“Un Cuento Chino”, diretto da Sebastian Borentszein, con Ricardo Darin, Muriel Santa Ana e Javier Pinto, è il vincitore del Marc’Aurelio d’Oro, il premio principale della sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, conclusosi venerdì scorso. Aperto da una mucca pezzata che piomba dal cielo, “Un cuento chino” racconta della singolare convivenza tra Roberto (Ricardo Darín), introverso proprietario di un negozio di ferramenta che vive da vent’ anni quasi senza contatti col mondo, e un cinese in cerca di uno zio appena arrivato in Argentina senza conoscere una parola di spagnolo. Il Gran Premio della Giuria, presieduta da Ennio Morricione, con Susanne Bier, Roberto Bolle, Carmen Chaplin, David Putnam, Pierre Thoretton e Debra Winger, è e andato, invece, a “Voyez Come Ils Dansent,” pellicola del regista Claude Miller, con Maya Sansa che ha ritirato il premio per l’assenza del regista. Grazie all’horror “Babycall “, Noomi Rapace (conosicuta per la saga Millennium) ha vinto il premio come migliore attrice, mentre il corrispettivo premio maschile è stato vinto da Guillaume Canet per la sua interpretazione in “Une Vie Milleure” di Cedric Kha. Il premio per la miglior colonna sonora è stato assegnato al film “Hotel Lux” e al musicista Ralph Wengenmayr , mentre a T”he Eye Of The Storm”, film di Fred Schepisi con un cast di grandissimi come Charlotte Rampling, Geoffrey Rush e Judy Davis, grande favorito del festival è andata solo una speciale menzione. Infine, in collaborazione con il Dipartimento della Gioventu’ della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e’ stato assegnato il Premio Marc’Aurelio Esordienti, trasversale a tutte le sezioni del Festival, e destinato al regista della migliore opera prima: la giuria presieduta da Caterina D’Amico e composta da Leonardo Diberti, Anita Kravos, Gianfrancesco Lazotti e Giuseppe Alessio Nuzzo ha deciso per l’ex aequo a ‘Circumstance’ di Maryam Keshavarz e ‘La Brindille’ di Emmanuelle Millet. Una edizione senza divi (a parte Richard Gere, presente per la quarta volta su sei e premiato per la carriera), ritenuta un po’ sottotono dai più, ma che, come sempre, ha regalato delle perle, dei piccoli gioielli che ricorderemo a lungo. Una sala in meno rispetto agli altri anni, ma un coinvolgimento maggiore per quel che riguarda i cinema sparsi nella città (Embassy e Moderno), un Festival dunque che ha raggiunto anche coloro che non hanno avuto modo di spingersi fino all’Auditorium. Meno divi, e questo è il punto che ha suscitato più fastidio nella gente: meno divi significa anche meno gente, meno calca, meno partecipazione (così dicono), eppure i numeri di questo Festival affermano il contrario. In aumento rispetto alla scorsa edizione sia i biglietti venduti che l’incasso totale, segno di un Festival che, nonostante la crisi, non sta assolutamente agonizzando, come vorrebbero certi parrucconi della politica. Si confermano una preziosa fonte di grande cinema le sezioni collaterali: il miracolo di “Extra” continua grazie allo sguardo attento di Mario Sesti e dei suoi preziosi collaboratori, risultando probabilmente la sezione che ha portato più spettatori in sala. E vedere tutta questa gente in fila con un biglietto per un film o un documentario di cui probabilmente non hanno mai sentito parlare, è stata davvero una gioia per chi ama il cinema. Eccellente anche la sezione “Alice nella città”, perfettamente inserita nel panorama del Festival di Roma, con il suo target (i ragazzi) e le sue proiezioni per le scuole, con momenti di cinema altissimo che sono forse mancati ai film presenti nella selezione ufficiale in concorso. Pensiamo a “From up on poppy hill” di Goro Miyazaki, oppure agli ottimi “North Sea Texas” (che verrà distribuito in Italia nel 2012), “La brindille” o “En el nombre de la hija”. Bene anche il Focus sulla Gran Bretagna, dove è stato apprezzato soprattutto “Wild Bill” e quello da molti considerato come il miglior film visto durante la kermesse: “Tyrannosaur”, opera prima di Paddy Considine, con un meravigliolo Peter Mullan. Forse il vero capolavoro di questo Festival. Anche quest’anno le cose migliori si sono viste al di fuori della selezione ufficiale, e questo è un dato che fa pensare. Certo, si sono visti bei film anche qui, ma a parte “Une vie meilleure” (sicuramente tra i migliori film di questo Festival, avrebbe meritato maggiore considerazione), “Il paese delle spose infelici”, “La femme du cinquième” . In definitiva, comunque, il Festival di Roma, per buona pace di Galan e soci, rappresenta un’eccellente offerta di quel cinema che la gente non potrebbe vedere in nessuna altra occasione ed il meglio alla fine risulta essere ciò che proviene dal Sundance, da Toronto e da altri Festival internazionali. Ma se la selezione ufficiale cerca di inserire in concorso una serie di pellicole mai viste in altri Festival, la rosa si fa ardua, ristretta, e inevitabilmente mediocre. Questo è sicuramente uno dei motivi per cui funzionano perfettamente le sezioni collaterali, mentre stenta il concorso. Vale la pena ricordare che, comunque, in questa edizione l’Italia (molto “coccolata” a Venezia e nelle passate edizioni romane) è stata completamente ignorata. Una scelta coraggiosa e poco “politica”, da parte della giuria. A parte ciò a dicembre scadono i mandati del presidente Gianluigi Rondi (che sarà confermato quasi sicuramente) e della direttrice Piera De Tassis (che Rondi chiederà di confermare). Per quanto concerne invece i soldi, invece, si tratterà di vedere.
Carlo Di Stanislao
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