Asili nido, Italia lontana dall’Europa

Gli asili nido sono un servizio fondamentale per favorire l’occupazione femminile. Ma in Italia in media il 25% dei bambini resta in lista d’attesa. Oltre il calcolo matematico, la realtà in molte città può essere ben più grave e la copertura del servizio è segnata da grandi disparità sul territorio nazionale. A Siracusa il 79% […]

Gli asili nido sono un servizio fondamentale per favorire l’occupazione femminile. Ma in Italia in media il 25% dei bambini resta in lista d’attesa. Oltre il calcolo matematico, la realtà in molte città può essere ben più grave e la copertura del servizio è segnata da grandi disparità sul territorio nazionale. A Siracusa il 79% dei bimbi resta in lista d’attesa, a Palermo il 78%, a Treviso il 75%, a Ragusa il 64% e a Crotone il 60%. Sono le prime cinque città in cui è più difficile mandare i figli al nido comunale, secondo statistiche del ministero dell’Interno su domande presentate e domande soddisfatte nel 2009, riprese dall’indagine di Cittadinanzattiva. In base agli stessi dati, a Roma il 31% dei bambini è risultato in lista d’attesa e a Milano soltanto l’1%. Facendo un confronto tra i posti disponibili e la potenziale utenza (numero di bambini in età 0-3 anni) in media in Italia la copertura del servizio è del 6,2% (percentuale che sale all’11,7% se consideriamo solo i capoluoghi di provincia). Guardando alle Regioni nel complesso, il dato sale a un  massimo del 15,7% in Emilia Romagna ed un minimo dell’1% scarso in Calabria e Campania.

Cifre lontane dall’obiettivo comunitario del 33% per la copertura del servizio, fissato dall’Agenda di Lisbona. L’Italia sconti grandi ritardi rispetto al resto dei paesi europei, dove in pole position ci sono  Danimarca, Svezia e Islanda con una copertura del 50% dei bambini di età inferiore ai tre anni. Sono seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50% e il 25%). Percentuali comprese tra 25 e 10% si registrano, oltre che nel nostro Paese, in Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania.
In ambito europeo, la mancanza di asili nido è vista come un disincentivo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, per questo  l’obiettivo del 33% di copertura per gli asili nido (bimbi da zero a tre anni) è stato ribadito nelle linee guida per l’occupazione (2008-2010). “L’inadeguato sviluppo dei servizi per la prima infanzia è strettamente connesso alla visione tradizionale della cura dei bambini, delegata esclusivamente alla famiglia. I nidi di infanzia sono presenti soprattutto nelle aree cittadine e rappresentano una sorta di ultima spiaggia per i genitori entrambi lavoratori” scrivono i curatori del rapporto di Cittadinanzattiva.

Il dossier cita un altro rapporto, “Doing Better for Family”, pubblicato dall’Ocse nell’aprile 2011, che ha analizzato la condizione delle famiglie dei 34 Paesi Membri e da cui viene fuori che in Italia c’è bisogno di più politiche per conciliare lavoro e famiglie. Il nostro Paese risulta caratterizzato da un basso tasso di occupazione femminile, da un basso tasso di natalità e da un alto rischio di povertà infantile. Questo perchè da un lato risulta molto difficile conciliare lavoro e figli, mentre dall’altro occorrerebbe una maggiore occupazione dei genitori per ridurre il rischio di povertà infantile. “Rispetto a molti altri Paesi membri, le donne italiane risultano più in difficoltà nel conciliare figli e lavoro, e ciò comporta spesso il dover scegliere tra avere un lavoro o avere dei figli” si legge nel dossier. Il risultato di questa situazione è un basso tasso di natalità (pari secondo l’Istat nel 2010 a 1,41 figli per donna) e un basso tasso di occupazione femminile (pari al 48% contro una media Ocse del 59%). I giovani italiani anche per avere una posizione lavorativa più stabile, spesso posticipano l’età  in cui avere un figlio, col rischio di non poterne più avere.  In Italia  ci sono molte donne senza figli, più che altrove. Ad esempio quasi una donna su quattro di quelle nate nel 1965 non ha figli, contro una su dieci di quelle francesi nate nello stesso anno.

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