Il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, pubblicato in queste ore, descrive una Nazione in affanno, con cittadini che non hanno più fiducia nelle istituzioni, si sentono fragili, isolati ed in affanno, situazione che è frutto, secondo il Rapporto, di una “triplice, combinata insipienza: aver “accumulato per decenni un abnorme debito pubblico, che non ci permette più autonomia di sistema; esserci fatti trovare politicamente impreparati a un attacco speculativo che vedeva nella finanza pubblica italiana l’anello debole dell’incompiuto sistema europeo; aver dimostrato per mesi e mesi confusione e impotenza nelle mosse di governo” in difesa dell’economia. Contemporaneamente si fanno sempre più credibili le voci sulle novità inerenti il sistema previdenziale, nodo cruciale del pacchetto di provvedimenti che il governo, sinora blindato, renderà note lunedì. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero, stringendo i tempi, a ieri annunciato da Bruxelles “una riforma incisiva ma che rispetta il principiò di equità tra le generazioni”. Tra le altre misure per la crescita, è attesa la parte strutturale del piano pensioni che prevederà anche un adeguamento agli standard europei dell’età pensionabile delle donne. Il governo – ha annunciato Fornero – lavorerà a introdurre in Italia, con un pacchetto ancora da congegnare, il “reddito minimo garantito. L’Italia è l’unico Paese europeo, insieme all’Ungheria, a non prevederlo nel suo sistema di welfare”. E la più parte dei giornali commenta che il sistema contributivo pro-rata, che il governò proporrà, consisterà sul fatto che dal primo gennaio 2012 le pensioni saranno tutte calcolate sulla base dei contributi versati, eccetto il meccanismo del sistema retributivo fino a tutto il 2011 per chi ne aveva diritto. Inoltre il ministro ha assicurato che “eccezioni saranno fatte verso il basso” per dare di più a chi non ce l’ha fatta. Cioè coloro che non sono riusciti a maturare contributi sufficienti per maturare una pensione dignitose. Ancora permane qualche dubbio sulla soglia minima di contributi necessari per ottenere la pensione di anzianità a prescindere dall’età raggiunta. Adesso è fissata a 40 anni (il cosiddetto “numero magico” per la Cgil) ma si parla di un possibile innalzamento tra i 41 e i 43 anni di contributi. Sulla flessibilità in uscita è d’accordo anche il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua: “Se si va verso il sistema contributivo è insita la capacità di flessibilità dell’uscita”, ha detto ricordando però che in Italia l’età media di pensione per anzianità è di 58,7 anni, mentre la media di vecchiaia e anzianità è di 60,2 anni ampiamente sotto la Germania (61,7 anni) e la Spagna (62,3 anni) la Francia è a 59,3 anni”. Commenta Il Tempo, che il passaggio al contributivo pro rata riguarderà coloro che nel 1995 avevano più di 18 anni di lavoro e che avevano conservato il più vantaggioso metodo di calcolo retributivo. Pertanto tutti i lavoratori, indipendentemente dal numero dei contributi accumulati al dicembre ’95, avranno la pensione calcolata con il contributivo ma varrà solo per i versamenti futuri, cioè quelli dal primo gennaio 2012 in poi. Dai dati Inps emerge che l’età media dei pensionati per anzianità nei primi 10 mesi del 2011 è di 58,7 anni in lievissimo aumento sui 58,6 anni del 2010. E di questi i due terzi sono usciti con 40 anni di contributi. Sarà accelerato l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne. Questo era stato già deciso dallo scorso governo (portare a 67 anni l’età pensionabile di uomini e donne entro il 2026) ma “con una lunghezza di tempi che oggi forse non ci è più consentita”. Sul tavolo anche la possibilità di alzare a 43 gli anni di lavoro per percepire la pensione di anzianità. E in subbuglio sono ora partiti e sindacati. Invece, scrive Il Fatto Quotidiano, Pier Luigi Bersani sceglie la via della prudenza: “Su alcuni punti potremmo essere d’accordo, su altri no”. C’è da capirlo, il segretario del Partito democratico: sui provvedimenti anti-crisi più scottanti che sta mettendo a punto il premier, riforma previdenziale in primis, è stretto tra l’incudine e il martello. Da una parte c’è la necessità di non rompere con tutto ciò che sta alla sua sinistra, inclusi i dissidenti interni, dall’altra il dovere di sostenere quel “governo di emergenza” che il Pd ha contribuito a far nascere. Il risultato è un partito diviso e indeciso, che oscilla tra il massimalismo della Cgil e il rigore. Taglia corto Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che afferma che il “numero magico” dei 40 anni è intoccabile, una linea dura che vede allineata anche l’Italia dei valori, che con il capogruppo a Montecitorio Massimo Donadi chiede al governo di spostare “il peso fiscale dal lavoro e dalle pensioni alle rendite”, ma anche, oltre alla sinistra radicale, alcuni settori non indifferenti dello stesso del Pd. Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, applaude e dice: “Ormai di intoccabile non c’è più niente. Certamente credo che vadano toccate le pensioni e si dice d’accordo Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e nome di spicco del Pdl. Ma Certo il nodo pensioni sarà uno di quelli “gordiani” per il nuovo governo. “Portategli il discorso su argomenti, che richiedano acume e sottigliezza, vi saprà sciogliere il nodo gordiano di tutto, come la sua giarrettiera”, scrive Shakepeare nell’Enrico V, ma certo, per Monti ed il suo governo, la questione pensioni è il primo di una serie di problemi di intricatissima soluzione e che dovranno essere risolti in modo attento e senza nessun brutale taglio.
Nodo pensioni in un’Italia sfiduciata
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