“Il vuoto di Hawking è in realtà un pieno di leggi fisiche”(Marco Bersanelli). A 34 mesi dal disastroso sisma di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti), l’unica lezione finora impartita da quel drammatico evento non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi civili del mondo. Le nostre città, infatti, sono molto esposte alle tragedie naturali. Le tredici raccomandazioni della International Commission on Earthquake Forecasting for Civil Protection per salvarsi dal terremoto, espresse dagli scienziati di tutto il mondo all’indomani del sisma aquilano, attendono di essere applicate. La situazione sismica italiana è nota (www.emsc-csem.org) ma l’occhio è sconcertato alla vista di una città come L’Aquila diventata un cumulo di macerie, parafrasando Robert Mallet (1862). La città capoluogo della Regione Abruzzo (se il Big One fosse accaduto in California, è come se fosse venuta giù la capitale Sacramento) non c’è più, bisogna ricostruirla daccapo per tornarci a vivere subito non tra 50 anni. La città di Teramo, un giorno, sarà distrutta da un improvviso e violento terremoto superiore a quello di 309 anni fa? Impossibile prevederlo. La sequenza sismica che si è attivata il 16-17 dicembre 2011 nell’area della provincia di Teramo, presso i comuni di Torricella Sicura, Cortino e Campli, è oggetto di studio.
La sequenza è iniziata con un terremoto di magnitudo Richter locale pari a 3.2 (alle ore 23:28 GMT del 16 dicembre) ed è proseguita con numerose scosse durante la notte. La Relazione ufficiale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, rivela che in quelle prime ore sono stati localizzati 21 terremoti, il più forte dei quali ha avuto magnitudo locale pari a 3.4 avvenuto alle ore 03:04 GMT del 17 dicembre 2011. Tutte le altre scosse hanno avuto magnitudo minore di 3. La distribuzione della sequenza sismica mostra che l’area molto ristretta dove i terremoti avvengono a profondità comprese tra i 15 e i 20 km, “non è stata interessata da importante sismicità nel corso degli ultimi anni”. Dal catalogo “Iside.rm.ingv.it” si evince che la sequenza è stata la prima nell’area dall’anno 2005.
Le zone adiacenti, a nord e a sud, sono state interessate dal 2005 da numerose sequenze sismiche, anche rilevanti come durata e magnitudo massime (come la sequenza sismica nel fermano con due eventi di magnitudo 4.0 del gennaio 2010). La scossa delle ore 03:04 è stata la più forte registrata dal 2005 nell’intorno di 15 km dal suo epicentro. L’area della sequenza interessa un settore della catena Appenninica meno attivo della parte a ovest, dove storicamente si sono concentrati i terremoti più forti dell’Appennino. Le informazioni storiche derivano dal catalogo storico denominato CPTI04 (Gruppo di Lavoro CPTI, 2004, disponibile sul sito:http://emidius.mi.ingv.it/DBMI04/). Dalla distribuzione degli epicentri dei terremoti storici avvenuti nell’area, si osserva che non sono avvenuti rilevanti terremoti nel passato e l’unico entro i 20 km dall’epicentro è il terremoto del Gran Sasso del 1950 di magnitudo stimata pari a 5.7; naturalmente gli scienziati evidenziamo come la sismicità maggiore si concentri verso l’asse della catena Appenninica.
La storia sismica della Città di Teramo, mostra che la massima intensità è stata osservata per il terremoto del Febbraio del 1703 ed è stata pari all’VIII MCS, mentre tutti gli altri terremoti hanno provocato danni minori. Tutte le conoscenze scientifiche al momento disponibili sono riassunte nella Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale (GdL MPS, 2004; rif. Ordinanza PCM del 28 aprile 2005, n. 3519, All. 1b) dalla quale si rileva che l’area è a medio-alta pericolosità. “I terremoti del Teramano, come quelli dell’Ascolano, del Chietino, di Ancona e di tutto il margine adriatico-padano a Nord-Est del crinale appenninico – fa notare il professor Antonio Moretti dell’Università di L’Aquila – sono tutti localizzati a profondità comprese tra 15 e 30 km ed anche quest’ultimo non fa eccezione, mentre quelli aquilani, ed appenninici in genere, sono a circa 10 km”.
Per quale motivo?
“Questo perché i terremoti appenninici sono legati a faglie dirette tipo “graben”, mentre quelli esterni sono dovuti al piegamento ed allo sprofondamento della crosta adriatica sotto la catena appenninica”.
