In troppi forse hanno dimenticato che ancora nel 1966, in Italia, la contraccezione era considerata un reato contro la stirpe o che la potestà, in famiglia, era un esercizio esclusivo dell’uomo. E che bisognò aspettare il 1980 perché fosse abolito il “delitto d’onore”. Ma non lo ha dimenticato la giovane regista Alina Marazzi, assieme ad altre conquiste civili: l’introduzione del divorzio, la legalizzazione della pillola, il nuovo diritto di famiglia, la legge 194 sull’aborto, la violenza sessuale finalmente considerata un delitto contro la persona e non contro la morale. La produzione di Vogliamo anche le rose parte da un desiderio della regista di scoprire nuovamente il movimento femminista degli anni ’70 e di trovare una sua espressione nel mondo moderno. Le scene sono provenienti soprattutto da scorci di interviste, spot, o filmati amatoriali, raccolti da archivi cinematografici (Rai Teche, Aamod, Cineteca di Bologna, Cineteca Italiana, Centro Sperimentale di Cinematografia, Cineteca del Friuli, Cinefiat) o nelle case di persone coinvolte negli eventi mostrati nel documentario. Esse sono unite alle voci narranti delle tre protagoniste che raccontano la propria vita intima e le loro sensazioni di fronte a un mondo che sta cambiando ed è pronto a mettere in discussione tutte le convenzioni sociali. Lidia Ravera riferendosi ai contenuti del film, ha detto: “Me la ricordo bene l’eccitazione, ma anche l’ansia. Dovevamo inventarci un modo nuovo di essere donne”. Il film è l’occasione centrale del terzo incontro della rassegna, ideata e realizzata dalla’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, dedicata alle donne, partita a Celano il 6 ottobre e che si concluderà il 28, dopo sette incontri. Finanziata per intero dalla One-Group, piccola ed attivissima impresa editoriale aquilana, “Frammenti di donna”, vuole essere una zoommata sul complesso universo femminile, raccontato attraverso il cinema, la fotografia, la musica e le parole: quelle che scaturiscono dai vari dibattiti nel corso dei diversi incontri. Animato dal dott Fabrizio Mancini e Rosa Elia e dai Proff Carolina Lettieri e Paola Giovannucci, il terzo incontro si svolgerà a Sulmona, presso l’Auditorium, con inizio alle ore 10, il 13 ottobre e vedrà la partecipazione degli alunni e dei docenti delle Scuole Medie Cittadine. Il documentario di Alina Marazzi, il primo prodotto italiano scaricabile anche si Ipad, come il precedente della stessa autrice ( Un’ora sola ti vorrei sulla vita e la morte della madre Lisa Hoepli), è un film di montaggio. Ma, contrariamente all’altro, è fatto di materiali eterogenei: cinecronache, dibattiti TV, film indipendenti, disegni animati, immagini di fotoromanzi, filmini in Super 8, pubblicità, 3 diari di donne scritti nel ’67, nel ’74 e nel ’78-’79, trovati nell’Archivio Nazionale dei Diari di Pieve Santo Stefano (AR) e letti dalle voci di 3 attrici (Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti). Il racconto è una rievocazione e un’indagine sullo scenario dei movimenti femminili e femministi del ventennio 1960-79. Si snoda su 2 linee narrative che s’intersecano tra loro come i due poli di una dialettica tra pubblico e privato. Sul versante pubblico: la trasformazione dei modelli socioculturali per opera delle lotte femministe e civili sul divorzio, l’aborto, la contraccezione (rimasta per legge sino al 1971 “reato contro la stirpe”), la violenza sessuale. Sul versante privato: i racconti in prima persona di 3 donne provenienti da ambienti e culture diverse. Aiutata nel montaggio da Ilaria Fraioli, l’autrice ha fatto interagire le componenti di un materiale così caleidoscopico anche per restituire, come lei stessa dice, “la temperatura estetica e formale di quel periodo”. Risulta evidente in questo resoconto del passato prossimo il forte aggancio col presente dell’Italia del primo 2000. La lotta per l’autodeterminazione del corpo della donna e della sua sessualità e tutt’altro che finita. A scandire il film ci sono i diari di tre ragazze senza volto, Anita, Teresa e Valentina, che nella Milano del 1967, nella Bari del ’75 e nella Roma del 1979 vivono i problemi che condividevano con tante altre coetanee: l’impreparazione al sesso di chi si affaccia alla vita e al matrimonio (che allora si identificavano fin troppo strettamente) e che diventa immediatamente paura e angoscia dell’altro; l’esperienza dell’aborto clandestino pur attutito dalla rete di solidarietà dei radicali; la difficoltà di accettarsi fino in fondo e di trasformare la militanza femminista in una identità forte e condivisa. Letti rispettivamente da Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti, gli estratti dai tre diari, che componogono il motivo del film, comunque, servono solo come prima traccia, a indicare un percorso che Alina Marazzi ricostruisce soprattutto attraverso uno sterminato materiale d’archivio e un ancor più straordinario lavoro di regia e di montaggio. Con una libertà inventiva e creativa davvero ammirevole, il film mescola materiale pubblicitario a quello documentario, pezzi di inchieste televisive (si riconosce la mano di Comencini e del suo Gli italiani e l’amore) e interventi militanti (Grifi con Anna e le riprese del Parco Lambro; Lombardi e Lajolo), fotoromanzi (grande Paola Pitagora che fa propaganda alla pillola) e reportage. Anche il call center che Brunella Gasperini aveva organizzato negli anni Settanta per le lettrici di Annabella, dove alla lettura dei tarocchi si intrecciava la consulenza psicologica. L’ambizione – riuscitissima – è quella di ricostruire non tanto uno percorso cronologico attraverso l’Italia dei Sessanta e dei Settanta ma piuttosto di restituire un’atmosfera, una identità collettiva, un’immagine condivisibile senza essere di parte. Un particolare plauso alla professionalità mostrata dai dipendenti della Lanterna Magica, nel realizzare, anche in sedi non completamente adatte, proiezioni ed incontri di altissimo valore culturale, sociale ed artistico, che documentano, se ne ve fosse ancora bisogno, il ruolo centrale che il cinema oggi vive nel contesto civile, come momento di dibattito e di crescita, individuale e collettiva. Tornando al film-occasione della terza puntata di “Frammenti di donna”, affida al femminismo e alla coscienza femminile il compito di unificare tutto quel materiale, ma lo fa con una ricchezza di punti di vista e di angolazioni che evitano qualsiasi settarismo o ideologismo. E ci riesce anche, se non soprattutto, per forza di stile, lavorando sul montaggio, frantumando le sequenze per conservare solo immagini davvero significative, capaci di «parlare» anche senza bisogno di parole. Che si tratti del volto silenzioso di una donna o dei cori rumorosi delle manifestazioni, dell’immagine stereotipata di una copertina o di una sequenza strappato dal contesto. In questo modo la difficoltà di un percorso civile e sociale ma anche la complessità e la contraddittorietà della presa di coscienza femminista vengono raccontate senza pregiudizi, con curiosità, passione e ironia (impagabile, ma molto significativo dei tempi, lo sfogo di Valentina: “Mi sento una clitoridea che non accetta il rapporto vaginale e mi vedo schiere di vaginali che danno all’uomo tutta la sicurezza possibile “) e fanno di Vogliamo anche le rose un momento importante per ripercorrere (o scoprire) uno dei periodi più vivaci e complessi della nostra storia recente.
Carlo Di Stanislao
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