Miracoli Eucaristici e radici cristiane di Europa

“Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”(Vangelo di Matteo: 28,20). Si avvicina il Santo Natale AD 2011 nel quale celebriamo la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo dal grembo verginale di Maria Santissima per opera dello Spirito Santo. Un tempo propizio per leggere il bel volume “I Miracoli Eucaristici […]

“Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”(Vangelo di Matteo: 28,20). Si avvicina il Santo Natale AD 2011 nel quale celebriamo la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo dal grembo verginale di Maria Santissima per opera dello Spirito Santo. Un tempo propizio per leggere il bel volume “I Miracoli Eucaristici e le radici cristiane dell’Europa” di Sergio Meloni e dell’Istituto San Clemente I Papa e Martire (Edizioni Studio Domenicano, 2007, pp. 527), dove vengono illustrati i Miracoli Eucaristici e Mariani della storia, con una presentazione storica, iconografica, teologica fedele, chiara e comprensibile. L’opera, dopo aver illustrato le parti della Santa Messa e il significato autentico della consacrazione del pane e del vino, per ogni Miracolo presenta un insegnamento evangelico, con schemi e disegni che rendono il libro particolarmente fruibile nell’insegnamento catechistico, per grandi e piccini. La copertina del volume illustra il Miracolo Eucaristico di Ettiswil (XVII Secolo, Museo Eucaristico Hièron, Paray-le-Monial, Francia) in Svizzera. Il mercoledì 23 maggio 1447 l’Ostia Magna consacrata fu rubata nella chiesa parrocchiale di Ettiswil e poco dopo fu ritrovata da una giovane contadina “vicino ad uno steccato, sollevata in aria, sopra un fiore e circondata da una vivissima luce”. Esiste una mostra sponsorizzata dall’Istituto San Clemente I Papa e Martire, che presenta, con un’ampia rassegna fotografica e con descrizioni storiche, alcuni dei principali Miracoli Eucaristici (circa 142) verificatisi nel corso dei secoli in diversi Paesi del mondo e riconosciuti dalla Chiesa. Attraverso i pannelli è possibile visitare virtualmente i luoghi dove sono accaduti questi Miracoli. La mostra è già stata ospitata in oltre 500 Parrocchie italiane ed estere, ed è stata tradotta in numerose lingue. “Quod scimus loquimui et quod vidi­mus testamur…”(Parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo quel che abbia­mo visto…), sono le parole pronunciate da Gesù a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni (3,11). I Miracoli Eucaristici e Mariani sono la testimonianza più evidente e forte del fatto che la fede in Dio è una cosa seria e che l’Europa e il mondo intero hanno profonde radici cristiane, testimoniate anche dalle grandi cattedrali e basiliche che i costruttori medievali hanno edificato per avvicinare l’Uomo a Dio: documenti di pietra della cristianità, che hanno raccontato nel corso dei secoli la progressiva e inarrestabile affermazione dell’unica vera Religione rivelata da Gesù Cristo, diventando uno dei simboli più tangibili della civiltà occidentale. Sulle radici cristiane d’Europa sono innestate le speranze di fede e di pace per l’Umanità intera. “Queste pagine, con molta sobrietà, descrivono e lasciano parlare tanti miracoli eucaristici: vale la pena di leggerle per ascoltare il grido dell’amore di Dio che risuona in ogni celebrazione eucaristica. Oggi come ieri!” – fa notare il cardinale Angelo Comastri. È sorprendente la sovrabbondanza di grazie, miracoli e manifestazioni divine che scaturiscono dalla Fede in Dio attraverso l’Adorazione Eucaristica nei tabernacoli sulla Terra, a cominciare dall’Italia, con testimonianze dirette ineccepibili che ci parlano della costante presenza delle realtà celesti sulla Terra. È altrettanto meravigliosa la presenza di Maria Santissima accanto a Gesù Eucaristico in quegli stessi luoghi dove è adorato il Figlio di Dio. Le meraviglie dell’Eucaristia non si limitano all’anima ed al corpo dei fortunati testimoni diretti. Con frequenza si sono verificati e si verificano prodigi che continuano nel tempo e nello spazio anche ai giorni nostri nella vita dei laici e dei consacrati (anche dei papi) come testimoniano le cause di beatificazione e canonizzazione in corso. Perché Dio parla ai sensi e all’intelligenza dell’Uomo. Parla anche alla scienza ufficiale che non può più ignorarLo. Afferma il serafico San Francesco D’Assisi:“Coloro che vedono il Sacramento dell’Eucaristia, consacrato dal sacerdote, ma scorgono soltanto le apparenze del pane e del vino e non credono, con la grazia dello Spirito, che sia veramente il Corpo e il Sangue di Cristo, si condannano da soli, perché non credono alla testimonianza del Signore stesso che afferma:“Questo é il mio Corpo e il Sangue della nuova alleanza” e promette:“Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna”(Gv 6, 56). E come ai Santi Apostoli si presentò in forma di uomo, così a noi si fa vedere nel pane consacrato. E come essi (che con gli occhi del corpo vedevano solo la carne), contemplandolo con l’occhio della fede, credettero che era Dio, così anche noi, vedendo con gli occhi del corpo il pane e il vino, crediamo che il Santissimo Corpo e Sangue sono presenti, vivi e veri, nell’Eucaristia. In questo modo il Signore è sempre presente in mezzo ai suoi fedeli, come egli stesso ha promesso dicendo:“Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20)”. Da dove partire per recuperare e riaffermare il primato di Dio per la libertà dell’Uomo? Papa Benedetto XVI risponde:“dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma. Già la Legge data per mezzo di Mosè veniva considerata come “pane del cielo”, grazie al quale Israele divenne il popolo di Dio, ma in Gesù la parola ultima e definitiva di Dio si fa carne, ci viene incontro come Persona. Egli, Parola eterna, è la vera manna, è il pane della vita (Gv 6,32-35) e compiere le opere di Dio è credere in Lui (Gv 6,28-29). Nell’Ultima Cena Gesù riassume tutta la sua esistenza in un gesto che si inscrive nella grande benedizione pasquale a Dio, gesto che Egli vive da Figlio come rendimento di grazie al Padre per il suo immenso amore. Gesù spezza il pane e lo condivide, ma con una profondità nuova, perché Egli dona se stesso. Prende il calice e lo condivide perché tutti ne possano bere, ma con questo gesto Egli dona la “nuova alleanza nel suo sangue”, dona se stesso. Gesù anticipa l’atto di amore supremo, in obbedienza alla volontà del Padre: il sacrificio della Croce. La vita gli sarà tolta sulla Croce, ma già ora Egli la offre da se stesso. Così la morte di Cristo non è ridotta ad un’esecuzione violenta, ma è trasformata da Lui in un libero atto d’amore, in un atto di auto-donazione, che attraversa vittoriosamente la stessa morte e ribadisce la bontà della creazione uscita dalle mani di Dio, umiliata dal peccato e finalmente redenta. Questo immenso dono è a noi accessibile nel Sacramento dell’Eucaristia: Dio si dona a noi, per aprire la nostra esistenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce, per renderla partecipe del mistero eterno da cui proveniamo e per anticipare la nuova condizione della vita piena in Dio, in attesa della quale viviamo”. Che cosa comporta per la nostra vita quotidiana questo partire dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio? “La comunione eucaristica, cari amici, ci strappa dal nostro individualismo, ci comunica lo spirito del Cristo morto e risorto, e ci conforma a Lui; ci unisce intimamente ai fratelli in quel mistero di comunione che è la Chiesa, dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr 1 Cor 10,17), realizzando la preghiera della comunità cristiana delle origini riportata nel libro della Didaché:“Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno”(IX, 4). L’Eucaristia sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana”. Come ricorda Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri”, per cui “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata”(Deus caritas est, 14)”. Il Santo Padre ci ricorda che “la bimillenaria storia della Chiesa è costellata di santi e sante, la cui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia nasca una nuova e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi uno sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o disagiata. Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli, ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (Mt 25,34-36). In ogni persona saprà vedere quello stesso Signore che non ha esitato a dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvezza. Una spiritualità eucaristica, allora, è vero antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana, porta alla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a partire dalla famiglia, con particolare attenzione a lenire le ferite di quelle disgregate”. Tra i doni di Dio, quindi, c’è la spiritualità eucaristica che “è anima di una comunità ecclesiale che supera divisioni e contrapposizioni e valorizza le diversità di carismi e ministeri ponendoli a servizio dell’unità della Chiesa, della sua vitalità e della sua missione. Una spiritualità eucaristica è via per restituire dignità ai giorni dell’uomo e quindi al suo lavoro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi della festa e della famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato e il problema della disoccupazione. Una spiritualità eucaristica ci aiuterà anche ad accostare le diverse forme di fragilità umana consapevoli che esse non offuscano il valore della persona, ma richiedono prossimità, accoglienza e aiuto. Dal Pane della vita trarrà vigore una rinnovata capacità educativa, attenta a testimoniare i valori fondamentali dell’esistenza, del sapere, del patrimonio spirituale e culturale; la sua vitalità ci farà abitare la città degli uomini con la disponibilità a spenderci nell’orizzonte del bene comune per la costruzione di una società più equa e fraterna”. Benedetto XVI insegna che “non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’interno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre (Esortazione apostolica postsin. Sacramentum caritatis, 71). Sì, “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”(Mt 4,4): noi viviamo dell’obbedienza a questa parola, che è pane vivo, fino a consegnarci, come Pietro, con l’intelligenza dell’amore:“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69). Come la Vergine Maria, diventiamo anche noi “grembo” disponibile ad offrire Gesù all’uomo del nostro tempo, risvegliando il desiderio profondo di quella salvezza che viene soltanto da Lui. Buon cammino, con Cristo Pane di vita, a tutta la Chiesa che è in Italia! Amen”. Che cosa sono i Miracoli Eucaristici? “I Miracoli Eucaristici –  spiega il domenicano Padre Roberto Coggi, o.p. – sono degli interventi prodigiosi di Dio che hanno lo scopo di confermare la fede nella presenza reale del corpo e del sangue del Signore nell’Eucaristia. Conosciamo la dottrina cattolica riguardo alla presenza reale. Con le parole della consacrazione: “Questo è il mio Corpo”, “Questo è il mio Sangue”, la sostanza del pane diventa il Corpo di Cristo, e la sostanza del vino il suo Sangue. Questo mirabile mutamento prende il nome di transustanziazione, cioè passaggio di sostanza”. Che cosa accade durante la consacrazione? “Del pane e del vino rimangono soltanto le apparenze o specie, che con un termine filosofico vengono dette accidenti. Rimangono cioè le dimensioni, il colore, il sapore, l’odore, e anche le capacità nutritive, ma non rimane la sostanza, cioè la realtà vera, che è divenuta il Corpo e il Sangue del Signore”. Che cosa possiamo percepire durante la Comunione? “La Transustanziazione non può essere in nessun modo sperimentata dai sensi, ma solo la fede ci assicura di questo mirabile mutamento. I Miracoli Eucaristici vogliono confermare questa fede, che si basa sulle parole di Gesù, secondo le quali ciò che sembra pane non è più pane, e ciò che sembra vino non è più vino”. Nei Miracoli Eucaristici che cosa accade? “Nei Miracoli Eucaristici compaiono infatti la carne e il sangue, o l’una e l’altro, a seconda dei casi. Il fine di tali Miracoli è di dimostrare che non dobbiamo guardare all’apparenza esterna (pane e vino), ma alla sostanza, alla realtà vera della cosa, che è carne e sangue. I teologi medievali hanno approfondito il tema dei Miracoli Eucaristici (molto frequenti ai loro tempi), e ne hanno dato varie interpretazioni, ma la più fondata e ragionevole sembra quella del “Dottore Eucaristico” per eccellenza, cioè S.Tommaso d’Aquino (Somma Teologica III, q.76,a.8). Egli dice che il Corpo e il Sangue che appaiono dopo il Miracolo sono dovuti alla trasformazione delle specie eucaristiche, cioè degli accidenti, e non toccano la vera sostanza del Corpo e Sangue di Gesù”. Cioè? “Le specie del pane e del vino vengono trasmutate miracolosamente in specie di carne e sangue, ma il vero Corpo e il vero Sangue di Gesù non sono quelli che appaiono, bensì quelli che, anche prima del Miracolo, erano nascosti sotto le specie del pane e del vino, e che continuano a esistere nascostamente sotto le specie della carne e del sangue. Se infatti la carne e il sangue che appaiono fossero veramente la carne e il sangue di Gesù,dovremmo dire che Gesù risorto, che regna impassibile alla destra del Padre, perde una parte della sua carne o del suo sangue, il che non può in alcun modo essere ammesso”. Quindi? “Dobbiamo dire dunque che la carne e il sangue che appaiono nei Miracoli sono nel genere delle specie o apparenze o accidenti, né piu né meno delle specie del pane e del vino. Il Signore compie questi miracoli per dare un segno, facile e visibile a tutti, che nell’Eucaristia c’è il vero Corpo e il vero Sangue del Signore. Ma questo vero Corpo e questo vero Sangue non sono quelli che appaiono, bensì quelli che sono contenuti sostanzialmente sotto le specie o apparenze, specie o apparenze che prima del Miracolo erano quelle del pane e del vino, e dopo il Miracolo sono quelle della carne e del sangue. Sotto le apparenze della carne e del sangue Gesù è veramente e sostanzialmente contenuto come lo era prima del Miracolo. Per questo noi possiamo adorare Gesù realmente presente sotto le specie della carne e del sangue”. Interessante è la testimonianza offerta nel libro de “I Miracoli Eucaristici e le radici cristiane dell’Europa”, dal cardinale Angelo Comastri. “Alcuni anni fa pubblicai una ricerca sui miracoli eucaristici, ma, con mia grande sorpresa, ricevetti una lettera che contestava la documentazione raccolta, perché sosteneva che i “sanguinamenti” eucaristici erano frutto di un’epoca ingenua e facilmente portata a costruire prodigi. Soffrii non poco per questa affermazione. E il motivo era semplice: le cose non stavano così; i fatti parlano inequivocabilmente”. Padre Pio, uomo del ventesimo secolo, non è stato un vivente miracolo eucaristico? “La sua straordinaria esistenza è tutta legata all’Altare, alla Messa, al Sangue. E chi può affermare che Padre Pio sia stato soltanto un’invenzione di ingenui e di visionari del ventesimo secolo? Teresa Neumann, morta nel 1962 e quindi in pieno secolo ventesimo, si è nutrita per trentasei anni soltanto di Eucaristia. Commissioni di medici si sono alternate accanto a lei ed hanno vigilato giorno e notte: alla fine, hanno dovuto riconoscere il fatto umanamente inspiegabile. Anche questo è un Miracolo eucaristico: chi può negarlo? Marthe Robin, morta nel 1981, per cinquantatre anni si è nutrita esclusivamente di Eucaristia e, talvolta, tra lo stupore dei testimoni, ella non potendo più deglutire, aspirava l’Eucaristia in un gesto di profondo amore verso Gesù presente nel Santissimo Sacramento. Jean Guitton, celeberrimo pensatore, riguardo a Marthe Robin scrisse: “La donna che mi appresto a ritrarre era una contadina della campagna francese. Una donna che forse fu l’essere più strano, straordinario e sconcertante della nostra epoca. Dal primo incontro con lei ebbi il presentimento che un giorno non avrei potuto fare a meno di parlare di lei”. Perché? “Per il semplice fatto che la sua vita è un clamoroso prodigio legato alla Santissima Eucaristia. Queste pagine, con molta sobrietà, descrivono e lasciano parlare tanti miracoli eucaristici: vale la pena di leggerle per ascoltare il grido dell’amore di Dio che risuona in ogni celebrazione eucaristica. Oggi come ieri!”