Da Bruxelles sono giunte, lo scorso 27 ottobre, importanti novità sul fronte delle norme per la sicurezza degli impianti petroliferi offshore, ad oltre un anno dal disastro del Golfo del Messico. Ad accendere la scintilla la sconvolgente notizia del ritorno sui suoi passi della British Petroleum, intenta a rimettersi in corsa per nuove operazioni petrolifere nel Golfo del Messico, recidiva al disastro dell’aprile 2010. A differenza degli Stati Uniti che hanno dato il via libera alla compagnia petrolifera Bp di partecipare alla gara per aggiudicarsi nuovamente i diritti di perforazione nel Golfo, il Vecchio Continente, invece, ha deciso di tutelarsi con importanti cambiamenti. Una specie di minirivoluzione tramite l’istituzione di due autorità nazionali indipendenti: la prima per verificare che le imprese siano in possesso dei fondi necessari in caso di copertura dei danni, e l’altra per vagliare le condizioni di sicurezza, caso per caso. La necessità di dover garantire la copertura economica da eventuali incidenti riguarda la realtà siciliana, dal momento che l’estate scorsa gli ambientalisti avevano lanciato l’allarme sulla presenza, tra le società che richiedevano permessi di ricerca, di compagnie con capitale sociale minimo, che poi facevano riferimento ai grandi gruppi internazionali, per fare in modo che eventuali incidenti non potessero poi ricadere sulla casa madre. Le coste al largo della Sicilia sono tra le più coinvolte dalle trivelle. Secondo il commissario Ue all’ambiente, Janez Potočnik, “Abbiamo tratto lezioni importanti dall’incidente della Deepwater Horizon dell’anno scorso. Il progetto di regolamento odierno ci aiuterà a impedire che in futuro si verifichino crisi di questa portata in tutte le acque marine soggette alla giurisdizione degli Stati membri. Questo aggiornamento in materia di sicurezza rappresenta una buona notizia per l’ambiente ma anche per l’industria, che sarà in grado di svolgere le proprie attività in un quadro normativo più chiaro. Gli incidenti passati ci hanno dimostrato chiaramente che la prevenzione è meglio della cura”. Basato sul principio “chi inquina paga”, il nuovo regolamento, che è applicato anche alle società proprietarie delle piattaforme petrolifere in mare, contiene nuove norme di sicurezza e regole precise per tutto il ciclo delle attività di prospezione e produzione, a partire dal progetto di un impianto di estrazione di petrolio o di gas sino al suo smantellamento. Le nuove norme prevedono che “sotto il controllo delle autorità nazionali di regolamentazione, l’industria europea dovrà periodicamente valutare e migliorare le norme di sicurezza per le operazioni offshore. Questo nuovo approccio condurrà a una valutazione europea del rischio continuamente aggiornata, in quanto terrà conto delle nuove tecnologie e conoscenze e dei nuovi rischi. La normativa introduce requisiti per un’efficace prevenzione e un’efficace risposta in caso di incidenti gravi”. Lee autorità degli Stati membri preposte al rilascio delle licenze dovranno garantire che solo operatori con sufficienti capacità tecniche e finanziarie, necessarie al controllo della sicurezza delle attività offshore e alla protezione ambientale, siano autorizzati a compiere attività di prospezione e produzione di idrocarburi nelle acque unionali. Grazie alle nuove norme comunitarie le aziende che operano nell’Ue saranno responsabili dei danni provocati dai loro impianti petroliferi offshore entro un limite di 370 km dalla costa e non più solo entro le 12 miglia, come prevede la legge attuale. In questo modo verranno coperti tutti i pozzi offshore esistenti, inclusi i 123 che risultano operativi in Italia, seconda per numerosità, dopo l’Inghilterra, fra le Nazioni europee con piattaforme di trivellazione in mare. Secondo gli ultimi dati i titoli minerari vigenti nella zona C (si estende nel Mare Tirreno meridionale e nel Canale di Sicilia tra la linea di costa siciliana e la linea isobata dei 200 m) sono 10 di cui: 7 permessi di ricerca 2 al largo di Pozzallo, 2 al largo di Favignana, 1 al largo di Pantelleria, 1 al largo di Gela e 1 al largo di Agrigento; 3 concessioni coltivazione 1 al largo di Pozzallo e 2 al largo di Gela. Nella zona G (si estende nel Mare Tirreno meridionale e nel Canale di Sicilia) i titoli minerari vigenti sono 10 di cui: 10 permessi di ricerca 2 al largo di Pantelleria, 2 al largo di Gela, 2 al largo di Favignana e 4 al largo di Marsala e Trapani. Le istanze per il conferimento di nuovi titoli minerari nella zona G sono 23 di cui: 20 permessi di ricerca e 3 concessioni di coltivazione. In base al nuovo regolamento le compagnie avranno l’obbligo di rendere pubblici i loro piani d’intervento in caso di incidente e soprattutto dovranno fornire prova della loro possibilità economica di fare fronte all’eventuale risarcimento, presentando le dovute garanzie, a pena di sanzioni, a un’autorità nazionale indipendente che vestirà i panni di una vera e propria impresa bancaria. E vi è la speranza che un provvedimento analogo venga adottato anche nel resto del mondo, oltre all’auspicio che questi cambiamenti non rappresentino solo chimere.
Carlo Di Stanislao
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