Quali sono le conseguenze?
“Dal punto di vista geologico la questione funziona così: la crosta (o meglio la litosfera) adriatica si piega ed “affonda” nel mantello, richiamando la catena appenninica verso il mare Adriatico, che piano piano (1-2 cm/anno) si sta così chiudendo. Questo movimento a sua volta causa una serie di “rotture” nella catena (i “graben” e le relative faglie) che danno luogo sia alle vallate come quelle aquilane sia ai relativi terremoti”.
Nel versante adriatico teramano cosa accade?
“I terremoti esterni, adriatici, si formano invece per compressione nella zona di piegamento; in pratica sono legati ai movimenti che “ricaricano” le molle sismiche della catena appenninica”.
Quali energie possono liberare?
“Dal punto di vista del rischio possono essere anche di energia simile a quelli appenninici (m=5.7 quello del teramano-Gran Sasso del 1950), ma il fatto di essere più profondi fa sì che l’energia di distribuisca su di un’area più vasta, con minore scuotimento relativo. Quindi in genere l’area interessata è più ampia e minore l’intensità al sito (Mercalli). Tuttavia, non è impossibile che si verifichino terremoti anche forti nel teramano ed in aree adiacenti, ma, come storicamente verificato, mai così distruttivi come quelli aquilani”.
Su che tipo di strato poggiano le “zattere” crostali della Terra? E perché si muovono incessantemente generando deformazioni e terremoti?
A queste domande tentano di dare una risposta i quattro lavori: due in pubblicazione su ELSEVIER e due recenti lavori pubblicati su “Physics of the Earth and Planetary Interiors” e “Tectonophysics” da ricercatori dell’Ingv in collaborazione con il Dipartimento di Scienza della Terra dell’Università di Roma La Sapienza, il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Trieste, il Geodetic and Geophysical Research Institute di Budapest, l’Istituto Geodetico di Stoccarda e l’Istituto di Geofisica dell’Università di Karlsruhe.
Quali caratteristiche della astenosfera hanno evidenziato le ricerche degli scienziati?
“Come è noto – afferma Federica Riguzzi, ricercatrice dell’Ingv e firmataria dei lavori scientifici – secondo il modello della tettonica a placche, la parte più esterna e solida della superficie terrestre, detta litosfera, avente uno spessore di circa 80-100 km, poggia su uno strato più caldo e viscoso chiamato mantello. Ma tra i due strati ce n’è uno intermedio, a bassa viscosità, detto astenosfera che è in grado di disaccoppiare in maniera non omogenea il movimento delle placche dai moti convettivi del mantello. In un primo lavoro pubblicato su Physics of the Earth and Planetary Interiors, viene mostrato un modello analitico nel quale delle onde di lungo periodo, quali ad esempio le maree solide terrestri (cioè le deformazioni della crosta terrestre indotta dalla Luna e dal Sole ), possono permettere un movimento relativo tra litosfera e astenosfera anche di 10 cm/anno se tra i due strati si raggiunge una forte differenza di viscosità”.
Che relazione sussiste tra i movimenti su grande scala della crosta terrestre e quelli delle faglie che scatenano i terremoti nelle aree ad alta sismicità?
