E’ bene sottolineare che quel che accade in una piccola porzione della Sardegna può stuzzicare la curiosità di un certo tipo di stampa che attende con trepidazione l’arrivo dell’estate per incrementare le proprie vendite, non certo l’interesse dell’opinione pubblica alle prese con ben altro tipo di problemi, ciononostante la Costa Smeralda ha avuto il demerito di ritagliarsi nel corso degli anni uno spazio non certo indifferente che, piaccia o no, esemplifica con assoluta nitidezza gli aspetti meno piacevoli della nostra società. Se quest’ultima infatti presenta un vuoto sempre più evidente di valori e contenuti, con le giovani generazioni prive di punti di riferimento ed una classe politica incapace e fallimentare, degna più di un film comico che di un moderno stato di diritto, l’appuntamento estivo in Costa Smeralda offre uno spaccato fedele di questa situazione e, più in generale, di una fase storica che, incapace oramai di offrire qualcosa di credibile, sembra essere arrivata al capolinea. L’obiettivo di questo articolo non è certamente quello di criminalizzare chi si reca in una certa località, stante la libertà di ciascuno di programmare la propria esistenza e perfino di potersi vantare di avere conosciuto i “vip” e trascorso una serata in locali dai prezzi improponibili, quel che occorre stigmatizzare, piuttosto, è la presenza indesiderata di una società “di plastica” che, formatasi nel corso degli anni anche nell’immaginario collettivo, ha operato soprattutto verso i più giovani un autentico repulisti mentale, facendo piazza pulita dei più elementari principi e calamitando interessi ed aspirazioni su personaggi improponibili e su eventi a contenuto zero, ben orchestrati all’occorrenza da media compiacenti. Se siamo vicinissimi al fallimento, se il nostro tessuto sociale da un punto di vista culturale prima ancora che economico dà chiari segnali di agonia, la colpa va attribuita anche ad una deleteria tendenza, quella di attribuire rilievo a figure insignificanti, ad abitudini demenziali e a località, quali la Costa Smeralda, meritevoli di attenzione per lo scenario ambientale, men che mai per le frequentazioni; in questa amena località, deturpata da una cementificazione selvaggia e da ville che fanno a cazzotti con le più elementari norme di tutela della natura, tra luglio ed agosto ha luogo una sorta di rituale che di turistico non ha assolutamente nulla, mentre vip o presunti tali si danno appuntamento su panfili giganteschi (non si sa bene pagati da chi) con l’immancabile codazzo di lacchè ed accompagnatrici, alla ricerca disperata di uno spiraglio di notorietà, ben consapevoli che di lì a poco l’autunno li restituirà ad una esistenza grigia ed insignificante. E che le ammucchiate estive in Costa Smeralda non abbiano niente a che spartire con il turismo in quanto tale non deriva solo dall’entità numerica di aficionados, quest’anno saggiamente sfoltita dalla crisi, quanto dalla mancanza di un autentico ritorno economico di cui dovrebbe beneficiare su tutti la Sardegna, afflitta per contro da una disoccupazione dilagante e da un dissesto industriale la cui ultima vittima è il leggendario polo petrolchimico, vecchio vanto nazionale in perdita irreversibile di impianti e dipendenti. Porto Cervo e dintorni si riducono in definitiva ad un’oasi di bella vita, un rifugio per ruspanti voyeurs e personaggi in cerca di notorietà, una sorta di teatrino delle pulci affollato da politici, calciatori, pseudo star dello spettacolo e perfino persone comuni, quelle che non ti aspetteresti mai in un caravanserraglio del genere; tra di essi un tale di mia conoscenza in una giornata di fine luglio mi ha confessato testualmente che “quest’anno, tanto per cambiare, quindici giorni a sbafo in Costa Smeralda me li faccio lo stesso, c’è mio cognato che mi ospita” (e giù una fragorosa risata). Ecco, se siamo arrivati ad un passo dal disastro e forse quel passo siamo vicinissimi a compierlo, il merito è anche di persone come lui.
Giuseppe Di Braccio
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