Il Mistero di Dio nel Santo Natale e nella Festa delle Luci Hanukkak

 “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”(Matteo 5,8-10). Nel ricordo sempiterno delle 309 vittime del terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (Mw=6.3, 309 morti, seimila feriti, miliardi […]

 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”(Matteo 5,8-10). Nel ricordo sempiterno delle 309 vittime del terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (Mw=6.3, 309 morti, seimila feriti, miliardi di euro di danni, la Capitale d’Abruzzo distrutta), il mistero della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo torna a rifulgere nelle atmosfere dei nostri Presepi, fedeli alla tradizione biblica del libro del profeta Michea: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!». E se possiamo solo immaginare la gioia del serafico padre San Francesco d’Assisi, quando per la prima volta fece dono al mondo della sacra rappresentazione del Presepio, allora capiamo bene il significato che si cela in ogni famiglia cristiana, immagine dell’ebraica Sacra Famiglia di Nazareth, allorquando nel Natale ci si riscopre, a pieno titolo per grazia (non certamente per nostri meriti e/o titoli) membri effettivi di quella Divina Famiglia di Nazareth a cui dobbiamo la nostra stessa vita. Non l’albero addobbato, ma il Presepio “illumina” il nostro Natale, tempo di grazia e di speranza. Il Presepio riproduce in ogni casa una scintilla di questa luminosissima gioia celeste (i Re Magi furono guidati da una “stella”, forse, una grande cometa bella come la Lovejoy!) scesa sulla Terra duemila anni fa quando il “Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”(Gv 1,1-18). Nei nostri presepi rappresentiamo un evento unico e irripetibile già “cristallizzato” nella storia dell’umanità ma sempre attuale, oserei dire immanente e contemporaneo. L’obiettivo è di vivere lo spirito natalizio ogni giorno dell’anno. Per questo i presepi viventi sono rivolti a tutti coloro che desiderano immergersi veramente nel mistero della Natività, un evento storico reale proprio del tempo dell’antico Israele, rappresentato da scene di vita quotidiana di giusti sommi sacerdoti; di artigiani e pastori che realmente producono latte e formaggio; di un Erode il Grande sui generis nell’atto di “graziare” i prigionieri; del primo Censimento di Cesare Augusto; dei centurioni imperiali; dei bambini di Betlemme e dei loro padri di famiglia intenti a insegnare il lavoro artigiano. L’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria è certamente la scena più significativa perché da essa tutto ha avuto inizio. Senza quel libero “SI” di Maria Santissima, oggi noi non potremmo rappresentare nulla! L’atmosfera mistica della Natività è riprodotta con l’arrivo dei tre Re Magi che rendono possibile la sacra rappresentazione con il bambino Gesù, Maria e Giuseppe nell’atto di ricevere i tre doni regali, subito dopo l’annuncio del messaggero celeste ai pastori. È nella Natività di Gesù che inizia la rinascita dell’umanità, il ritorno nella terra d’Israele e la nostra redenzione. Che interessa tutti anche i non cristiani, i nostri “fratelli maggiori”, gli amici Ebrei che in questi otto giorni celebrano, tra i tradizionali canti, la grande Festa delle Luci di Hanukkah (http://it.wikipedia.org/wiki/Chanukkà), accendendo lo “shammash”, la candela che ha il compito di prestare il suo fuoco a tutte le altre e recitando le “benedizioni”, tra la dolcezza dei bomboloni e il profumo di “sufganiot”, le inconfondibili dolci frittelle che da sempre contraddistinguono questa gioiosa ricorrenza per un nuovo inizio. E noi siamo cristiani, cioè di Cristo, “vicini” agli Ebrei, capaci di annunciare a tutti quello che abbiamo ricevuto, senza timore.Dunque, beati noi per la nostra fede perché “facciamo parte di una compagnia spirituale – ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI – una compagnia che vive il Vangelo nella famiglia, nella comunità e nella Eucarestia. Una compagnia che prima di tutto, sempre ed ovunque, pone al centro della vita il rispetto della dignità della persona”. Quindi non possiamo che dirci cristiani in quanto “fratelli, collaboratori di Dio nel Vangelo di Cristo (1Ts 3,2)”, perché il mondo creda in Gesù Cristo (mirabili sono gli affreschi medievali nel monastero di Visoki Decani in Kosovo: www.kosovo.net/dec_frescoes.html) Figlio di Dio che duemila anni fa si è fatto pienamente Uomo nell’umiltà di una fredda capanna a Betlemme, in Israele, grazie al “SI” della Santissima Vergine Maria. Un “SI” pronunciato umilmente all’Arcangelo Gabriele, senza il quale “SI”, nulla avrebbe potuto manifestarsi. Un uomo, Gesù, vissuto in mezzo a noi, ai nostri fratelli Ebrei; condannato ingiustamente, giustiziato sulla croce, morto e, dopo tre giorni, risuscitato. Questa è nostra fede che la Chiesa Cattolica Romana attraverso gli Apostoli, i Santi, i nostri stessi nonni e i genitori, in migliaia di Natali e Pasque, ci ha trasmesso nel Battesimo. Miliardi persone nel passato vi hanno creduto e miliardi di miliardi in futuro vi crederanno grazie alla Fede di ciascuno di noi, che manifestiamo pubblicamente anche visitando le sacre rappresentazioni e partecipando ai presepi viventi in ogni angolo del mondo. Ecco perché non possiamo non dirci cristiani, cioè seguaci di Gesù di Nazareth sulla via