Il Mediterraneo ha inghiottito dal 2008 circa 18 mila persone, esseri umani che fuggivano da guerre, fame e povertà con l’unica colpa di aspirare a un futuro, per sé e per le proprie famiglie. Un numero enorme, pari agli abitanti di un nostro paese di media grandezza, solo di poco inferiore a quanti sono riusciti a raggiungere le nostre coste durante la famosa ‘emergenza’ seguita alle rivolte nei paesi arabi e soprattutto alla guerra in Libia. Un numero così elevato e costante di naufragi che rischia di non fare nemmeno più notizia, creando una specie di pericolosa e disumana ‘assuefazione’”. Ad affermarlo è Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, secondo il quale queste morti “hanno dei responsabili che noi non ci stanchiamo di denunciare”.
E continua: “In Italia sono anni che per via legale i migranti non possono più entrare. L’ultimo decreto flussi risale al 2008. Nel 2009 c’è stata una sanatoria per lavori domestici e di cura: dopo due anni molti casi sono ancora aperti, le risposte sono arrivate in ritardo, i criteri sono stati in parte modificati in corso d’opera e il risultato è che molti degli stranieri che avevano un lavoro in nero e che, in accordo col datore di lavoro, avrebbero potuto regolarizzarsi, a causa delle lentezze e del sistema farraginoso il lavoro invece l’hanno proprio perso. Disoccupati per colpa della burocrazia statale, non riescono nemmeno a ottenere di essere ‘risarciti’ con un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Doppiamente beffati”.
“Intanto – afferma Miraglia -, il governo Berlusconi stringeva accordi per consolidare la politica dei respingimenti con Tunisia ed Egitto, dove la situazione continua a non essere affatto tranquilla, o con la Libia, sottoscrivendo col Cnt un trattato fotocopia di quello firmato con Gheddafi. Per questo le rotte cambiano e sono sempre meno sicure”.
Per Miraglia, “il nuovo governo deve intervenire subito per fermare la strage, e per farlo bisogna cambiare radicalmente le scelte compiute in materia finora”.
“Serve un nuovo decreto flussi – conclude -, che consenta di entrare legalmente nel nostro paese. Non è vero che il mercato è saturo, sono gli stessi imprenditori a chiedere manodopera straniera, e per alcune particolari professioni le richieste continuano. Serve la volontà politica, indispensabile anche per avviare una grande operazione di emersione da lavoro in nero. Da più fonti si calcola che i lavoratori stranieri nel sommerso siano almeno mezzo milione. Dargli la possibilità di emergere consentirebbe a loro di uscire dall’invisibilità e per lo stato comporterebbe un gettito fiscale di alcuni miliardi di euro. Proprio in un momento di crisi economica come questo, sarebbe davvero inconcepibile rinunciarvi per assecondare la barbaria xenofoba di qualche forza politica”.
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