Tra le cause dell’aumento di piaghe da decubito, ulcere vascolari e diabetiche, c’è soprattutto l’invecchiamento della popolazione. Il loro trattamento è un problema sociale importante, che pesa non solo sul Servizio Sanitario Nazionale, ma anche sul 90 per cento dei pazienti non ospedalizzati, in particolare quelli più anziani con redditi bassi. In Italia infatti solo la regione Piemonte è in regime di rimborsabilità al di fuori dell’ospedale. Per curare le ferite difficili il SSN spende ogni anno oltre un miliardo di euro, a cui vanno aggiunti gli oneri sociali legati alle giornate lavorative perse, tra pazienti, ma anche familiari assenti dal lavoro per assisterli. Da quest’anno tuttavia qualcosa cambierà: i farmaci e i presidi necessari per trattare le lesioni cutanee difficili (alginati, idrocolloidi, schiume e a breve anche antidolorifici a lento rilascio e VAC therapy) che, per ora, non sono i nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) e , pertanto, non sono rimborsabili. Un gel di acqua e polimeri si è dimostrato in grado di riparare anche le ferite più difficili. Il nuovo prodotto ideato da un team di ricercatori guidato da Guoming Sun ed operante nella nella Johns Hopkins University di Baltimora, ha sperimentato con successo il presidio su topi, dove il gel si è dimostrato efficacissimo nel promuovere la rigenerazione dei tessuti e la formazione di nuovi vasi sanguigni, accelerando i normali processi rigenerativi ed evitando anche che si formi tessuto cicatriziale. Prodotto semplice e di basso costo, si può ragionevolmente ritenerlo risposta efficace nelle ferite traumatiche o chirurgiche a lenta riparazione e presidio significativo nelle ustioni. In Italia più di 2 milioni di persone lottano ogni giorno, spesso per molti anni, contro le ferite difficili, quelle lesioni che non riescono a guarire e che richiedono spesso, molti e successivi interventi medici e chirurgici. A tutt’oggi i presidi più impiegati sono la pelle bioingegnerizzata, ottenuta da colture di fibroblasti e cheratinociti, i sostituti dermici (derma acellulare), i fattori di crescita, i prodotti antisettici specifici a base di argento, per aumentare le guarigioni, ridurre i ricoveri e dimezzare i costi non trascurabili delle cure. Sul fronte della bioingegneria, poi, esiste un sostituto della pelle a base di fibre di acido ialuronico, che a contatto con la ferita forma un’impalcatura, chiamata “scaffold”, in grado di accelerare la migrazione verso la lesione delle cellule coinvolte nei processi riparativi del derma, favorendo così la cicatrizzazione. Il nuovo hydrogel, che non contiene nulla di biologico, ne’ fattori di crescita ne’ farmaci, e’ cosi’ semplice ed efficace che potrebbe essere approvato in tempi brevissimi per usi clinici e cambiare la realtà di una serie di complesse ed invalidanti condizioni cliniche. Va qui ricordato, per completezza, che nel 50% dei casi di ferita difficile, la patologia è invalidante e i tre quarti dei malati non possono permettersi le terapie perché sono troppo costose e non vengono rimborsate. Non sono ottimistiche le cifre che descrivono incidenza e morbilità delle ulcere cutanee, causa ogni anno di circa diecimila amputazioni soltanto in Italia (la metà delle quali su diabetici). Le forme più comuni di ulcera sono quella venosa, da piede diabetico (che porta all’amputazione nel 15% dei casi), da decubito (colpisce per lo più gli anziani) e vascolare arteriosa. Inoltre, studi clinici nazionali e internazionali hanno evidenziato che di ulcere si può morire; l’ulcera da decubito, ad esempio, aumenta il rischio di morte del 400%. Attualmente, in seno alla Dermatologia e alla Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, è sorta una nuova specialità che si occupa di ferite difficili: la Vulnologia. Il termine a deriva dalla parola latina vulnus che significa “ferita” e questa nuova disciplina si occupa in particolare dello studio, prevenzione e trattamento delle lesioni cutanee croniche. Presso la UOC di Dermatologia del PO San Salvatore, ci si occupa della’argomento, ad esempio impiegando gel piastrinico (in collaborazione con UOC di Medicina Trasfusionale) da circa 10 anni e con risultati ragguardevoli in regime di trattamento ambulatoriale ed in day hospital, in modo da risolvere, nel migliore dei modi, problematiche di trattamento ad alta complessità legate alla patologia, alla localizzazione, alle condizioni generali e a pregressi trattamenti sbagliati. Circa questi ultimi, l’impiego improprio di antibiotici, può creare effetti allergici locali e di antibioticorestenza generale, oltre a ritardare grandemente i problemi di cicatrizzazione. Il fatto poi sia possibile documentare lo stato circolatorio cutaneo mediante capillaroscopia, consente di abbinare trattamenti di ordine generale indirizzato alla circolazione, capace di garantire più ampi recuperi in tempi nettamente minori. La possibilità infine di collaborare con la UOC Di Neurofisiopatologia, permette un trattamento adeguato con farmi neutrofici in corso sia di diabete che di polineuropatia. Va qui ricordato che l’ulcera neuropatica è nella maggior parte dei casi localizzata in sede plantare e la sua cura, come d’altronde di tutte le ulcere, prevede non soltanto che sia curata la lesione ma che sia eliminata la causa che l’ha prodotta, nel nostro caso l’iperpressione. Il primo passo sarà quindi il cosiddetto “debridement” dell’ulcera che consiste nell’eliminare tutti i tessuti non vitali fino ad arrivare a tessuti ben sanguinanti. Sovente questo approccio è mal compreso e quindi mal accettato dal paziente che, prima del debridement, presenta una lesione non sanguinante e di ridotte dimensioni. Il debridement infatti, rimuovendo il tessuto calloso non vitale, evidenzia l’ulcera sottostante, nascosta dall’ipercheratosi, che presenta una dimensione sensibilmente maggiore. Questa momento terapeutico è tuttavia indispensabile: l’ipercheratosi non è un tessuto capace di rigenerare cellule viventi ma tende anzi a “soffocare” il tessuto vitale sottostante necessario per la guarigione; se non si elimina l’ipercheratosi non si otterrà mai la guarigione dell’ulcera. Infine, la terapia ottimale, in termini medici definita “gold standard”, è uno “stivaletto” che permetta di scaricare completamente il piede pur permettendo una relativa mobilità. Tale approccio terapeutico è noto da parecchi anni ma è stato scarsamente utilizzato essenzialmente per la possibilità che lo stivaletto potesse provocare ulteriori ulcere da pressione o da frizione.
A cura della UOC di Dermatologia, PO S. Salvatore, L’Aquila, in collaborazione con Eugenio Di Stanislao (Ingegnere Medico)
Acqua, polimeri ed altro per le ferite
Tra le cause dell’aumento di piaghe da decubito, ulcere vascolari e diabetiche, c’è soprattutto l’invecchiamento della popolazione. Il loro trattamento è un problema sociale importante, che pesa non solo sul Servizio Sanitario Nazionale, ma anche sul 90 per cento dei pazienti non ospedalizzati, in particolare quelli più anziani con redditi bassi. In Italia infatti solo […]
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