L’incertezza, proveniente dagli svariati fenomeni di disordine che interessano il territorio nazionale, continua a tenere impegnata l’attenzione degli italiani. Terremoti, alluvioni, incendi, crescite incontrollate di città, crisi economiche continuano a sovrapporsi in apparenti sequenze di accidentali manifestazioni calamitose, ma che sono espressioni di ben altra matrice. Il recente editoriale di Marco Travaglio – presentato nel programma televisivo Servizio Pubblico di Santoro – ce ne dà un bruciante scorcio intessuto di ironia, da cui traspaiono alcuni fattori che pesano sull’attuale governance dell’ambiente e dell’economia nazionale. Spettatori impotenti di fronte allo spettacolo dei delegati istituzionali e mortificati da una inadeguata collocazione all’interno del consesso europeo, oggi viviamo in una atmosfera di incertezza generalizzata. Riconosciamolo: il cammino percorso finora non è stato dei migliori! Perciò è necessario muoversi con sollecitudine alla ricerca di vie diverse: non fosse altro che per le pressanti sollecitazioni della Natura. I sommovimenti tellurici, alluvionali, franosi – e quant’altro oggi si profila in Italia – metaforicamente risuonano come una “chiamata alle armi” che spingono ad affrontare l’inatteso con maggiori competenze. In particolar modo ciò vale per l’Aquila. Più che continuare a progettare in termini di crescita lineare, la città dovrebbe darsi la possibilità di ripensare in termini nuovi l’organizzazione del suo spazio vitale, progettando il suo futuro anche in termini di combinazioni; combinazioni che diano maggiore rilevanza a quei processi fatti di interazioni con il suo territorio e con altri territori, con il luogo e con altri luoghi. Il progetto per combinazioni è alla base della strategia Pan-Europea, che riconosce l’importanza della capacità combinatoria degli strumenti contemporanei, per il suo carattere moltiplicativo, in relazione con l’idea di gestione del cambiamento, che connette “condivisione” a “diversità”. A differenza del modello di crescita lineare i sistemi combinatori hanno il pregio di moltiplicare in maniera sinergica le potenzialità di accrescimento, rivolgendosi non soltanto verso l’esterno delle strutture, ma anche al loro interno, assicurando in tal modo l’affermazione su più livelli di nuovi modelli di visione e di sviluppo. Il sistema combinatorio porta in maniera dinamica alla produzione di ibridazioni – di culture, nature e processi – e allo sviluppo per accumulazione di layer diversi e interrelati. L’ibridazione, a sua volta, promuove una maggiore complessità di proposte e nuove linee di azione. Pertanto, la ricostruzione della città non può essere assimilata ancora a quella di un singolo luogo ideale da ripristinare, e neanche ad un unico modello formale. All’idea di società plurale, va associata una visione di città multipla: non di un’isola, ma di una città dentro la città, di un luogo di luoghi. Questa deve divenire uno spazio multiplo che, seppure ancora decomposto e smembrato, deve contenere in sé gli elementi interattivi da collegare fra loro, e caratterizzati da sistemi evolutivi. Anche gli eventi – culturali, religiosi, ecc. – vanno rimodulati secondo un complesso sistema di eventi sincronizzati, il cui valore risiede proprio nei più cospicui risultati che le combinazioni sono in grado di offrire rispetto ai processi di crescita lineare. Ciò apre la strada a nuove modalità di pensiero e di comportamento, a concetti inaspettati in tutto quanto ha a che fare con la tradizionale natura di L’Aquila, dei suoi cittadini e con la percezione che hanno del loro spazio urbano. Trattasi di concetti di mutazione ispirati alla continuità dei sistemi fluidi, ai movimenti tellurici, alla dematerializzazione delle strutture, alla variazione reale e virtuale della forma, al cambiamento dei caratteri e dell’immagine interna ed esterna della città e alla sua connessione con strutture di dati in evoluzione – di matrice europea – che oggi, pur profilandosi sugli orizzonti della città, rischiano di non essere adeguatamente percepiti, perché appannati dal riduttivo modello di crescita lineare. Anche l’architettura deve farsi interprete coraggiosa di questa nuova modalità di pensiero. Se prima si parlava di progetto dello spazio pubblico ora si deve cominciare a parlare di progetto dello spazio relazionale, realmente collettivo e aperto agli stimoli e alle attività: non più uno spazio di arredo urbano, di “monumentale ambiente” fondato su immagini finite di edifici, ma di uno spazio di nuovi paesaggi, riferiti a ciò che è fra le cose più che alle cose stesse.
Giancarlo De Amicis
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