. Mons. Raffaello Martinelli, Officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha presentato alcuni limiti che riguardano i Miracoli Eucaristici, ed indicato gli aspetti positivi che si possono valorizzare. “La nostra fede non è fondata sui Miracoli Eucaristici, ma sull’annuncio di Cristo Signore, accolto nella fede grazie all’azione dello Spirito Santo. Crediamo per aver creduto alla predicazione (Gal 3,5):“Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi”(Rm:10,17):“La fede dipende dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la Parola di Cristo”. Quindi “credere è un atto dell’intelletto che, sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina”(S. Tommaso, Summa Theologiae, II-II, q.2,a.9,c). E la nostra fede nell’Eucaristia ha come centro Cristo, che durante la sua predicazione ha preannunciato l’istituzione dell’Eucaristia e l’ha poi istituita celebrando con i suoi Apostoli l’Ultima Cena, il giovedì santo. Da allora la Chiesa, fedele al comando del Signore:“Fate questo in memoria di me”(1Cor 11,24), ha sempre celebrato con fede e devozione l’Eucaristia, soprattutto la domenica, giorno della risurrezione di Gesù, e continuerà a farlo “finché Egli venga”(1Cor 11,26)”. Non esiste un obbligo, per il cristiano, di credere ai Miracoli Eucaristici. “Questi non impegnano obbligatoriamente la fede dei fedeli, anche se sono riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa. Ogni fedele conserva la sua libertà di apprezzamento: nessun cristiano è obbligato a credere ad alcuna delle rivelazioni private, neanche quando sono approvate dalla Chiesa. In linea di principio, il credente non deve tuttavia escludere che Dio possa intervenire in un modo straordinario in un qualunque momento, luogo, avvenimento, persona. Il difficile è discernere se in questo singolo fatto si è verificato tale intervento autentico straordinario di Dio. La prudenza della Chiesa, di fronte a fenomeni straordinari (come i Miracoli Eucaristici), è pienamente giustificata, in quanto tra l’altro ci si può imbattere nei seguenti rischi: supporre che Dio ha dimenticato di dirci qualcosa nell’istituzione dell’Eucaristia; far passare in secondaria linea l’Eucaristia domenicale; attribuire eccessiva importanza all’aspetto miracolistico, straordinario, con conseguente svalutazione del quotidiano nella vita del credente e della Chiesa; dar facile credito a suggestioni, imbrogli… L’eventuale approvazione ecclesiale di un Miracolo Eucaristico contiene i seguenti elementi: il fatto relativo non contiene nulla che contrasta la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico; i fedeli sono autorizzati a dare ad esso la loro adesione in forma prudente. Anche se nessuno è obbligato a crederci, il credente si mostrerà rispettoso nei confronti del Miracoli Eucaristici, la cui autenticità è stata riconosciuta dalla Chiesa”. E poi ci sono gli aspetti positivi. “I Miracoli Eucaristici possono costituire un utile e fruttuoso aiuto alla nostra fede. Ad esempio essi possono aiutare ad andare oltre il visibile, il sensibile, ad ammettere l’esistenza di un oltre, un al di là. Proprio perché è riconosciuto come fatto straordinario, il Miracolo Eucaristico non trova spiegazione nei fatti e ragionamenti scientifici, va oltre la ragione umana, e interpella l’uomo sollecitandolo ad “andare oltre” il sensibile, il visibile, l’umano, cioè ad ammettere che ci sia un qualcosa che è incomprensibile, inspiegabile umanamente con la sola ragione umana, scientificamente non dimostrabile. Offrire l’occasione di parlare, nella catechesi, della Rivelazione pubblica e della sua importanza per la Chiesa e il cristiano. I Miracoli Eucaristici si riferiscono ad eventi straordinari avvenuti dopo l’istituzione dell’Eucaristia da parte di Cristo, dopo la fine del Nuovo Testamento, e cioè dopo la fine della Rivelazione pubblica”. Che cos’è la Rivelazione pubblica? “La Rivelazione pubblica è quella: operata progressivamente da Dio a partire da Abramo e, attraverso i profeti, fino a Gesù Cristo; testimoniata nelle due parti della Bibbia: l’Antico e il Nuovo Testamento; destinata a tutti gli uomini e a tutto l’uomo, di ogni tempo e luogo; diversa radicalmente, per essenza e non solo per grado, dalle cosiddette rivelazioni private; conclusa con Cristo nel Nuovo Testamento, al quale la Chiesa si sente vincolata”. Perché la Rivelazione pubblica è conclusa con Cristo? “Perché Gesù Cristo è il mediatore e la pienezza della Rivelazione. “Egli, essendo l’Unigenito Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola perfetta e definitiva del Padre. Con l’invio del Figlio e il dono dello Spirito la Rivelazione è ormai pienamente compiuta, anche se nel corso dei secoli la fede della Chiesa dovrà coglierne gradualmente tutta la portata”(Compendio, n. 9). “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”(Eb 1,1-2). Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è pertanto la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice e dona tutto, e non ci sarà altra Parola che quella. “Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, Dio ci ha detto tutto in una sola volta in questa Sua Parola e non ha più nulla da dire”(San Giovanni Della Croce). “L’economia cristiana, in quanto è Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non c’è da aspettarsi alcuna nuova Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo”(Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 4)”. Quali conseguenze produce tale conclusione della Rivelazione pubblica? “Eccone alcune: il Dio dei cristiani è credibile, affidabile, sul fondamento della Scrittura, e non in virtù di messaggi consegnati successivamente a singoli credenti. Non c’è da aspettarsi da Dio nessun’altra manifestazione o rivelazione nuova, se non il ritorno glorioso di Cristo, che inaugurerà “nuovi cieli e una terra nuova”(2Pt 3,13), consentendo a Dio Padre di essere “tutto in tutti” (1Cor 15,28). La Chiesa è vincolata all’evento unico della storia sacra e alla parola della Bibbia, e la sua missione è quella di garantire, interpretare, approfondire, testimoniare la Rivelazione pubblica. E questo avviene grazie alla particolare assistenza dello Spirito Santo, che le fa da guida e che la conduce a conoscere sempre meglio quel tesoro che è Cristo Signore. La Rivelazione pubblica esige la nostra fede:“in essa infatti per mezzo di parole umane e della mediazione della comunità vivente della Chiesa Dio stesso parla a noi e a qualunque uomo di ogni razza, lingua, nazione, tempo e luogo. La fede in Dio e nella sua Parola si distingue da ogni altra fede, fiducia, opinione umana. La certezza che Dio parla, mi dà la sicurezza che incontro la verità stessa, e così ho quel tipo di certezza, che non può verificarsi in nessuna forma umana di conoscenza. È la certezza, sulla quale edifico la mia vita e alla quale mi affido morendo”(Congregazione per la Dottrina della Fede, Il Messaggio di Fatima, p. 34)”. Tuttavia, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata, quindi “toccherà alla fede cristiana conoscerla meglio, approfondirla di più, incarnarla continuamente, testimoniarla a tutti con fedeltà e coraggio. Si potrà così coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli. I Miracoli Eucaristici possono aiutare a conoscere e a vivere la fede, che ha il suo centro in Cristo, e in Cristo-Eucaristia: sono realmente utili purché mantengano il loro stretto orientamento a Cristo e non diventino autonomi; possono rinvigorire la fede soggettiva dei credenti e anche dei non credenti. Sono quindi un aiuto per la loro fede, purché rimandino all’Eucaristia istituita da Cristo e celebrata nella Chiesa domenicalmente. Essi devono servire la fede. Non devono né possono aggiungere nulla all’unico definitivo dono di Cristo-Eucaristia, ma possono diventarne un umile richiamo, talvolta un proficuo approfondimento; un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso”. Infatti “i Miracoli Eucaristici possono invitare, sollecitare a conoscere, apprezzare, amare l’Eucaristia. Possono aiutare la persona a riscoprire la misteriosità, la bellezza e la ricchezza dell’Eucaristia che, come dice il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, approvato e pubblicato dal Papa Benedetto XVI:“È fonte e culmine di tutta la vita cristiana. Nell’Eucaristia toccano il loro vertice l’azione santificante di Dio verso di noi e il nostro culto verso di lui. Essa racchiude tutto il bene spirituale della Chiesa: lo stesso Cristo, nostra Pasqua. La comunione della vita divina e l’unità del Popolo di Dio sono espresse e prodotte dall’Eucaristia. Mediante la celebrazione eucaristica ci uniamo già alla liturgia del Cielo e anticipiamo la vita eterna”(n.274). Non bisogna mai dimenticare né sottacere che l’Eucaristia è il vero grande inesauribile Miracolo quotidiano. Essa è un sacramento. I Sacramenti “sono segni sensibili ed efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina.(…)Sono efficaci ex opere operato (“per il fatto stesso che l’azione sacramentale viene compiuta”), perché è Cristo che agisce in essi e che comunica la grazia che significano, indipendentemente dalla santità personale”(Compendio del CCC, nn. 224.229). È il sacramento domenicale per eccellenza: va evidenziato che il miracolo più diffuso e alla portata di tutti è quello che si verifica nelle nostre chiese allorquando si celebra la Santa Messa. “È il sacrificio stesso del Corpo e del Sangue del Signore Gesù, che Egli istituì per perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della Croce, affidando così alla sua Chiesa il memoriale della sua Morte e Risurrezione. È il segno dell’unità, il vincolo della carità, il convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della vita eterna”(Compendio, 271). È proprio vero che il Miracolo più importante e strepitoso è quello che avviene ogni qualvolta si celebra l’Eucaristia, in cui Gesù Cristo si fa presente “in modo unico e incomparabile”. È presente infatti in modo vero, reale, sostanziale: con il suo Corpo e il suo Sangue, con la sua Anima e la sua Divinità. In essa è quindi presente in modo sacramentale, e cioè sotto le specie eucaristiche del pane e del vino, Cristo tutto intero: Dio e uomo”(Compendio, n. 282). E nel rendere presente e attuale il Suo sacrifico della Croce, Egli si fa nostro cibo e bevanda, con il Suo Corpo e il Suo Sangue, unendoci a sé e tra di noi, divenendo il nostro viatico nel pellegrinaggio terreno verso la patria eterna. È questo il misterioso miracolo per eccellenza, che siamo invitati a celebrare soprattutto ogni domenica, nella comunità ecclesiale, spezzando l’unico pane, che – come afferma Sant’Ignazio di Antiochia – “è farmaco d’immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo per sempre”. È opportuno altresì valorizzare i Santuari dei Miracoli Eucaristici, riconosciuti dalla Chiesa, come luoghi di celebrazioni liturgiche (in particolare del Sacramento della Riconciliazione), luoghi di preghiera e di spiritualità eucaristica, di catechesi e di attuazione della carità. I Miracoli Eucaristici manifestano e attuano la loro relazione con la pietà popolare. Essi sovente provengono innanzitutto dalla pietà popolare e su di essa si riflettono, le danno nuovi impulsi e dischiudono per essa nuove forme. Ciò non esclude che esse abbiano effetti anche nella stessa liturgia, come ad esempio mostrano le feste del Corpus Domini. La liturgia è il criterio, essa è la forma vitale della Chiesa nel suo insieme nutrita direttamente dal Vangelo”. Il Beato Giovanni Paolo II, nell’Anno Domini 2000 del suo pontificato, nelle sue catechesi ha parlato dell’Eucaristia come della “suprema celebrazione terrena della gloria”. L’Eucaristia è grande “perché è l’espressione principale della presenza di Cristo in mezzo a noi “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt 28,20); umile perché è affidata ai segni semplici e quotidiani del pane e del vino, cibo e bevanda ordinari della terra di Gesù e di molte altre regioni. In questa quotidianità degli alimenti, l’Eucaristia introduce non solo la promessa, ma il ‘pegno’ della gloria futura: “futurae gloriae nobis pignus datur”(San Tommaso d’Aquino, Officium de festo corporis Christi). Per cogliere la grandezza del mistero eucaristico, vogliamo oggi considerare il tema della gloria divina e dell’azione di Dio nel mondo, ora manifestata in grandi eventi di salvezza, ora celata sotto umili segni, che solo l’occhio della fede può percepire. Nell’Antico Testamento col vocabolo ebraico kabôd si indica lo svelarsi della gloria divina e la presenza di Dio nella storia e nel creato. La gloria del Signore rifulge sulla vetta del Sinai, luogo di rivelazione della Parola divina (Es 24,16). È presente sulla tenda santa e nella liturgia del popolo di Dio pellegrino nel deserto (Lv 9,23). Domina nel tempio, la dimora – come dice il Salmista – “dove abita la tua gloria” (Sal 26,8). Avvolge come un manto di luce (Is 60,1) tutto il popolo eletto: lo stesso Paolo è consapevole che “gli Israeliti possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze…”(Rm 9,4). Questa gloria divina che si manifesta in modo speciale a Israele è presente in tutto l’universo, come il profeta Isaia ha sentito proclamare dai serafini al momento della sua vocazione: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”(Is 6,3). Anzi, a tutti i popoli il Signore rivela la sua gloria, come si legge nel Salterio: “Tutti i popoli contemplano la sua gloria”(Sal 97,6). L’accendersi della luce della gloria è, quindi, universale, per cui tutta l’umanità può scoprire la presenza divina nel cosmo. Soprattutto in Cristo si compie questo svelamento perché egli è “irradiazione della gloria” divina (Eb 1,3). Lo è anche attraverso le sue opere, come testimonia l’evangelista Giovanni di fronte al segno di Cana: Cristo “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”(Gv 2,11). Egli irradia la gloria divina anche attraverso la sua parola che è parola divina: “Io ho dato loro la tua parola”, dice Gesù al Padre; “la gloria che tu hai dato a me,io l’ho data a loro”(Gv 17,14.22). Più radicalmente Cristo manifesta la gloria divina attraverso la sua umanità, assunta nell’incarnazione: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”(Gv 1,14). La rivelazione terrena della gloria divina raggiunge il suo apice nella Pasqua che, soprattutto negli scritti giovannei e paolini, è tratteggiata come una glorificazione di Cristo alla destra del Padre (Gv 12,23; 13,31; 17,1; Fil 2,6-11; Col 3,1; 1 Tim 3,16). Ora, il mistero pasquale, espressione della “perfetta glorificazione di Dio” (SC 7), si perpetua nel sacrificio eucaristico, memoriale della morte e risurrezione affidato da Cristo alla Chiesa sua amata sposa (SC 47). Col comando “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19) Gesù assicura la presenza della gloria pasquale attraverso tutte le celebrazioni eucaristiche che scandiranno il fluire della storia umana. “Attraverso la santa Eucaristia l’evento della Pasqua di Cristo si espande in tutta la Chiesa (…). Con la comunione al corpo e al sangue di Cristo, i fedeli crescono nella misteriosa divinizzazione che, grazie allo Spirito Santo, li fa abitare nel Figlio come figli del Padre” (Giovanni Paolo II e Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, Dichiarazione Comune 23.6.1984, n. 6: EV 9,842)”. Per Giovanni Paolo II “è indubbio che la celebrazione più alta della gloria divina si ha oggi nella liturgia. “Poiché la morte di Cristo in croce e la sua risurrezione costituiscono il contenuto della vita quotidiana della Chiesa e il pegno della sua Pasqua eterna, la liturgia ha come primo compito quello di ricondurci instancabilmente sul cammino pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare nella vita” (Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus, 6). Ora, questo compito si esercita anzitutto per mezzo della celebrazione eucaristica, la quale rende presente la Pasqua di Cristo e ne comunica il dinamismo ai fedeli. Così il culto cristiano è l’espressione più viva dell’incontro tra la gloria divina e la glorificazione che sale dalle labbra e dal cuore dell’uomo. Alla “gloria del Signore che riempie la dimora” del tempio con la sua presenza luminosa (Es 40,34) deve corrispondere il nostro “glorificare il Signore con animo generoso” (Sir 35,7). Come ci ricorda san Paolo, dobbiamo anche glorificare Dio nel nostro corpo, cioè nell’intera esistenza, perché il nostro corpo è tempio dello Spirito che è in noi (1 Cor 6,19.20). In questa luce si può anche parlare di una celebrazione cosmica della gloria divina. Il mondo creato, “spesso ancora sfigurato dall’egoismo e dall’ingordigia”, ha in sé “una potenzialità eucaristica”: “esso è destinato ad essere assunto nell’eucaristia del Signore, nella sua Pasqua presente nel sacrificio dell’altare” (Orientale Lumen 11). All’aleggiare della gloria del Signore che è “più alta dei cieli” (Sal 113,4) e si irradia sull’universo risponderà allora, in contrappunto di armonia, la lode corale del creato così che “in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!”