L’Aquila nasce da un’idea di libertà e di condivisione. “I primi documenti nei quali si parla dell’eventuale fondazione di una città nel territorio della diocesi di Forcona sono due lettere di Gregorio IX, indirizzate rispettivamente al vescovo di Forcona e alle popolazioni di Amiterno e Forcona, il 27 luglio e il 7 settembre 1229, con le quali il papa prende posizione sull’appello rivoltogli dalle popolazioni dei due contadi, le quali, per essere liberate dal pesante vassallaggio a Federico II, e riconoscendo a quelle terre l’appartenenza al demanio della Chiesa, chiedono al papa di essere autorizzate a fondare, anche dietro compenso alla Chiesa stessa, una nuova città nella località chiamata Acculi.” Così, Alessandro Clementi. Il sito prescelto – ubicato in una strettoia naturale della vallata, in dominante posizione strategica e contraddistinto da abbondanti acque – è al centro di numerosi insediamenti attestati lungo la valle dell’Aterno. Insieme al contado la città si impone come vitale luogo di produzione, trasformazione e commercializzazione di risorse agro-pastorali. Il corridoio dell’Aterno, in questo contesto, esercita un ruolo centrale, tuttora testimoniato dal variegato patrimonio culturale sedimentato lungo la fascia: un itinerario storico-culturale e religioso suffragato dal martirio di Cetteo pellegrino, vescovo di Amiternum. Nel tardo dopoguerra la rifondazione della città avviene per espansione fuori le mura, ma l’habitat fluviale esercita ancora la funzione di catalizzatore dei nuovi processi economici. I nuclei industriali di Pile e Bazzano, all’interno di questa fascia, si approvvigionano delle acque dell’Aterno. La crisi industriale coglie di sorpresa la città e i territori adiacenti. Priva di idee vitali in grado di produrre risultati positivi nella vita reale della comunità, l’Aquila, all’interno del panorama regionale, restringe il suo ambito di azione, limitandosi a svolgere un presunto ruolo di città della cultura. Intanto nella città si manifesta una progressiva perdita di valore delle idee, che genera disordine all’interno del contesto istituzionale, ambientale, sociale ed economico. E tutto ciò all’alba del sisma. Poi lo scacco, le promesse tradite, che vede la città ed il suo territorio non più artefice della propria ricostruzione, ma solo passiva consumatrice assistita. Una società che rinuncia alle idee è inevitabilmente volgare, denuncia Marcello Veneziani. La volgarità, infatti, è la materia senza forma, l’espressione di una natura senza cultura, di una estroversione senza comunicazione. In assenza di prospettive sorgono l’apatia e la depressione, che vedono lo scarto tra la realtà e il desiderio, e il paesaggio urbano, privo di forma, si disfa in una serie incoerente di episodi. E’ una condizione propria del pensiero debole, dalle labili interazioni tra natura, cultura, persone. Uscire da questa condizione di anestesia collettiva significa liberarsi dall’utilitarismo, dal sensismo fine a se stesso e riconoscersi, cominciare ad esprimersi con idee capaci di animare e fecondare quella prospettiva di coesione patrocinata dalla Comunità Europea, orientata alla costituzione di un panorama di Macroregione Adriatica. Una visione questa che finora va maturando in totale autonomia. Viviamo passivamente il suo farsi, impreparati a leggerne la portata e a produrre idee capaci di ingravidare il nostro avvenire in una migliore prospettiva di vita. Un progetto dunque! Un Progetto che tragga la forza da una visione inclusiva. La nostra civiltà ha attualizzato il ruolo del paesaggio, indirizzandolo verso nuove forme di economia (green economy). Molte amministrazioni comunali europee hanno rilanciato i loro territori privilegiando le aree prossime ai corsi d’acqua. Sono sorti i Parchi Fluviali. Per le loro qualità fisiche e per gli eventi che possono promuovere questi corridoi, rispettosi del principio di continuità ambientale, si rappresentano come ambiti significativi di sperimentazione per la creazione di sistemi territoriali pluristratificati. Nel caleidoscopico paesaggio aquilano, gli alvei del reticolo fluviale dell’Aterno rappresentano i siti non compromessi dal costruito, suscettibili di divenire nuovi luoghi pubblici all’interno della configurazione policentrica che si va prefigurando, e di ambiti di connessione dei parchi montani con quelli costieri. L’idea di “Parco fluviale Lungo-Aterno” sopraggiunge in un momento critico, sollecitata dall’incalzante necessità di fronteggiare gli scompensi provocati dall’informe e improduttivo paesaggio locale. Transitando da una condizione di complessità estremamente disorganizzata ad una di struttura pluristratificata il Parco viene ad assumere il ruolo di catalizzatore della coesione socio-economica e ambientale sostenuta dalla Comunità Europea all’interno degli Stati membri. Il ripristino del rapporto fiume/città mediante la costituzione del Parco, costituisce il primo anello di un complesso Progetto Strategico che coinvolge l’intero territorio regionale. Fascia di connessione della struttura slow dei parchi montani e di quelli lineari della costa adriatica, il Parco Lungo-Aterno favorirebbe la creazione di un itinerario che rinnoverebbe, ampliandola, non solo la fruizione turistica, ma l’intera organizzazione dell’economia abruzzese, dalla costa alle aree interne: un modello reiterabile per l’intero paesaggio della Macroregione Adriatico-Jonica.
Giancarlo De Amicis
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