Chi riuscisse a procurarsi l’autobiografia di Jean Monnet farebbe bene a non perdere l’occasione di leggerla. Non è il genere di libro che si trova sugli scaffali entrando in una libreria italiana, fra l’intervista a un calciatore e l’ultimo noir della settimana. Ma è il genere di libro che ci può aiutare a capire come e perché siamo arrivati fin qui, e soprattutto quale strada potremmo imboccare per evitare il peggio. Per chi non volesse affidarsi alla fortuna esiste un’edizione Guida del 2007 con prefazione di Giorgio Napolitano, che è possibile ordinare on line.
Il libro si intitola Cittadino d’Europa e fu pubblicato nel 1976, tre anni prima della morte dell’autore. Lo si può leggere come uno spaccato del Novecento europeo nei suoi passaggi più critici, ma anche come la storia un po’ incredibile di un uomo che riuscì a pesare sui destini dell’occidente senza mai detenere un effettivo potere politico, e senza neppure aspirarvi. Tutto ciò che fece fu di trovarsi davanti al politico giusto nel momento giusto, per mettergli in tasca un’idea: quella giusta, naturalmente. Questo gli permise di influire sul corso degli eventi in molte situazioni drammatiche della storia europea senza essere mai a capo di un partito, di un ministero o di un governo.
Così riassume egli stesso il suo metodo in una delle prime pagine del libro: “Prima avere un’idea, poi cercare l’uomo che abbia il potere di realizzarla”.
E Monnet fu l’uomo di una sola idea: superare il metodo della cooperazione fra stati sostituendola con la messa in comune delle risorse e delle sovranità. È il filo rosso che lega le diverse tappe della sua carriera. Questa idea riuscì ad applicarla nel corso della prima guerra mondiale, durante la seconda e nell’immediato dopoguerra, ogni volta suggerendo, ottenendo e pilotando la costruzione di istituzioni sovranazionali per gestire situazioni di emergenza e risolvere, nel modo più creativo e durevole, conflitti di interessi apparentemente inconciliabili.
Nel 1914 Monnet non era che il giovane figlio di un commerciante di cognac quando riuscì a incontrare il presidente del consiglio francese René Viviani e a sottoporgli il suo piano per una più efficace gestione inter-alleata dei rifornimenti di guerra. Viviani riconobbe la correttezza della sua intuizione (creare per quello scopo organismi comuni fra Inghilterra, Francia e Italia) e Monnet fu inviato in Inghilterra per attuarlo, inaugurando così la propria straordinaria carriera di consigliere-ombra dei momenti difficili.
Nel 1940 convinse i governi francese, inglese e statunitense a ripetere l’esperienza, persuadendo al tempo stesso l’amministrazione Roosevelt a rifornire di armi gli alleati europei in guerra contro la Germania. Nel 1945 coordinò il piano per lo sviluppo dell’economia francese.
Ma il suo più grande successo lo colse naturalmente nel 1950, quando ispirò la “Dichiarazione Schuman” e fece nascere il primo embrione della futura Unione europea, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che doveva rivelarsi il frutto più duraturo e insieme l’apoteosi della sua intuizione e del suo metodo.
Egli insistette sempre perché le decisioni degli organismi comuni fossero prese a maggioranza e non all’unanimità, sapendo bene che il diritto di veto avrebbe vanificato lo spirito comunitario degli organismi stessi e delle loro funzioni. Definì il principio dell’unanimità “la causa profonda e insieme il simbolo dell’impossibilità di superare gli egoismi nazionali”. I suoi sforzi furono sempre diretti a mettere intorno a un tavolo uomini di nazionalità diverse e portarli a considerare in un’ottica comune problemi comuni. Voleva che francesi, tedeschi, inglesi, italiani imparassero a parlare un unico linguaggio politico e a prescindere dai rispettivi interessi nazionali di breve periodo, per alzare lo sguardo sulle questioni più generali che avrebbero deciso il loro futuro.
Consapevole di avere inaugurato un nuovo modo di fare e pensare la politica, Monnet scrisse le sue memorie anche per lasciare in eredità le innumerevoli lezioni che aveva tratto dalla propria esperienza. Il libro è costellato di riflessioni che hanno anche il valore di aforismi e regole di saggezza. Ma la sintesi più generale e più profonda del suo atteggiamento sta forse tutta in una frase: “So per esperienza che i problemi concreti non sono più irrisolvibili a partire dal momento in cui si affrontano nella prospettiva di una grande idea”.
Che qualche potente sia ancora disposto ad ascoltare questa saggezza e a metterla in pratica è quanto di meglio potremmo augurarci per l’Europa di oggi e i suoi smarriti cittadini.
Michele Ballerin
Movimento Federalista Europeo
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