(1 Pt 4,11)”. Per Giovanni Paolo II l’Eucarestia è “memoriale dei mirabilia Dei”. Tra i molteplici aspetti dell’Eucaristia spicca quello di “memoriale”, che sta in rapporto con un tema biblico di primaria importanza. Leggiamo, ad esempio, nel libro dell’Esodo: “Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe” (Es 2,24). Nel Deuteronomio invece è detto: “Ricordati del Signore tuo Dio” (8,18). “Ricordati di quello che il Signore tuo Dio fece…”(7,18). Nella Bibbia il ricordo di Dio e il ricordo dell’uomo s’intrecciano e costituiscono una componente fondamentale della vita del popolo di Dio. Non si tratta, però, della pura commemorazione di un passato ormai estinto, bensì di uno zikkarôn, cioè un “memoriale”. Questo “non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali” (CCC 1363). Il memoriale richiama un legame di alleanza che non viene mai meno: “Il Signore si ricorda di noi e ci benedice” (Sal 115,12). La fede biblica implica quindi il ricordo efficace delle opere meravigliose di salvezza. Esse sono professate nel “Grande Hallel”, il Salmo 136, che – dopo aver proclamato la creazione e la salvezza offerta a Israele nell’Esodo – conclude: «Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi perché eterno è il suo amore (…). Ci ha liberati (…), ha dato il cibo a ogni vivente, perché eterno è il suo amore» (Sal 136,23-25). Simili parole troveremo nel Vangelo sulle labbra di Maria e Zaccaria: “Egli ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (…). Egli si è ricordato della sua santa alleanza” (Lc 1,54.72). Nell’Antico Testamento il “memoriale” per eccellenza delle opere di Dio nella storia era la liturgia pasquale dell’Esodo: ogni volta che il popolo di Israele celebrava la Pasqua, Dio gli offriva in modo efficace il dono della libertà e della salvezza. Nel rito pasquale, si incrociavano pertanto i due ricordi, quello divino e quello umano, cioè la grazia salvifica e la fede riconoscente: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore (…). Sarà per te segno sulla tua mano e ricordo fra i tuoi occhi, perché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Con mano potente infatti il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto» (Es 12,14; 13,9). In forza di questo evento, come affermava un filosofo ebreo, Israele sarà sempre «una comunità basata sul ricordo» (M. Buber)”. Giovanni Paolo II sottolinea l’intreccio tra il ricordo di Dio e quello dell’uomo che “è al centro anche dell’Eucaristia che è il “memoriale” per eccellenza della Pasqua cristiana. L’“anamnesi”, cioè l’atto di ricordare, è infatti il cuore della celebrazione: il sacrificio di Cristo, evento unico, compiuto ef’hapax, cioè “una volta per tutte” (Eb 7,27; 9,12.26; 10,12), diffonde la sua presenza salvifica nel tempo e nello spazio della storia umana. Ciò è espresso nell’imperativo finale che Luca e Paolo riportano nella narrazione dell’Ultima Cena: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me… Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1Cor 11,24-25; Lc 22,19). Il passato del “corpo dato per noi” sulla croce si presenta vivo nell’oggi e, come dichiara Paolo, si apre al futuro della redenzione finale: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11,26). L’Eucaristia è, dunque, memoriale della morte di Cristo, ma è anche presenza del suo sacrificio e anticipazione della sua venuta gloriosa. È il sacramento della continua vicinanza salvatrice del Signore risorto nella storia. Si comprende pertanto l’esortazione di Paolo a Timoteo: “Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti” (2 Tm 2,8). Questo ricordo vive e opera in modo speciale nell’Eucaristia. L’evangelista Giovanni ci spiega il senso profondo del “ricordo” delle parole e degli eventi di Cristo. Di fronte al gesto di Gesù che purifica il tempio dai mercanti e annunzia che esso sarà distrutto e fatto risorgere in tre giorni, egli annota: “Quando fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù” (Gv 2,22). Questa memoria che genera e alimenta la fede è opera dello Spirito Santo “che il Padre manderà nel nome” di Cristo: “Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). C’è, quindi, un ricordo efficace: quello interiore che conduce alla comprensione della Parola di Dio e quello sacramentale che si realizza nell’Eucaristia. Sono le due realtà di salvezza che Luca ha unito nello splendido racconto dei discepoli di Emmaus, scandito dalla spiegazione delle Scritture e dallo “spezzare il pane” (Lc 24,13-35). Per Giovanni Paolo II “ricordare” è pertanto “riportare al cuore” nella memoria e nell’affetto, ma è anche celebrare una presenza. “L’Eucaristia, vero memoriale del mistero pasquale di Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore. Essa è, perciò, il segreto della vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo facile, altrimenti, senza la divina efficacia di questo richiamo continuo e dolcissimo, senza la forza penetrante di questo sguardo del suo Sposo fissato su di lei, cadere nell’oblio, nell’insensibilità, nell’infedeltà” (Lettera Apostolica Patres Ecclesiae, III: Ench. Vat., 7, 33). Questo richiamo alla vigilanza rende le nostre liturgie eucaristiche aperte alla venuta piena del Signore, all’apparire della Gerusalemme celeste. Nell’Eucaristia il cristiano alimenta la speranza dell’incontro definitivo con il suo Signore”. Il Beato Giovanni Paolo II ci insegna che l’Eucaristia è “sacrificium laudis”. “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria”. Questa proclamazione di lode trinitaria suggella in ogni celebrazione eucaristica la preghiera del Canone. L’Eucaristia, infatti, è il perfetto “sacrificio di lode”, la glorificazione più alta che dalla terra sale al cielo, “la fonte e l’apice di tutta la vita cristiana in cui (i figli di Dio) offrono (al Padre) la vittima divina e se stessi con essa” (LG n.11). Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Ebrei ci insegna che la liturgia cristiana è offerta da un “sommo sacerdote santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli”, che ha compiuto una volta per sempre un unico sacrificio “offrendo se stesso” (Eb 7,26-27). “Per mezzo di Lui, dice la Lettera, offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode” (Eb 13,15). Vogliamo oggi evocare brevemente i due temi del sacrificio e della lode che si incontrano nell’Eucaristia, sacrificium laudis”. Giovanni Paolo II ci ricorda che “nell’Eucaristia si attualizza innanzitutto il sacrificio di Cristo. Gesù è realmente presente sotto le specie del pane e del vino, come egli stesso ci assicura: “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue” (Mt 26,27-28). Ma il Cristo presente nell’Eucaristia è il Cristo ormai glorificato, che nel Venerdì Santo offrì se stesso sulla croce. È ciò che sottolineano le parole da lui pronunziate sul calice del vino: “Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti” (Mt 26,28; cfr Mc 14,24; Lc 22,20). Se si esaminano queste parole alla luce della loro filigrana biblica, affiorano due rimandi significativi. Il primo è costituito dalla locuzione “sangue versato” che, come attesta il linguaggio biblico (cfr Gen 9,6), è sinonimo di morte violenta. Il secondo consiste nella precisazione “per molti” riguardante i destinatari di questo sangue versato. L’allusione qui ci riporta a un testo fondamentale per la rilettura cristiana delle Scritture, il quarto canto di Isaia: col suo sacrificio, “consegnando se stesso alla morte”, il Servo del Signore “portava il peccato di molti” (Is 53,12; Eb 9,28; 1Pt 2,24). La stessa dimensione sacrificale e redentrice dell’Eucaristia è espressa dalle parole di Gesù sul pane nell’Ultima Cena, così come sono riferite dalla tradizione di Luca e di Paolo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi” (Lc 22,19; cfr 1 Cor 11,24). Anche in questo caso si ha un rimando alla donazione sacrificale del Servo del Signore secondo il passo già evocato di Isaia (53,12): “Egli ha consegnato se stesso alla morte…; egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”. “L’Eucaristia è, dunque, un sacrificio: sacrificio della redenzione e, al tempo stesso, della nuova alleanza, come crediamo e come chiaramente professano anche le Chiese d’Oriente. Il sacrificio odierno – ha affermato, secoli fa, la Chiesa greca (nel Sinodo Costantinopolitano contro Soterico del 1156-57) – è come quello che un giorno offrì l’unigenito incarnato Verbo di Dio, viene da lui offerto oggi come allora, essendo l’identico e unico sacrificio” (Lettera Apostolica Dominicae Cenae n. 9)”. Per Giovanni Paolo II “l’Eucaristia, come sacrificio della nuova alleanza, si pone quale sviluppo e compimento dell’alleanza celebrata sul Sinai quando Mosè ha versato metà del sangue delle vittime sacrificali sull’altare, simbolo di Dio, e metà sull’assemblea dei figli di Israele (cfr Es 24,5-8). Questo “sangue