Cultura e pregiudizio ostacolano il Kenya a mettere fine alla mutilazione genitale femminile

Credenze culturali e stereotipi fortemente radicati stanno ostacolando gli sforzi del Kenya di mettere in atto in maniera efficace il disegno di legge recentemente approvato sul Divieto di Mutilazione Genitale Femminile (Mgf). Il Kenya ha fatto passi avanti nella lotta contro l’orribile pratica culturale che ha arrestato la crescita delle ragazze, poiché con la nuova […]

Credenze culturali e stereotipi fortemente radicati stanno ostacolando gli sforzi del Kenya di mettere in atto in maniera efficace il disegno di legge recentemente approvato sul Divieto di Mutilazione Genitale Femminile (Mgf).
Il Kenya ha fatto passi avanti nella lotta contro l’orribile pratica culturale che ha arrestato la crescita delle ragazze, poiché con la nuova legislazione verrà istituito un organo di consulenza per il governo sulla formulazione delle politiche e la mobilitazione ed il coordinamento delle risorse. L’organismo prenderà inoltre misure decisive per abolire la pratica che continua soltanto ad esasperare le sofferenze di donne e bambini.
Il progetto di legge sulla mutilazione genitale femminile del 2010, presentato dal parlamentare di Mount Elgon, Fred Kapondi, presenta pene fra le quali un periodo di detenzione di sette anni o il pagamento di un’ammenda di 500 mila scellini keniani (5 mila dollari statunitensi) per coloro che sono colpevoli del reato. Il progetto di legge rende illegale praticare la Mgf, fornire il servizio a qualcuno che pratica la Mgf, o mandare a o prendere una persona dall’estero per essere mutilata a livello genitale. Sarà inoltre illegale fare commenti sprezzanti nei confronti delle donne perché non sono state “tagliate”. Prima dell’approvazione del Progetto di legge sulla Mgf del 2010, la pratica era espressamente resa illegale dalla Legge per i bambini, Capitolo 587 delle Leggi del Kenya.

Tuttavia, diverse pressioni culturali e pregiudizi in Kenya ancora impediscono lo sradicamento della pratica, nonostante il passaggio della nuova legislazione che proibisce severamente la mutilazione genitale femminile. Esperti ora fanno appello a cambiamenti attitudinali e di comportamento nei confronti della peggiore forma di violenza di genere. Fra i maggiori ostacoli che impediscono l’acquisizione di potere per donne e ragazze, la pratica della Mgf implica il taglio doloroso del clitoride o delle labbra.
La presidentessa dell’Associazione parlamentare delle Donne del Kenya (Kewopa) e attivista veterana nella lotta contro la Mgf, Lina Chebi Kilimo afferma che ci sono voluti 18 anni per lei ed altre colleghe per raggiungere questa legislazione. Secondo la nuova legislazione, il traffico di esseri umani in Kenya per essere sottoposti alla pratica è illegale. Il Kenya è l’ultima nazione africana a proibire la Mgf, unendosi così a Benin, Costa d’Avorio, Gibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gana, Guinea, Niger, Nigeria, Kenya, Repubblica Centrale Africana, Senegal, Chad, Tanzania, Togo e Uganda.

Come le altre donne africane, le donne e le ragazze del Kenya affrontano un dilemma dal doppio volto riguardo la Mgf. Uno è lo stigma di non essere circoncise e l’altro è la dolorosa conseguenza fisica della Mgf. La Federazione Internazionale dei Legali Femminili (Fida), capitolo Kenya, afferma che la Mgf continua ad essere un fattore primario che impedisce lo sviluppo di donne e ragazze in Africa. “Sebbene considerata un rito di passaggio in alcune comunità, ci sono rischi per la salute connessi ad essa”, afferma la presidentessa di Fida – Kenya, Naomi Wagereka.
I rischi per la salute che donne e ragazze affrontano nel sottoporsi al taglio vanno dall’emorragia eccessiva, che talvolta porta alla morte, al contrarre malattie infettive. Alla pratica viene anche attribuita la diffusione del virus dell’ Hiv/Aids fra donne e ragazze, in particolare quando condividono lo stesso strumento per il taglio. Va notato che numerose comunità che praticano la Mgf hanno assistito all’aumento di complicanze relative al parto a causa dei danni causati dalla Mgf.

Traduzione di Sara Marilungo

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