Violenza: madri denunciano solo per difendere i figli

Nel 2010 è stata avviata la ricerca europea ‘Daphne III’ che analizza il danno indiretto nello sviluppo psico-fisico dei minori che assistono alle violenze perpetrate nei confronti delle madri. Dai risultati, che si presentano ufficialmente oggi a Roma, emerge un dato fondamentale che  merita di essere segnalato innanzitutto: nel 100% dei casi la donna-madre sopporta […]

Nel 2010 è stata avviata la ricerca europea ‘Daphne III’ che analizza il danno indiretto nello sviluppo psico-fisico dei minori che assistono alle violenze perpetrate nei confronti delle madri. Dai risultati, che si presentano ufficialmente oggi a Roma, emerge un dato fondamentale che  merita di essere segnalato innanzitutto: nel 100% dei casi la donna-madre sopporta la violenza per i figli e per difendere l’unità del modello patriarcale di famiglia. Prevale l’occultamento della violenza per ragioni socio-culturali. Solo quando la violenza arriva ai figli la madre rompe l’omertà e esce allo scoperto. Il percorso di denuncia, separazione, divorzio in quel momento diviene obbligato. Dalla donna che parla emerge il danno indiretto sul figlio. La donna è divisa tra la richiesta di aiuto ai servizi socio-educativi e la speranza che i figli potranno dimenticare. Tuttavia – avverte il rapporto – il danno recato all’infanzia nell’arco dei primi 15 anni di vita è tale da indurre i figli a negare il desiderio di formare una famiglia e di avere una relazione di coppia per paura di ripetere il comportamento di cui sono stati testimoni.
La ricerca, coordinata dall’università di Cipro con partner l’università Roma Tre (Italia) e quelle di Oradea (Romania), di Presov (Slovacchia), ha preso in esame donne dai 16 ai 60 anni che hanno subito violenza. L’80% del campione italiano risulta essere coniugato e convivente, il 74% presenta denuncia e circa il 79% ha un referto del Pronto Soccorso o più referti medici. Il grado di consapevolezza del danno recato al figlio dipende da variabili come età, classe sociale, reddito, livello di istruzione, provenienza geografica, informazione e vicinanza del Centro antiviolenza. Le donne separate con affidamento condiviso vivono uno stato di paura costante per il figlio tenuto dal padre.
Sempre per quanto riguarda il campione italiano, l’86,7% delle donne è di Roma il 13,3% è di fuori Roma. Hanno nel complesso 54 figli di cui il 59% è rappresentato dai maschi e il 41% è dalle femmine. L’età dei figli che hanno assistito alla violenza varia da 0 anni ad oltre 29 anni con una maggiore concentrazione del 48% entro gli 11 anni di età, il 30% ha 12-18 anni e il 22% ha un’età da 19 anni e oltre. La sola fascia di età di 10-11 anni rappresenta l’11% dei casi. Alcune donne parlano di violenza contro il feto durante la gravidanza con tentativi di interruzione della gravidanza.

“Si può dire che l’aggressività è una esperienza costante nel bambino che ha assistito alla violenza”, dicono i curatori della ricerca dell’università di Roma Tre. Alcuni bambini sono aggressivi a casa e a scuola, altri solo a casa, altri solo a scuola. In alcuni casi i bambini sono aggressivi verso se stessi e attaccano il proprio corpo con tagli e morsi e anche con tentativi di fuga e suicidi. Altre volte sono aggressivi verso gli altri bambini (morsi, spinte, prepotenze), verso la madre, verso il padre, verso ambedue i genitori. La non aggressività è parallela e unita in alcuni casi a mutismo e indifferenza del bambino. Vi è un periodo di latenza dell’aggressività nel senso che il bambino, soprattutto se maschio, può riprodurla lanciando ad esempio oggetti contro la madre. Il fenomeno di pre-bullismo si manifesta in bambini dell’asilo che aggrediscono i più piccoli e indifesi e imitano i più grandi e forti, fanno i protagonisti e si compiacciono di essere amati e baciati. Il fenomeno del bullismo si registra intorno ai 10 anni anche con accerchiamento dai compagni, con prepotenze e frasi denigratorie.

L’abuso sessuale rilevato dall’indagine riguarda soprattutto le femmine in età compresa tra 0 e 17 anni. Le ragazze abusate possono considerare l’abuso dell’uomo un comportamento normale espressione di amore e cura. Quasi tutte le donne dicono di non essersi fermate a pensare quanto l’incidente di violenza abbia influito sul comportamento del figlio e della figlia, per una sorta di rimozione, e tendono a collegare l’eventuale aggressività del minore alla situazione generale di stress vissuta in casa. La prova della consapevolezza del danno sul figlio è data dalla fuga da casa.

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