Lo scorso 27 ottobre la Fondazione Caritas/Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana ha reso noti i dati sull’immigrazione relativi all’anno 2010. Nella provincia dell’Aquila sono presenti 21 mila 861 stranieri resident, un dato che pone il capoluogo di regione al secondo posto tra le province abruzzesi dopo Teramo. Il territorio che fa riferimento al comune dell’Aquila, invece, è al terzo posto per stranieri residenti, dopo Pescara e Montesilvano.
A partire da questi dati, abbiamo incontrato il presidente della consulta degli stranieri del comune dell’Aquila, Gamal Bouchaif, per cercare di capire se l’aumento della popolazione immigrata sul territorio corrisponda ad un’effettiva integrazione economica, sociale e culturale e quali sono le politiche sociali messe in atto dal Comune per affrontare la gestione di tali flussi di migrazione.
Gamal Bouchaif ci riceve nel Centro Polivalente Provinciale sito in viale della Croce Rossa: il centro, inaugurato a gennaio di quest’anno, è un punto di riferimento per l’assistenza agli immigrati che vivono il disagio della costruzione di un legame con il territorio, e dunque con un sostrato socio-culturale, talvolta completamente differente da quello di provenienza. Il Centro si occupa dall’assistenza nella compilazione dei documenti ai corsi di perfezionamento della lingua italiana, dall’orientamento ai servizi presenti sul territorio all’organizzazione di corsi di informatica
Gamal, partiamo dai dati divulgati dalla Fondazione Caritas che testimoniano un evidente incremento della popolazione straniera residente nella Provincia. La provincia dell’Aquila con 21.861 stranieri residenti si pone al secondo posto tra i capoluoghi abruzzesi subito dopo Teramo con un aumento rispetto al 2009 dell’8,1% e tra il 2002 e il 2010 del 184,8%. Tale dato corrisponde ad un raggiungimento di una posizione stabile dello straniero, dal punto di vista economico e culturale, all’interno del territorio?
I dati ci hanno confermato quanto sostenuto da noi, come associazioni di categoria, nel giro dei due anni successivi al terremoto. Sarebbe anche da far notare che i residenti nel Comune dell’Aquila erano 5.023 ad Agosto 2011 secondo le statistiche comunali, con un incremento riscontrato di circa mille unità rispetto al periodo precedente il terremoto.
Gli stranieri insediatisi tenderanno a chiedere, nel giro di uno o due anni, il ricongiungimento familiare: considerando un nucleo familiare minimo di tre unità, le mille unità diventeranno tre mila entro due anni.
Considerando, inoltre, la manovalanza necessaria al processo di ricostruzione, l’Ance ha stimato che nel centro storico serviranno 15 mila addetti del settore edilizio; io voglio essere ottimista e ne stimo 5 mila: questi non saranno aquilani, né italiani ma provenienti per lo più dal Nord Africa, da dove proviene la forza manuale della professione. Potremmo arrivare, dunque, nel territorio aquilano ad un numero di 10 mila stranieri presenti su 70 mila abitanti: il 7% è oltre la media europea che è del 5,8%.
Le mie domande a questo punto sono queste: siamo pronti ad un flusso di tale tipologia? Esiste una coscienza collettiva che abbiamo preparato e aiutato? Conosciamo l’aquilano con la sua rigidità montanara ma anche per la sua generosità. In questo momento c’è però una guerra tra poveri che non aiuta l’immigrato ad un’integrazione effettiva. Ci sono scintille di integrazione ma a mio avviso in questo territorio bisogna adottare delle misure d’emergenza sull’immigrazione prima che si formino i ghetti, come a Milano o in altre zone. In assenza di politiche sociali si adotta la forza e la forza in un paese democratico è l’ultima spiaggia si può usare contro un nemico o uno che viola le leggi internazionali ma sicuramente non contro un povero che sta cercando una via d’uscita per sé e i suoi figli.
L’Aquila è stata definita da dopo il terremoto “cantiere d’Europa” attirando il flusso di migranti con la certezza di un lavoro. La ricostruzione pesante, di fatti, non è partita. Gli stranieri riescono a trovare un impiego per poter creare delle premesse ad una residenza che garantisca stabilità e sicurezza?
Abbiamo avuto invasione reale con l’andamento del tempo la speranza del lavoro sicuro è stata spiazzata. Ogni datore di lavoro ha rinviato l’avvio della realizzazione dei progetti. Io credo ci siano le premesse affinché L’Aquila diventi il cantiere d’Europa ma questo dipende dalla volontà della classe dirigente.
