria impedire allo Stato di fare una legge a tutela di una parte. Ma già ora la sordità è ampiamente tutelata in tutti i sensi. La proposta di legge 4207 sposta invece  l’attenzione dalla patologia all’antropologia e considera sordità come uno status”. “Se vogliamo realizzare la partecipazione dei disabili uditivi alla vita sociale- conclude Alfio Desogus presidente dell’associazione retinopatici- queste persone non devono aver bisogno dell’interpretariato. La Lis, invece,  rappresenta il riconoscimento del nostro fallimento come stato e come cittadini”. (ec)

2 risposte a “No alla Lis come lingua”

  1. Melania Vaccaro ha detto:

    Sono Melania Vaccaro, presidente di Vedo Voci, Associazione di genitori di bambini sordi. La nostra associazione di volontariato, opera da 18 anni nell’ambito della sordità, ed ha tra gli scopi principali, quello di supportare lo sviluppo delle abilità cognitive dei nostri figli fin dalla prima infanzia.
    Dall’articolo del “Comitato nazionale dei genitori e familiari dei disabili uditivi” del quale non so nulla (Chi sono? Da quanto tempo operano?), sembra che, se si sceglie l’approccio bilinguista, Lingua italiana/Lingua italiana dei segni, si voglia contestualmente negare la riabilitazione tesa allo sviluppo uditivo dei bambini. Ma scherziamo? Tutti i genitori desiderano che il proprio piccolo sordo possa parlare. Tutti. Sia che si scelga l’approccio oralista piuttosto che quello bilingue. Qualsiasi genitore che scopre di avere un bimbo sordo, segue lo stesso iter: visite specialistiche, protesizzazione e logopedia. Concordo con le affermazioni dei Professori Pagnini e Marciano sulla diagnosi precoce, ci mancherebbe altro. Tutti i nostri bambini e ragazzi si sottopongono a sedute di logopedia, tutti sono protesizzati e molti parlano correttamente.
    La differenza sta solo nella scelta educativa.

    Scoperta la sordità, la prima domanda che un genitore si fa è: COME FACCIO A COMUNICARE SUBITO con il mio bambino? Personalmente la risposta l’ho trovata, dopo aver sentito tutti i pareri possibili, nell’educazione BILINGUE lingua dei segni / lingua orale (nella sua forma scritta e, ove possibile, parlata). La lingua dei segni permette di:
    1. Comunicare con i genitori ed il resto della famiglia il più presto possibile.
    2. Sviluppare abilità cognitive fin dalla prima infanzia.
    3. Acquisire conoscenza del mondo.
    4. Comunicare pienamente col mondo che ci circonda.

    Mi ha negativamente colpito l’affermazione di chi ha scritto l’articolo a firma (ec): “Oggi dopo un lavoro di 50 anni, i bambini sordi non vengono più notati nella società, perché non ci si accorge più del loro handicap”. Ma l’handicap c’è, caro signore o signora. Sembra che per lei sia una priorità nasconderlo… I genitori della nostra Associazione di volontariato, non nascondono la sordità dei figli e neanche la “sbandierano”, semplicemente il dolore iniziale per la sordità, si è trasformato in ricchezza, per tutti noi.
    Non è vero che un bambino educato con l’oralismo avrà un futuro migliore di quello educato al Bilinguismo (Italiano/Lis). E non voglio neanche affermare il contrario, ma sono sicura del fatto che un bambino in difficoltà ha bisogno di tutti gli strumenti immaginabili, TUTTI, compresa la possibilità di usare la Lingua dei segni.
    E’ sacrosanto per tutti poter accedere alla conoscenza e se questo avviene con un approccio globale, è sicuramente più efficace. Per un bambino sordo è necessario attivare tutti i sistemi possibili e quindi mi è sempre più difficile comprendere perché mai ci siano delle persone così ostinatamente contro la Lis…

    Melania Vaccaro

    http://www.vedovoci.it

  2. Roberto ha detto:

    Non vedo perchè i sordi debbano essere riconosciuti come minoranza linguistica.
    Molti sordi (anche con sordità non profonde) educati al bilinguismo hanno bisogno di un interprete ovunque vadano: bisogna chiedersi come mai?
    Con tutta onestà, mi domando anche: può la LIS migliorare le competenze cognitive e linguistiche? NON SEMPRE.

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