“Le aree maggiormente sismiche sono concentrate principalmente sui margini di placca, tuttavia è possibile vedere che la distribuzione globale dei grandi eventi sismici non è casuale, ma sembra modulata anche dalla rotazione della Terra, e gli “slab” (i margini in subduzione) non sembrano avere un ruolo energetico importante nel moto delle placche. Infatti i grandi terremoti avvengono più frequentemente in zone equatoriali, le distribuzioni di energia sismica e numero di terremoti sono simmetriche rispetto all’equatore e diminuiscono verso le aree polari, come viene mostrato nel secondo lavoro, in pubblicazione su Tectonophysics”. Il quadro generale dello scontro fra la placca africana e quella europea, ad esempio, è molto più complesso di quanto si possa immaginare. In realtà proprio in corrispondenza delle nostre regioni meridionali, la semplificazione delle due placche che si scontrano non è più soddisfacente, poiché i geofisici hanno potuto individuare e descrivere una molteplicità di microplacche con movimenti e interazioni particolari. Il puzzle diventa ancora più sfaccettato nella nostra regione calabra dove, grazie a una ricerca recente condotta da Fabio Speranza e Patrizia Macrì (dell’Ingv di Roma) assieme a colleghi dell’Università di Padova (“Paleomagnetic evidence for a post-1.2 Ma disruption of the Calabria terrane: Consequences of slab breakoff on orogenic wedge tectonics”) e pubblicata dalla rivista “Geological Society of America Bulletin”, si è potuto scendere in dettagli sinora sconosciuti. Nell’area collinare compresa tra le cittadine di Crotone e Catanzaro, sulle splendide coste del mar Ionio, sono state individuati grazie a rilievi paleomagnetici quattro blocchi di crosta terrestre che hanno subito distinti movimenti rotazionali: due di essi hanno subito una rotazione antioraria avvenuta negli ultimi 1.2 milioni di anni, altri due una rotazione oraria. Secondo gli studiosi è la prima volta che sono stati identificati blocchi a rotazione antioraria nella Calabria, che in base a vari altri studi paleomagnetici sembrava aver ruotato in senso orario come un unico blocco rigido tra uno e due milioni di anni fa. Secondo Fabio Speranza, primo firmatario del lavoro, “per effettuare il nostro studio abbiamo preso molti campioni di rocce nella zona di Crotone, e quindi ne abbiamo misurato la direzione di magnetizzazione nel laboratorio di paleomagnetismo dell’Ingv di Roma, principale laboratorio italiano ed uno dei migliori a livello mondiale. Le rocce quando si formano registrano (tramite minerali magnetici che si comportano come minuscole bussole) la direzione del campo magnetico terrestre, che sappiamo essere mediamente diretta verso il nord geografico. Se la direzione di magnetizzazione che misuriamo oggi nei campioni non è più diretta verso il nord, vuol dire che quel blocco crostale è stato ruotato dopo che i sedimenti da noi analizzati si sono deposti. Il paleomagnetismo già negli anni ’60 del secolo scorso ha rappresentato una delle principali prove a supporto della teoria della tettonica a placche, perché ha mostrato che tutte le principali placche del pianeta hanno ruotato e si sono mosse nel corso dei milioni di anni. I movimenti da noi ricostruiti sono molto recenti, perché sono stati osservati su sedimenti che hanno solo 1.2 milioni di anni, un tempo geologicamente molto recente. Questo ci fa ipotizzare che queste rotazioni possano essere ancora attive oggi, e legate ad alcune faglie trasversali che stanno ulteriormente frammentando la “microplacca” della Calabria”.
Come si giustifica questa discordanza in un quadro generale che vede lo “stivale” della penisola italiana muoversi verso i Balcani con una prevedibile chiusura del Bacino Adriatico?
“Già sapevamo in realtà da altri studi geofisici che la parte della penisola italiana che si muove verso i Balcani non comprende la Calabria, che ha un movimento più complesso e si muove in parte verso lo Ionio. Il nostro studio mostra che anche all’interno della Calabria non c’è un movimento omogeneo. È la dimostrazione ulteriore che il Mediterraneo è un vero puzzle, composto di “tessere” crostali anche piccolissime, che probabilmente non abbiamo ancora identificato del tutto”. Nel frattempo il professor Domenico Giardini ha rassegnato le dimissioni con una lettera al Ministro Profumo. Lascia tra un mese la presidenza dell’Ingv dopo appena 100 giorni. Nella newsletter ufficiale dell’Ingv ne spiega le motivazioni, sottolineando come questo non sia un momento di crisi istituzionale per l’Ingv. “Sono passati i famosi cento giorni da quando ho iniziato come Presidente all’Ingv – spiega il prof. Domenico Giardini – e sono stati per me giorni densi di