dell’alleanza” univa intimamente Dio e uomo in un legame di solidarietà. Con l’Eucaristia l’intimità diviene totale, l’abbraccio tra Dio e l’uomo raggiunge il suo apice. È il compiersi di quella “nuova alleanza” che aveva predetto Geremia (31,31-34): un patto nello spirito e nel cuore che la Lettera agli Ebrei esalta proprio partendo dall’oracolo del profeta, raccordandolo al sacrificio unico e definitivo di Cristo (Eb 10,14-17)”. Per Giovanni Paolo II “l’Eucaristia è un sacrificio di lode. Essenzialmente orientato alla comunione piena tra Dio e l’uomo, “il sacrificio eucaristico è la fonte e il culmine di tutto il culto della Chiesa e di tutta la vita cristiana. A questo sacrificio di rendimento di grazie, di propiziazione, di impetrazione e di lode i fedeli partecipano con maggiore pienezza, quando non solo offrono al Padre con tutto il cuore, in unione con il sacerdote, la sacra vittima e, in essa, loro stessi, ma ricevono pure la stessa vittima nel sacramento” (Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, n. 3 e). Come dice il termine stesso nella sua genesi greca, l’Eucaristia è “ringraziamento”; in essa il Figlio di Dio unisce a sé l’umanità redenta in un canto di azione di grazie e di lode. Ricordiamo che la parola ebraica todah, tradotta “lode”, significa anche “ringraziamento”. Il sacrificio di lode era un sacrificio di rendimento di grazie (Sal 50[49], 14.23). Nell’Ultima Cena, per istituire l’Eucaristia, Gesù ha reso grazie a suo Padre (cfr Mt 26,26-27 e paralleli); è questa l’origine del nome di questo sacramento”. Giovanni Paolo II ci ricorda che “nel Sacrificio eucaristico, tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la risurrezione di Cristo” (CCC 1359). Unendosi al sacrificio di Cristo, la Chiesa nell’Eucaristia dà voce alla lode dell’intera creazione. A ciò deve corrispondere l’impegno di ciascun fedele a offrire la sua esistenza, il suo “corpo” – come dice Paolo – in “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1), in una comunione piena con Cristo. In questo modo un’unica vita unisce Dio e l’uomo, il Cristo crocifisso e risorto per tutti e il discepolo chiamato a donarsi interamente a Lui. Questa intima comunione d’amore è cantata dal poeta francese Paul Claudel che pone in bocca a Cristo queste parole: “Vieni con me, dove Io Sono, in te stesso, / e io ti darò la chiave dell’esistenza. / Là dove Io Sono, là eternamente / è il segreto della tua origine… / (…). Dove sono le tue mani che non siano le mie? / E i tuoi piedi che non siano confitti alla stessa croce? / Io sono morto e sono risorto una volta per tutte! Noi siamo vicinissimi l’uno all’altro / (…). Come fare per separarti da me / senza che tu mi strappi il cuore?” (La Messe là-bas)”. Per il Beato Giovanni Paolo II l’Eucaristia è “banchetto di comunione con Dio”. “Siamo diventati Cristo. Infatti se egli è il capo e noi le sue membra, l’uomo totale è lui e noi” (Agostino, Tractatus in Jo. 21,8). Queste parole ardite di sant’Agostino esaltano la comunione intima che nel mistero della Chiesa si crea tra Dio e l’uomo, una comunione che, nel nostro cammino storico, trova il suo segno più alto nell’Eucaristia. Gli imperativi: “Prendete e mangiate…Bevetene…”(Mt 26,26-27) che Gesù rivolge ai suoi discepoli in quella sala al piano superiore di una casa di Gerusalemme, l’ultima sera della sua vita terrena ( Mc 14,15), sono densi di significato. Già il valore simbolico universale del banchetto offerto nel pane e nel vino (Is 25,6), rimanda alla comunione e all’intimità. Elementi ulteriori più espliciti esaltano l’Eucaristia come convito di amicizia e di alleanza con Dio. Essa infatti – come il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda – è “al tempo stesso e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce e il sacro banchetto della Comunione al Corpo e al Sangue del Signore” (CCC 1382). Come nell’Antico Testamento il santuario mobile del deserto era chiamato “tenda del convegno”, cioè dell’incontro tra Dio e il suo popolo e dei fratelli di fede tra loro, l’antica tradizione cristiana ha chiamato “sinassi”, cioè “riunione”, la celebrazione eucaristica. In essa “si svela la natura profonda della Chiesa, comunità dei convocati alla sinassi per celebrare il dono di colui che è offerente e offerta: essi, partecipando ai santi misteri, divengono ‘consanguinei’ di Cristo, anticipando l’esperienza della divinizzazione nell’ormai inseparabile vincolo che lega in Cristo divinità e umanità” (Orientale Lumen n. 10). Se vogliamo approfondire il senso genuino di questo mistero di comunione tra Dio e i fedeli, dobbiamo ritornare alle parole di Gesù nell’ultima Cena. Esse rimandano alla categoria biblica dell’“alleanza”, evocata proprio attraverso la connessione del sangue di Cristo con quello sacrificale versato al Sinai: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza” (Mc 14,24). Mosè aveva dichiarato: “Ecco il sangue dell’alleanza” (Es 24,8). L’alleanza che al Sinai univa Israele al Signore con un vincolo di sangue, preannunciava la nuova alleanza, da cui deriva – per usare un’espressione dei Padri greci – come una consanguineità tra Cristo e il fedele (Cirillo Alessandrino, In Johannis Evangelium XI; Giovanni Crisostomo, In Matthaeum hom. LXXXII, 5)”. Giovanni Paolo II sottolinea come siano “soprattutto le teologie giovannea e paolina ad esaltare la comunione del credente con Cristo nell’Eucaristia Nel discorso nella sinagoga di Cafarnao Gesù dice esplicitamente: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). L’intero testo di quel discorso è proteso a sottolineare la comunione vitale che si stabilisce, nella fede, tra Cristo pane di vita e colui che ne mangia. In particolare appare il verbo greco tipico del quarto vangelo per indicare l’intimità mistica tra Cristo e il discepolo, ménein, “rimanere, dimorare”: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56; 15,4-9). Il vocabolo greco della “comunione”, koinonìa, emerge poi nella riflessione della Prima Lettera ai Corinzi, dove Paolo parla dei banchetti sacrificali dell’idolatria qualificandoli come “mensa dei demoni” (10,21), ed esprime un principio valido per tutti i sacrifici: “Quelli che mangiano le vittime sacrificali sono in comunione con l’altare” (10,18). Di questo principio l’Apostolo fa un’applicazione positiva e luminosa in rapporto all’Eucaristia: “Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione (koinonía) con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione (koinonía) con il corpo di Cristo? (…). Tutti partecipiamo dell’unico pane” (10,16-17). “La partecipazione all’Eucaristia, sacramento della nuova alleanza, è quindi il vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna, principio e forza del dono totale di sé” (Veritatis splendor, n. 21)”. Secondo Giovanni Paolo II “questa comunione con Cristo genera, pertanto, un’intima trasformazione del fedele. San Cirillo Alessandrino delinea in modo efficace questo evento mostrandone la risonanza nell’esistenza e nella storia: “Cristo ci forma secondo la sua immagine in modo che i lineamenti della sua divina natura risplendano in noi attraverso la santificazione, la giustizia e la vita buona e conforme a virtù. La bellezza di questa immagine risplende in noi che siamo in Cristo, quando ci mostriamo uomini buoni nelle opere” (Tractatus ad Tiberium Diaconum sociosque, II, Responsiones ad Tiberium Diaconum sociosque, in In divi Johannis Evangelium, vol. III, Bruxelles 1965, p. 590). “Partecipando al sacrificio della croce, il cristiano comunica con l’amore di donazione di Cristo ed è abilitato e impegnato a vivere questa stessa carità in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti di vita. Nell’esistenza morale si rivela e si attua il servizio regale cristiano” (Veritatis splendor n. 107). Tale servizio regale ha la sua radice nel battesimo e la sua fioritura nella comunione eucaristica. La via della santità, dell’amore, della verità è, dunque, la rivelazione al mondo della nostra intimità divina, attuata nel banchetto dell’Eucaristia. Lasciamo che il nostro desiderio della vita divina offerta in Cristo si esprima con i caldi accenti di un grande teologo della Chiesa armena, Gregorio di Narek (X sec.): “Non è dei suoi doni, ma del Donatore che ho sempre la nostalgia. Non è la gloria a cui aspiro, ma è il Glorificato che voglio abbracciare… Non è il riposo ciò che cerco, ma è il volto di Colui che dona riposo che io domando supplicando. Non è per