Crisi tessile, cinesi sono sempre più mobili

Trascinandosi dietro piccoli trolley, si vedono scendere alla stazione di Prato, camminare lungo le strade della città. Come si può partire dalla Cina con un bagaglio così piccolo? La risposta è semplice:non arrivano dall’altra parte del mondo, ma da altre città d’Italia. La mobilità della manodopera è riconosciuta come uno degli assi nella manica dell’imprenditoria […]

Trascinandosi dietro piccoli trolley, si vedono scendere alla stazione di Prato, camminare lungo le strade della città. Come si può partire dalla Cina con un bagaglio così piccolo? La risposta è semplice:non arrivano dall’altra parte del mondo, ma da altre città d’Italia. La mobilità della manodopera è riconosciuta come uno degli assi nella manica dell’imprenditoria cinese a Prato, capace di richiamare forza-lavoro attraverso una rete di passa parola. Arrivano gli ordini dai clienti, arrivano le braccia capaci di esaudirli. Finito il lavoro sono pronti a ripartire. Magari nascosti nel cono d’ombra della loro presenza illegale sul territorio nazionale e del lavoro nero, in barba a chi vorrebbe contarli, inquadrarli, regolarizzarli. Molta della presenza cinese a Prato rientra in questi casi. Quale sia la percentuale sul totale dei residenti registrati può essere frutto solo di stime approssimative. Ma non sono estranei a questa logica neppure i 12.940 cittadini di origine cinese iscritti all’anagrafe comunale al 30 settembre 2011. Li accomuna la stessa motivazione di fondo: sono partiti in cerca di fortuna, se a Prato i soldi non li fanno più si spostano da un’altra parte.

Secondo il Dossier Statistico Sociale 2011 prodotto dalla provincia di Prato, nei 7 comuni pratesi al 31 dicembre 2010 abitavano 33.874 stranieri, pari al 13,6% dei residenti totali (nel 1996 erano il 2%). Il 39% degli stranieri erano cinesi. All’1 gennaio 2011 in provincia di Prato i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro erano il 66,5% deltotale, un dato più alto rispetto a Toscana e Italia (in entrambi i casiintorno al 55%). Oltre vent’anni fa la città toscana ha cominciato a esseremeta dell’immigrazione cinese perché l’economia era forte, offriva molte opportunità e loro erano benvenuti o almeno ignorati. Ora i tempi delle vacche grasse sono finiti, il comparto tessile è a pezzi e la crisi sta arrivando anche alle confezioni, un settore della produzione pratese storicamente marginale, occupato e potenziato in questi anni proprio dagli imprenditori cinesi. Dal 2001 al 2010 il settore manifatturiero nella provincia di Prato è passato da 46.000 a 33.000 occupati. L’Istat stimava a fine 2010 circa 8.400 persone in cerca di occupazione, pari a un tasso di disoccupazione del 7,2% a fronte di un dato medio toscano del 6,1%. E sono dati che riguardano quasi esclusivamente gli italiani.

Le imprese cinesi sono riuscite a vivere e prosperare più a lungo, ma anche per loro è arrivato il momento della crisi. Le ultime cifre ufficiali, diffuse a gennaio 2011 dalla Camera di Commercio pratese, indicavano in 3.570 le aziende di imprenditori cinesi attive in provincia nel solo settore manifatturiero e un trend ancora in crescita. Ma l’aumento era già ridimensionato rispetto all’anno precedente e i dati esaminati risalgono al 31 dicembre 2009. E arrivano segnali di movimento non solo tra la “manovalanza”. Negli ultimi 11 mesi la polizia municipale ha accertato oltre 1.000 casi di irreperibilità tra gli stranieri residenti nel comune di Prato, il 90% dei quali tra cinesi. Nuclei familiari che potranno essere cancellati dall’elenco dei residenti solo il prossimo anno, ma che già non abitano più in città.

Mara Conti

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