negoziazioni, apprendimento, soddisfazione, frustrazione, ascolto, molte scoperte e nuove amicizie. Ci siamo mossi in un periodo non facile, con il cambio di governo e dei punti di riferimento al MIUR, il nuovo rigore finanziario e i rapidi cambiamenti che sconvolgono la nostra società. In questi cento giorni abbiamo fatto tanto. Abbiamo ripianato il bilancio, assicurato importanti progetti, nominato il Consiglio Scientifico, assicurato la copertura del personale precario per il prossimo anno, terminato la convenzione esistente e completato il nuovo Accordo-Quadro decennale con il DPC. Abbiamo condotto un’approfondita consultazione del personale sui regolamenti, che sono ora in una forma molto avanzata e potranno essere completati nel nuovo anno con una ulteriore consultazione con il personale. Questi elementi permettono di guardare positivamente al 2012 e alla fase di ristrutturazione dell’ente che segue l’approvazione dei nuovi regolamenti. Purtroppo non é risultato possibile trovare un punto di accordo tra la normativa italiana e svizzera che mi possa consentire di continuare con la posizione di Presidente dell’Ingv. Mi preme sottolineare che fin dai primi contatti con il responsabile ricerca del MIUR e col Ministro Gelmini avevo rimarcato le possibili difficoltà amministrative legate alla mia posizione. Tutte le possibili soluzioni amministrative sono state esplorate, e in questi mesi abbiamo avuto fasi alterne in cui tutto sembrava risolto, e altre dove eravamo vicini a un punto di abbandono. Il parere definitivo della Funzione Pubblica – rivela il prof. Giardini – non consente però di continuare oltre e ho inviato al Ministro Profumo la mia lettera di dimissioni da Presidente dell’Ingv a fine anno (2011, NdA). Come potete capire, é stata una decisione molto sofferta. Questi mesi sono stati molto intensi, per me, per la mia famiglia e per tutti quelli che lavorano con me in Italia e Svizzera. Ho lasciato la direzione del Servizio Sismico Svizzero e ho dedicato le mie energie all’Ingv. Ho scelto di rimanere quasi recluso in ufficio, e non ho attivato tanti possibili contatti, perché non ero ancora sicuro di poter rimanere. Non c’é stato il tempo in questa fase iniziale di visitare tutti, ho molto trascurato le sezioni di Roma e altre sezioni, e me ne scuso. Ora é giusto che l’Ingv abbia un Presidente stabile. Questo non é un momento di crisi istituzionale per l’Ingv, come qualcuno ha commentato. Il nuovo Statuto, il ruolo attivo del CdA e l’ottima gestione delle Sezioni garantiscono il pieno funzionamento dell’ente. Il Ministero ha assicurato procedure rapide per la nomina del nuovo Presidente e la Protezione Civile offre il massimo supporto. L’Ingv é uno dei massimi enti di ricerca al mondo nel suo settore, e può dare un contributo importante e concreto in questa delicata fase di ricostruzione del sistema Italia, nei settori di dominio istituzionale quali il rischio terremoti e vulcani, come anche in settori chiave per lo sviluppo economico del paese, quali le infrastrutture, le risorse energetiche, la sicurezza, i cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile delle aree urbane. L’Ingv é un ente molto solido, e non deve avere paura di niente. In futuro rimarrò comunque vicino quanto possibile e in stretta collaborazione con l’Ingv. È stato per me un onore e un punto di arrivo servire come Presidente dell’Ingv e mi dispiace non poter continuare. Ci lascio il cuore”. La “roadmap” per la messa in sicurezza del sistema Italia è stata tracciata, a sei mesi esatti dal disastroso sisma di L’Aquila. Ora spetta ai politici, agli amministratori locali fare la loro parte: ognuno si assuma le proprie responsabilità. La scienza dice che esistono “vere” previsioni di un terremoto solo ed esclusivamente mediante la probabilistic seismic hazard analysis. Un giorno, forse, in tv e sul web avremo la stessa straordinaria precisione delle attuali previsioni meteo. Ma oggi la notizia è un’altra: la probabilità sismica funziona, meglio di qualsiasi fittizia certezza favolistica. La previsione probabilistica (quake forecasting) dei terremoti è non solo possibile ma anche utilizzabile ai fini della prevenzione del rischio sismico in Italia. Lo è oggi, a maggior ragione, grazie alle tredici linee-guida offerte per la prima volta al mondo dagli scienziati della International Commission on Earthquake Forecasting for Civil Protection riunita a L’Aquila dopo il disastro. La previsione probabilistica “illumina” letteralmente le aree che saranno colpite da un sisma, dispiegando tutta la sua efficacia nel range tra 1 e zero, come spiega Warner Marzocchi dell’Ingv. Si è capito che bisogna interfacciare armonicamente i dati di