Il presupposto, però, è che non si può inoltre programmare il cemento armato senza politiche sociali altrimenti si rischia di rendere l’extracomunitario il capro espiatorio della situazione di crisi e si cade nel luogo comune che l’extracomunitario delinque. Fino a pochi anni fa si davano fogli di via a chi non trovava lavoro: ma quale legge di stato dell’Unione Europea consente di fare fogli di via a stranieri che non trovano lavoro per motivi di sicurezza? Chi arriva e non ha, dovrebbe trovare un sistema sociale. Abbiamo un assessorato all’immigrazione: dovrebbe funzionare oppure è meglio toglierlo, del resto è inutile pagare chi sta lì per nulla. Questo lo dico non per accusare il centro-sinistra o schierarmi politicamente. Non mi interessa farlo, io sono uomo del sociale.
Dovremmo prendere per modello la Svezia, paese straordinariamente interculturale che accoglie l’immigrato e lo instrada verso quella formazione che gli consentirà di avere effettivamente un lavoro e svolgere un ruolo attivo nella comunità. L’immigrato è considerato non un peso ma una risorsa.
Lei ha affermato, di recente, che la comunità straniera all’Aquila avrà un impatto notevole sulle elezioni a sindaco del 2012 perché sono tanti gli stranieri comunitari residenti nel territorio e che hanno diritto al voto. È stato un invito affinché le istituzioni si facciano seriamente carico delle problematiche di questa parte della popolazione? C’è una coalizione che nella propaganda sta prendendo la vostra causa?
È sempre stato determinante il voto degli stranieri. Conosco dei consiglieri comunali che ricoprono quel ruolo grazie al voto dei greci. Io ho voluto far emergere la realtà del nostro territorio. Tutti coloro che aspirano a posizioni governative si interessano alla nostra causa, ma non vogliono esporsi. Siamo sette associazioni: sceglieremo la lista che si esporrà totalmente per noi altrimenti non daremo i nostri voti. Questo modo di nascondersi dietro le quinte per prendere i voti e poi non fare nulla mi sembra disumano e sleale. Voteremo il progetto migliore; abbiamo bisogno di persone serie, che non modellino il loro programma in funzione delle elezione ma che abbiano delle idee, che abbiano a cuore il bene della città.
Ci sono state iniziative da parte delle Istituzioni in favore di quegli stranieri che sono stati impiegati, soprattutto, nel campo dell’edilizia, ma non avevano un posto dignitoso dove dormire la notte?
C’è stata una proposta di un dormitorio all’americana. Non è una questione politica, è una questione umana. Alcune Istituzioni sulla proposta di un dormitorio hanno negato il proprio consenso adducendo motivazioni che riguardano logiche urbanistiche. Mi sembra che stiamo andando verso una situazione in cui si fanno sempre più forti la sperequazione: non per paragonare eccessivamente ma mi sembra che siamo vicini a situazioni che vedevo in Marocco dove a grandi ville si affiancavano piccole baracche. Una democrazia vera di partecipazione attiva di cittadina dovrebbe collaborare perché tutti abbiano almeno un letto, questo per gli extra comunitari non succede.
Durante lo scorso mese di Agosto è stato possibile per i musulmani riunirsi per pregare nel mese del Ramadan in una tensostruttura. Tale luogo, curioso a dirsi, è sorto proprio con la collaborazione della Fraterna Tau e di Padre Quirino Salomone. Come è stata possibile la realizzazione? Qual è stata la reazione della cittadinanza a maggioranza cattolica?
Avremmo potuto pregare dovunque senza costruire un luogo specifico, la Costituzione garantisce la libertà di professione religiosa. La nostra scelta è stata una sfida in un tempo di estrema intolleranza: il mezzo che abbiamo adottato con Padre Quirino è stato quello di un confronto tra comunità cristiana e comunità musulmana. L’operazione è riuscita: i musulmani aquilani si sono sentiti accettati e rispettati e i cristiani hanno preso consapevolezza che il musulmano non è un terrorista; ci sono state mamme che portavano i bambini a vedere i gruppi di preghiera in questa moschea provvisoria. È stato un segnale di grande apertura; penso che abbiamo fatto un gran lavoro con Padre Quirino. Il 5 novembre c’è stato il taglio del nastro durante l’inaugurazione del Centro Culturale Islamico presieduta dall’imam affiancato da padre Quirino. Tutti hanno richiesto la sua presenza perché c’è sempre un ritorno del bene a chi ha fatto del bene.
Elisa Giandomenico
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