il banchetto nuziale, ma per il desiderio dello Sposo che io languisco” (XII Preghiera)”. Per il Beato Giovanni Paolo II “l’Eucaristia apre al futuro di Dio”. “Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste” (SC n.8; GS n. 38). Queste parole così limpide ed essenziali del Concilio Vaticano II ci presentano una dimensione fondamentale dell’Eucaristia: il suo essere “futurae gloriae pignus”, pegno della gloria futura, secondo una bella espressione della tradizione cristiana (SC n. 47). “Questo sacramento – osserva san Tommaso d’Aquino – non ci introduce subito nella gloria ma ci dà la forza di giungere alla gloria ed è per questo che è detto «viatico»” (Summa Th. III, 79, 2, ad I). La comunione con Cristo che ora viviamo mentre siamo pellegrini e viandanti nelle strade della storia anticipa l’incontro supremo del giorno in cui “noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Elia, che in cammino nel deserto si accascia privo di forze sotto un ginepro e viene rinvigorito da un pane misterioso fino a raggiungere la vetta dell’incontro con Dio (1Re 19,1-8), è un tradizionale simbolo dell’itinerario dei fedeli, che nel pane eucaristico trovano la forza per camminare verso la meta luminosa della città santa”. Per Giovanni Paolo II “è questo anche il senso profondo della manna imbandita da Dio nelle steppe del Sinai, “cibo degli angeli” capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto, manifestazione della dolcezza (di Dio) verso i suoi figli (Sap 16,20-21). Sarà Cristo stesso a far balenare questo significato spirituale della vicenda dell’Esodo. È lui a farci gustare nell’Eucaristia il duplice sapore di cibo del pellegrino e di cibo della pienezza messianica nell’eternità (Is 25,6). Per mutuare un’espressione dedicata alla liturgia sabbatica ebraica, l’Eucaristia è un “assaggio di eternità nel tempo” (A. J. Heschel). Come Cristo è vissuto nella carne permanendo nella gloria di Figlio di Dio, così l’Eucaristia è presenza divina e trascendente, comunione con l’eterno, segno della “compenetrazione tra città terrena e città celeste” (GS n.40). L’Eucaristia, memoriale della Pasqua di Cristo, è di sua natura apportatrice dell’eterno e dell’infinito nella storia umana”. Giovanni Paolo II sottolinea come “questo aspetto” apra “l’Eucaristia al futuro di Dio, pur lasciandola ancorata alla realtà presente”, come “è illustrato dalle parole che Gesù pronunzia sul calice del vino nell’ultima cena (Lc 22,20; 1Cor 11,25). Marco e Matteo evocano in quelle stesse parole l’alleanza nel sangue dei sacrifici del Sinai (Mc 14,24; Mt 26,28; Es 24,8). Luca e Paolo, invece, rivelano il compimento della “nuova alleanza” annunziata dal profeta Geremia: “Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e di Giuda io concluderò una nuova alleanza, non come l’alleanza conclusa coi vostri padri” (31,31-32). Gesù, infatti, dichiara: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”. ‘Nuovo’, nel linguaggio biblico, indica di solito progresso, perfezione definitiva. Sono ancora Luca e Paolo a sottolineare che l’Eucaristia è anticipazione dell’orizzonte di luce gloriosa propria del regno di Dio. Prima dell’Ultima Cena Gesù dichiara: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione; poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio. Preso un calice, rese grazie e disse: Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio” (Lc 22,15-18). Anche Paolo ricorda esplicitamente che la cena eucaristica è protesa verso l’ultima venuta del Signore: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1Cor 11,26). Il quarto evangelista, Giovanni, esalta questa tensione dell’Eucaristia verso la pienezza del regno di Dio all’interno del celebre discorso sul “pane di vita”, che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao. Il simbolo da lui assunto come punto di riferimento biblico è, come già s’accennava, quello della manna offerta da Dio a Israele pellegrino nel deserto. A proposito dell’Eucaristia Gesù afferma solennemente: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno (…). Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (…). Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51.54.58). La ‘vita eterna’, nel linguaggio del quarto vangelo, è la stessa vita divina che oltrepassa le frontiere del tempo. L’Eucaristia, essendo comunione con Cristo, è quindi partecipazione alla vita di Dio che è eterna e vince la morte. Per questo Gesù dichiara: “La volontà di colui che mi ha mandato è che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Perché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,39-40). In questa luce – come diceva suggestivamente un teologo russo, Sergej Bulgakov – “la liturgia è il cielo sulla terra”. Per questo nella Lettera Apostolica Dies Domini, riprendendo le parole di Paolo VI, ho esortato i cristiani a non trascurare “questo incontro, questo banchetto che Cristo ci prepara nel suo amore. Che la partecipazione ad esso sia insieme degnissima e gioiosa! È il Cristo, crocifisso e glorificato, che passa in mezzo ai suoi discepoli, per trascinarli insieme nel rinnovamento della sua risurrezione. È il culmine, quaggiù, dell’alleanza d’amore tra Dio e il suo popolo: segno e sorgente di gioia cristiana, tappa per la festa eterna” (Gaudete in Domino, conclusione; Dies Domini 58)”. Per il Beato Giovanni Paolo II l’Eucaristia è “sacramento di unità”. “Sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità!”. L’esclamazione di S. Agostino nel suo commento al Vangelo di Giovanni (In Johannis Evangelium 26,13) raccoglie idealmente e sintetizza le parole che Paolo ha rivolto ai Corinzi e che abbiamo appena ascoltato: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti, partecipiamo dell’unico pane” (1 Cor 10,17). L’Eucaristia è il sacramento e la sorgente dell’unità ecclesiale. E ciò è stato ribadito fin dalle origini della tradizione cristiana, basandosi proprio sul segno del pane e del vino. Così, nella Didachè, uno scritto composto ai primordi del cristianesimo, si afferma: “Come questo pane spezzato era prima disperso sui monti e, raccolto, è divenuto una sola realtà, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno” (9,1). San Cipriano, vescovo di Cartagine, facendo eco nel III secolo a queste parole, afferma: “Gli stessi sacrifici del Signore mettono in luce l’unanimità dei cristiani cementata con solida e indivisibile carità. Poiché quando il Signore chiama suo corpo il pane composto dall’unione di molti granelli, indica il nostro popolo adunato, che egli sostenta; e quando chiama suo sangue il vino spremuto dai molti grappoli e acini e fuso insieme, indica similmente il nostro gregge composto di una moltitudine unita insieme” (Ep. ad Magnum 6). Questo simbolismo eucaristico in rapporto all’unità della Chiesa torna frequentemente nei Padri e nei teologi scolastici. «Il Concilio di Trento ne ha compendiato la dottrina insegnando che il nostro Salvatore ha lasciato l’Eucaristia alla sua Chiesa “come simbolo della sua unità e della carità con la quale egli volle intimamente uniti tra loro tutti i cristiani”; e perciò essa è “simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo”» (Paolo VI, Mysterium fidei; cfr Conc.Trid., Decr. de SS. Eucharistia, proemio e c. 2). Il Catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza con efficacia: “Coloro che ricevono l’Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo. Per ciò stesso, Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa” (CCC 1395)”. Giovanni Paolo II insegna che “questa dottrina tradizionale è fortemente radicata nella Scrittura. Paolo nel brano già citato della Prima Lettera ai Corinzi la sviluppa partendo da un tema fondamentale, quello della koinonía, cioè della comunione che si instaura tra il fedele e Cristo nell’Eucaristia. “Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione (koinonía) con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione (koinonía) con il corpo di Cristo?” (10,16). Questa comunione è descritta più precisamente nel vangelo di Giovanni come una relazione straordinaria di “interiorità reciproca”: ‘lui in me e io in lui’. Gesù, infatti, dichiara nella sinagoga di Cafarnao: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56). È un tema che sarà sottolineato anche nei discorsi dell’Ultima Cena mediante il simbolo della vite: il tralcio è verdeggiante e fruttifero solo se è innestato nel ceppo della vite da cui riceve linfa e sostegno (Gv 