probabilità sismica acquisiti da vari istituti di ricerca in Italia e nel mondo. Anche gli studi sulle predizioni deterministiche vanno potenziati e servono chiari protocolli d’intervento per la Protezione civile, da realizzare in tre fasi insieme ai social scientists, per favorire una rigorosa, sana e utile informazione alla popolazione. È quanto emerso dal quarto Summit G10 del gruppo indipendente di sismologi, chiamato da tutto il mondo a studiare in Abruzzo il terremoto di L’Aquila. Ricordiamo che l’incontro si svolse al Centro operativo di Coppito (Aq) dal 30 settembre al 2 ottobre 2009. La Commissione era composta da dieci scienziati, specializzati in sismologia e geofisica, ai vertici delle università e centri di ricerca più importanti del mondo: Tom Jordan, presidente del gruppo di lavoro, direttore del Southern California Earthquake Center (SCEC) e professore di Earth Sciences alla University of Southern California a Los Angeles, Yun Tai Chen, professore di geofisica e direttore onorario dell’Istituto di Geofisica della China Earthquake Administration, Paolo Gasparini dell’Università Federico II di Napoli, Raoul Madariaga della Scuola Normale Superiore di Parigi, Ian Main dell’Università di Edinburgo, Warner Marzocchi, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Gerassimos Papadopoulos dell’Osservatorio Nazionale di Atene, Guennadi A. Sobolev, direttore del Dipartimento di Catastrofi Naturali e Sismicità della Terra dell’Accademia Russa delle Scienze a Mosca, Jochen Zschau dell’Università di Potsdam e Koshun Yamaoka della Nagoya University (Giappone). Gli studiosi hanno redatto un Report ufficiale inequivocabile: la previsione probabilistica, con relativo errore, è la via maestra non solo per prevedere l’energia e gli effetti dei terremoti sul territorio; le sequenze sismiche possono accelerare la sismicità ma al momento la comunità scientifica internazionale non è in grado di distinguere le “scosse di preavviso”. La previsione a breve-termine permette di identificare le aree dove più probabilmente avverranno gli “aftershock” più forti, e con che probabilità essi si manifesteranno. L’Ingv sta fornendo ogni giorno stime di questo tipo alla Protezione civile: è la prima volta al mondo che ciò viene fatto durante una crisi. Tredici sono le “raccomandazioni” degli scienziati, tra cui quelle indirizzate al Dipartimento della Protezione Civile (DPC) che, tra l’altro, è chiamata a: continuare a seguire l’evoluzione scientifica delle previsioni sismiche probabilistiche, per sviluppare le infrastrutture e le competenze necessarie a creare dalle informazioni scientifiche, chiari protocolli operativi; coordinare il flusso di dati provenienti da rilevanti istituti di ricerca italiani, per migliorare la risoluzione delle previsioni probabilistiche; offrire particolare attenzione all’analisi dei dati in tempo reale, alla creazione di cataloghi e mappe sismiche di alta qualità; a favorire la ricerca sui terremoti nei “laboratori naturali” italiani. La ricerca di base deve essere focalizzata alla comprensione scientifica dei fenomeni sismici e alla loro previsione che deve essere chiaramente parte di un programma nazionale di ricerche. La scienza è libera (lo dice la Costituzione italiana, chiunque può offrire il proprio contributo) ma poi i dati e le scoperte vanno dimostrati alla comunità scientifica internazionale. La Protezione civile ascolterà l’unica voce della scienza ufficiale. Forse in pochi ricordano che lo speciale G10 di sismologia (costituito il 12 maggio 2009) nacque allo scopo di fornire periodicamente lo stato attuale delle conoscenze sulla prevedibilità dei terremoti e indicare delle linee-guida per poter utilizzare al meglio le osservazioni scientifiche sui fenomeni sismici. I progetti, quindi, vanno interfacciati senza scadenze di “target”: abbiamo un catalogo sismico di oltre 45 anni da inserire ed elaborare nei computer. Fare previsioni a lungo termine sul verificarsi dei terremoti, non necessariamente dopo uno sciame sismico come quello precedente all’evento del 6 aprile 2009, è una valida realtà scientifica immediatamente utilizzabile ai fini della prevenzione del rischio sismico. Oggi non servono le favole e ulteriori “certezze” matematiche probabilistiche e/o deterministiche per salvare vite umane, ossia per costruire finalmente edifici solidi a misura di Homo Sapiens Sapiens, in un ambiente a forte sismicità come l’Abruzzo. Non esistono metodi per prevedere terremoti a brevissimo termine: nessuno è in grado, prima di un evento sismico, di specificare il luogo, il momento e l’intensità del terremoto con un cerchio di errore apprezzabile, cioè utile per allarmi e pre-allarmi selettivi.