della Verità, della Giustizia, della Carità, della Pace, della Fede e della Speranza. Chi nel laicato e nel Matrimonio, chi nella vita consacrata sacerdotale e religiosa, tutti i giorni, in famiglia, nella società, nella cultura, nell’informazione. Siamo cristiani (anche chi dice di non esserlo!) ossia portatori sani di quei valori essenziali della vita e della dignità della persona che purtroppo oggi sono tutt’altro che affermati nella nostra civiltà occidentale incapace di rendersene pienamente conto. La cometa Lovejoy, che rivedremo tra 800 anni, ci ha impartito una lezione esemplare: è sopravvissuta all’abbraccio con il Sole non solo per mostrare la sua splendida coda, ma per testimoniare il valore supremo della vita di ogni persona fin dal suo inizio. Come Cristiani non possiamo tacere questa nostra appartenenza, pena il tradimento della nostra più intima essenza. Il male e le sue molteplici espressioni moderne (laicismo, moralismo anticlericale, indifferenza, razzismo, sodomia, negatività, impudicizia, vizi e notizie terribili che fin da piccoli “bombardano” le nostre menti su giornali, tv e Internet come uno tsunami), benché assurti a metro di giudizio di singole persone e finanche di intere comunità, non possono vincere su Cristo, sulla fede e non prevarranno sulla Chiesa Cattolica e sui Servi fedeli che Dio ha scelto (Apocalisse, 7,2-4.9-14). Ce lo assicura Gesù con queste parole:“Le porte degli inferi non prevarranno”(Mt 16,18) e ce lo confermano i Santi, noti e ignoti che veneriamo. I Santi non sono supereroi, alla stregua dei grandi personaggi della Marvel, ossia non sono eroi sovraumani nel senso di superiori alla razza umana. Il Santo non supera l’umanità, l’assume e si sforza di avvicinarsi il più possibile al modello di Uomo completo e perfetto, il Cristo. Le Beatitudini sono la Carta costituzionale del Santo, queste sì superiori alla logica umana ed a qualsiasi altra legge. La lettera «Voi siete tutti fratelli» del Maestro dell’Ordine, inviata a tutta la Famiglia Domenicana, ha dato molto impulso alla preparazione dei Padri Predicatori all’ottavo centenario dalla fondazione ad opera di San Domenico. “Stiamo vivendo un tempo fecondo di speranza – scrive il Maestro – mentre andiamo verso la celebrazione degli 800 anni della conferma dell’Ordine da parte di Onorio III (22 dicembre 1216). Grande importanza assume, quindi, per il cammino spirituale e per la missione dei Domenicani nel mondo, l’insegnamento di Papa Benedetto XVI che ha indicato Maria quale “modello perfetto del sacerdote”. La grande e filiale devozione “domenicana” alla Vergine Maria, scudo alle insidie del maligno, e l’impegno apostolico della predicazione, possono “ravvivare l’amore e la venerazione per Lei” e lo spirito di fratellanza tra tutti gli esseri umani. La Chiesa di Dio una e visibile, è veramente universale (cattolica) in quanto mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo, alla Buona Novella. Il Magistero della Chiesa afferma sempre che i Cristiani, come ha insegnato il Signore,“si caratterizzano dalla dilezione scambievole”(Gv 13,35). La coesione familiare è la natura propria dei cristiani, l’unità è il loro unico modo di presentarsi al mondo per l’annuncio.Il Cristianesimo è uno solo. Questa è l’essenza stessa dell’ecumenismo, la verità insindacabile. Un cristianesimo unito si diffonde ovunque, poiché nell’unità della Chiesa che trova espressione viva e feconda l’evangelizzazione di tutti i popoli. La Chiesa intera si estenderà fino ai confini della terra nella misura che la sua unità è affermata e realizzata. Dice Gesù: “Che essi siano uno affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”(Gv 17,21). Il missionario, il predicatore, è operatore di pace, colui che insegna a credere in Cristo; egli porta all’eroismo la propria vocazione di cristiano. Oggi la cultura del mondo predica la divisione, la crisi del debito, la crisi etica, la non l’unità. Non la coesione. “Che essi, Padre, siano uno perché il mondo creda che tu mi hai mandato”(Gv 17,21).I cristiani sanno che solo attraverso questa unità il mondo crederà in Cristo. Se da un lato questa unità esiste già nella Chiesa di Cristo, dall’altro non è un’unità già attuata completamente e visibile. Dunque va cercata, va voluta, incrementata. Essa sarà in continua crescita fino alla pienezza, fino alla completa fraternità fra tutti i popoli, raggiunta la quale saremo tutti di Cristo. Dunque, l’affare urgente, la formula vincente per la vita, è la fraternità. Le divisioni non solo contraddicono apertamente la volontà di Cristo, ma sono anche di scandalo ai più piccoli e danneggiano la predicazione del Vangelo ad ogni creatura. Vincere e promuovere la fraternità e l’amicizia tra i popoli (quella che alcuni economisti oggi chiamano “empatia”, capace di creare matematicamente ricchezza, cioè Pil e derivati, in un mondo globalizzato) significa soprattutto abbreviare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo sulla Terra, come promesso. I nostri Presepi invitano alla riflessione sulla nostra Fede, sulla nostra Speranza, sulla nostra Vita di Cristiani, eternamente beati in Cristo, l’unico vero Buon Pastore. Buon Natale e Felice Hanukkah. Che siano propizi per un prospero Anno Nuovo 2012 insieme ai nostri cari. 

Nicola Facciolini

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