15,1-7). Altrimenti è solo un ramo secco e destinato al fuoco: aut vitis aut ignis, «o la vite o il fuoco», commenta in modo lapidario sant’Agostino (In Johannis – Evangelium 81,3). Si delinea qui un’unità, una comunione, che si attua tra il fedele e Cristo presente nell’Eucaristia, sulla base di quel principio che Paolo formula così: “Quelli che mangiano le vittime sacrificali sono in comunione con l’altare” (1 Cor 10,18)”. Per Giovanni Paolo II “questa comunione-koinonía di tipo ‘verticale’ perché ci unisce al mistero divino, genera nel contempo una comunione-koinonía che possiamo dire ‘orizzontale’, ossia ecclesiale, fraterna, capace di unire in un legame d’amore tutti i partecipanti alla stessa mensa. “Pur essendo molti, siamo un corpo solo – ci ricorda Paolo -: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,17). Il discorso sull’Eucaristia anticipa la grande riflessione ecclesiale che l’Apostolo svilupperà nel capitolo 12 della stessa Lettera, quando parlerà del corpo di Cristo nella sua unità e molteplicità. Anche la celebre descrizione della Chiesa di Gerusalemme offerta da Luca negli Atti degli Apostoli delinea questa unità fraterna o koinonía connettendola alla frazione del pane, cioè alla celebrazione eucaristica (At 2,42). È una comunione che si compie nella concretezza della storia: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nella comunione fraterna (koinonía), nella frazione del pane e nella preghiera (…) Tutti coloro che erano divenuti credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (At 2,42-44)”. Da qui l’ammonimento di Giovanni Paolo II. “Si rinnega perciò il significato profondo dell’Eucaristia, quando la si celebra senza tener conto delle esigenze della carità e della comunione. Paolo è severo con i Corinzi perché il loro radunarsi insieme “non è più un mangiare la cena del Signore” (1Cor 11,20) a causa delle divisioni, delle ingiustizie, degli egoismi. In tal caso l’Eucaristia non è più agape, cioè espressione e fonte di amore. E chi partecipa indegnamente, senza farla sbocciare in carità fraterna, “mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29). “Se la vita cristiana si esprime nell’adempimento del più grande comandamento, e cioè nell’amore di Dio e del prossimo, questo amore trova la sua sorgente proprio nel santissimo sacramento, che comunemente è chiamato: sacramento dell’amore” (Dominicae coenae n. 5). L’Eucaristia ricorda, rende presente e genera questa carità. Raccogliamo, allora, l’appello del vescovo e martire Ignazio che esortava all’unità i fedeli di Filadelfia in Asia Minore: “Una sola è la carne di nostro Signore Gesù Cristo, uno solo è il calice nell’unità del suo sangue, uno solo l’altare, come uno è il Vescovo” (Ep. ad Philadelphenses 4). E con la liturgia preghiamo Dio Padre: “A noi che ci nutriamo del corpo e del sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (Preghiera eucaristica III)”. Giovanni Paolo II sviluppa, poi, il tema de “La Parola, l’Eucaristia e i cristiani divisi”(Lettura: Gv 17,20-21), nella dimensione del dialogo ecumenico e di quello interreligioso, come già indicava nella Tertio millennio adveniente (nn. 53 e 55). La linea trinitaria ed eucaristica sviluppata nelle precedenti catechesi conduce il Santo Padre “a sostare su questo versante, prendendo in considerazione innanzitutto il problema della ricomposizione dell’unità tra i cristiani. Lo facciamo alla luce della narrazione evangelica sui discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), osservando il modo in cui i due discepoli, che si allontanavano dalla comunità, furono spinti a fare il cammino inverso e a ritrovarla. I due discepoli voltavano le spalle al luogo in cui Gesù era stato crocifisso, perché questo evento era per loro una delusione crudele. Per lo stesso fatto, si allontanavano dagli altri discepoli e tornavano, per così dire, all’individualismo. ‘Conversavano di tutto quello che era accaduto’ (Lc 24,14), senza capirne il senso. Non capivano che Gesù era morto ‘per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi’ (Gv 11,52). Vedevano soltanto l’aspetto tremendamente negativo della croce, che rovinava le loro speranze: ‘Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele!’ (Lc 24,21). Gesù risorto si accosta e cammina con loro, ‘ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo’ (Lc 24,16), perché dal punto di vista spirituale, si trovavano nelle tenebre più oscure. Gesù allora s’impegna con ammirevole pazienza a rimetterli nella luce della fede per mezzo di una lunga catechesi biblica: ‘Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui’ (Lc 24,27). Il loro cuore cominciò a ardere (Lc 24,32). Pregarono il loro misterioso compagno di restare con loro. ‘Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista’ (Lc 24, 30-31). Grazie alla spiegazione luminosa delle Scritture, erano passati dalle tenebre dell’incomprensione alla luce della fede ed erano divenuti capaci di riconoscere Cristo risorto ‘nello spezzare il pane’ (Lc 24,35). L’effetto di questo cambiamento profondo fu un impulso a ripartire senza indugio e a fare ritorno a Gerusalemme per raggiungere ‘gli Undici e gli altri che erano con loro’ (Lc 24,33). Il cammino di fede aveva reso possibile l’unione fraternal”. Per Giovanni Paolo II “il nesso tra l’interpretazione della parola di Dio e l’Eucaristia appare anche altrove nel Nuovo Testamento. Giovanni nel suo Vangelo intreccia questa parola all’Eucaristia quando nel discorso di Cafarnao ci presenta Gesù che evoca il dono della manna nel deserto reinterpretandolo in chiave eucaristica (Gv 6,32-58). Nella Chiesa di Gerusalemme, l’assiduità ad ascoltare la didaché, cioè l’insegnamento apostolico basato sulla parola di Dio, precedeva la partecipazione alla ‘frazione del pane’ (At 2,42). A Troade, quando i cristiani si riunirono attorno a Paolo per ‘spezzare il pane’, Luca riferisce che il raduno cominciò con lunghi discorsi dell’Apostolo (At 20,7), certamente per nutrire la fede, la speranza e la carità. Da tutto questo risulta chiaro che l’unione nella fede è la condizione previa alla partecipazione comune all’Eucaristia. Con la Liturgia della Parola e l’Eucaristia – come ci ricorda il Concilio Vaticano II citando san Giovanni Crisostomo (In Joh. hom. 46) – ‘i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità, fatti ‘partecipi della natura divina’ (2Pt 1,4). Perciò per mezzo della celebrazione dell’Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e per mezzo della celebrazione si manifesta la loro comunione’ (Unitatis redintegratio, n. 15). Questo legame col mistero dell’unità divina genera, dunque, un vincolo di comunione e di amore tra coloro che sono assisi all’unica mensa della Parola e dell’Eucaristia. L’unica mensa è segno e manifestazione dell’unità. ‘Di conseguenza, la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile’ (La ricerca dell=unità – Direttorio ecumenico1993, n. 129). In questa luce si comprende come le divisioni dottrinali esistenti tra i discepoli di Cristo raccolti nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali limitino la piena condivisione sacramentale. Il Battesimo è, tuttavia, la radice profonda di un’unità fondamentale che lega i cristiani nonostante le loro divisioni. Se pertanto la partecipazione alla medesima Eucaristia rimane esclusa per i cristiani ancora divisi, è possibile introdurre nella Celebrazione eucaristica, in casi specifici previsti dal Direttorio ecumenico, alcuni segni di partecipazione che esprimono l’unità già esistente e vanno nella direzione della piena comunione delle Chiese attorno alla mensa della Parola e del Corpo e Sangue del Signore. Così, ‘in occasioni eccezionali e per una giusta causa il Vescovo diocesano può permettere che un membro di un’altra Chiesa o Comunità ecclesiale svolga la funzione di lettore durante la Celebrazione eucaristica della Chiesa cattolica’ (n. 133). Similmente ‘ogniqualvolta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli e purché sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo’, tra cattolici e cristiani orientali è lecita una certa reciprocità per i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi (cfr nn. 123-131)”. Come insegna Papa Benedetto XVI “nell’Eucarestia Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. È una presenza dinamica che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé”.

Nicola Facciolini

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