Mentre il decreto di Monti e del governo tecnico sta per giungere in Senato, blindato dal voto di fiducia e sostenuto dalle parole di Napolitano e mentre la BCE eroga fondi per salvare le banche del continente, con una esborso da 490 miliardi, necessaria, dice Draghi, per evitare un default disastroso per tutti, sono sempre più inquieti gli animi di chi sospetta che le misure adottate il 4 dicembre dal governo di Mario Monti, ex presidente dell’università Bocconi, sono severe con i pensionati, con i proprietari dell’abitazione (l’80% degli italiani possiede la propria casa), con chi ha un reddito medio-basso (i più colpiti dall’aumento dell’Iva di due punti) ed invece molto generose con le banche, in gran parte responsabili della situazione recessiva attuale, con politiche sconsiderate in tutto il mondo. “Salvate le persone, non le banche”, diceva la folla di manifestanti negli Stati Uniti per reazione all’imponente piano di salvataggio del sistema finanziario varato dopo l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, con l’obiettivo di evitare fallimenti a catena in seguito al tracollo della Lehman Brothers, avvenuto il 15 settembre 2008. Ed ora questo si dice da più parti, parti credibili e meno, come quella di Domenico Scilipodi che ora contro il sistema bancario si gioca ciò che resta della sua credibilità da deputato. Nel decreto Monti, che certamente oggi sarà approvato anche in Senato, fra i cori rissosi delle Lega e i distinguo inutili della’Idv, ci sono almeno tre benefici per le banche: la riduzione per i pagamenti in contanti, la riduzione dei prelievi in contante e, infine, la garanzia dello Stato sulle passività, cioè sulle obbligazioni che le banche emettono per finanziarsi. Certo, se le banche fallissero sarebbe una catastrofe, anche per i piccoli risparmiatori. Dunque l’intento di Monti è comprensibile. Meno condivisibile però è che il salvagente non sia accompagnato da norme che consentano un controllo sulle banchee l’individuazione delle responsabilità e degli errori fatti dai banchieri. Per fare fronte alla crisi di liquidità, le banche italiane potranno emettere strumenti di debito da tre mesi a sette anni con garanzia dello Stato con costi inferiori a quelli del mercato monetario. Il decreto autorizza una spesa a copertura di 200 milioni annui per il 2012-2016, pari a un totale di un miliardo di euro in misura prudenziale in caso di attivazione delle garanzie. Nell’articolo 8 si prevede che il Tesoro, “fino al 30 giugno 2012, è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, con scadenza da tre mesi fino a cinque anni o, a partire dal 1 gennaio 2012, a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite di cui all’art. 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, e di emissione successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Alle banche questa garanzia costa meno dell’1%, secondo stime di settore, e varia a seconda della durata e del tipo di strumento emesso. La garanzia costa meno per i covered bond a più lunga scadenza. E, per quanto riguarda l’Europa, a argine di quello spettacolo infruttuoso che è stato il Consiglio europeo dell’8 dicembre, era successo qualcosa di molto più importante per i destini dell’euro, dell’Unione europea e dell’economia continentale in genere: la Banca centrale europea (Bce) aveva allentato le condizioni per l’accesso ai LTRO (Long Term Rifinancing Operations), permettendo di fatto alle banche europee, in disperata crisi di liquidità, di accedere a prestiti di lungo termine a un tasso fisso dell’1%. Ieri è stato il giorno della verità: s’è fatta l’asta alla Bce (una delle due previste) ed è stato un gran “successo”, tanto per parafrasare quello ‘sbarbatello’ del ministro del bilancio francese di Sarkozy, François Baroin. Sono stati assegnati ben 489 miliardi di euro in prestiti a tre anni (restituzione nel 2014) a ben 523 banche europee.La cifra di 498 mld. supera di gran lunga il record precedentemente stabilito nel 2009 – in piena crisi finanziaria made in Usa – di 442 mld. di euro in prestiti alle banche. In verità la mossa di Draghi (l’altro super-Mario italiano), è de facto un compromesso al rialzo tra i vari partiti che si scontrano a livello europeo. Da una parte c’è il gruppo che vorrebbe la Bce quale prestatore d’ultima istanza. Un posizione capitanata silenziosamente dalla Francia. Dall’altra, la Germania, che salvo sporadici acquisti di titoli greci, spagnoli e italiani sui mercati secondari, non si è messa a comprare a più non posso quando rendimenti su titoli a breve e lunga scadenza. Secondo il Financial Times, l’apertura del cordone della borsa da parte della Bce ha di fatto come obiettivo lo scongiuramento della possibilità di una crisi maggiore del settore bancario, in una fase in cui le banche europee hanno la pancia piena di titoli di debito europeo, con un’economia reale che sta per entrare in recessione. La seconda in 3 anni. Ma ora si tratterà di vedere come le 523 banche beneficiarie della pioggia di soldi, investiranno questi denari per creare occupazione e ricchezza. In effetti, come nota il Sole 24 Ore, al banco di prova dei mercati, la manovra di immissione di liquidità della Bce non è stata né promossa né bocciata: semplicemente, è stata rimandata, magari già ai prossimi giorni, quando si capirà in maniera più chiara qual è l’utilizzo reale che le banche europee vogliono fare di quei soldi. L’auspicio degli operatori (e della stessa Bce) e che i soldi freschi vengano utilizzati per comprare titoli di Stato, soprattutto periferici, per calmierarne i rendimenti e raffreddare la crisi dell’Eurozona. Il rischio, invece, è che gli istituti europei usino la liquidità per farne un utilizzo meno “nobile”: i soldi della Bce potrebbero ad esempio essere utilizzati per rimborsare i titoli delle stesse banche in scadenza, oppure per ricomprare parte del proprio debito sul mercato a prezzi più bassi. Queste ultime ipotesi sono quelle su cui scommettono gli operatori anglosassoni, che continuano a mostrare forte scetticismo sulla capacità dell’Europa di tirarsi fuori dalla crisi.
Carlo Di Stanislao
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