Ma a che servirebbe se poi non siamo in grado di salvare vite umane con la prevenzione? Uscire fuori di casa al momento giusto, per beccarsi un cornicione o una tegola in testa, non è una buona idea; come impraticabile risulterebbe la prospettiva di “trasferire” milioni di cittadini in campagna o al mare, al primo allarme! È questo il cuore del risultato dello studio condotto dalla commissione di dieci esperti internazionali, chiamati per la quarta volta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’allora capo della Protezione civile a fare il punto sulla sismicità abruzzese. Viviamo in una realtà quantistica fondata anche sul principio di indeterminazione di Heisenberg. Non possiamo, cioè, conoscere tutto di tutto e di tutti con certezza assoluta, cioè senza il delta dell’errore. Neppure le coordinate spazio-temporali di un terremoto, di un impatto cosmico, di un’alluvione, di un maremoto o di una frana. E, questo, anche in futuro. La logica matematica non è un’opinione e la Natura vincerà sempre! Ma possiamo sempre anticiparla. La semantica è altrettanto importante: “forecasting” e “predictions”, sono termini in lingua inglese, che non vanno confusi. La società civile sia consapevole del fatto che solo un’accurata conoscenza diffusa delle questioni probabilistiche (eppure le scommesse legali sono molto in voga, si gioca al Superenalotto e al Gratta&Vinci pur sapendo di far vincere il Banco!) anche in sismologia, è la chiave essenziale per salvare vite umane, a cominciare dalla nostra.
Meglio la probabilità o il cieco determinismo? Una questione la cui natura non è affatto di pura lana caprina o, se preferite, sibillina come l’uovo di Colombo. Non sarà mai possibile fare previsioni sui terremoti a breve termine, azzeccando città, energia liberata, tempo, ipocentro ed epicentro. Il G10 di sismologia a L’Aquila, ha effettuato un monitoraggio dei fattori precursori e non è stato possibile arrivare ad una diagnosi certa su quando, come e dove un terremoto si verificherà. È stata fatta chiarezza sui “fattori precursori”, cioè su tutti quegli eventi fisici che possono (non necessariamente) precedere un sisma. Il susseguirsi di scosse, la presenza di gas come il radon e il thorio, i mutamenti nei campi elettromagnetici, i fenomeni acustici e visivi. Le centinaia di migliaia di vittime dei terremoti e dei maremoti negli ultimi otto anni sulla Terra, dimostrano chiaramente i limiti dell’uomo. Tuttavia gli scienziati ritengono che le previsioni a lungo termine siano oggi le più affidabili. Il G10 aquilano ha inviato alla Protezione civile, un’importante raccomandazione: è necessario creare e valorizzare una struttura di esperti che possa eseguire un’analisi dei modelli previsionali, in modo da fornire sempre nuovi e completi elementi alle istituzioni ed alla società civile. Nulla deve essere segreto. La previsione a lungo termine consente di avere informazioni sul luogo, sulla magnitudo e sulla frequenza di un sisma. Indispensabile è una mappatura ad alta risoluzione sia del territorio sia degli edifici per renderli tutti antisismici, informando tempestivamente la popolazione sul da farsi, intensificando le esercitazioni di massa e predisponendo vie di comunicazione e centri logistici attrezzati ed operativi H24 facilmente accessibili. L’attività sismica sulla Terra non sarebbe in aumento.
Le ricerche relative ai precursori sismici non avrebbero avuto esiti rilevanti: il G10 ha studiato i precursori sismici che però non hanno consentito previsioni a breve termine, ossia non hanno aggiunto nulla al quadro delle attuali conoscenze. La ricerca sui precursori deve però proseguire. È semmai importante creare una struttura di ricerca regionale per analizzare modelli previsionali grazie a computer di ultima generazione. Lo studio delle previsioni probabilistiche negli ultimi dieci anni ha fatto passi da gigante in Italia, come rivelano le analisi delle sequenze sismiche effettuate da centinaia di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, rappresentati nel G10 dallo scienziato Warner Marzocchi. Il quale ci ha sempre ricordato nei suoi interventi che “il fenomeno dello sciame sismico viene studiato attraverso modelli matematici ETAS fondati sul fatto che ogni terremoto può generare altri terremoti seguendo regole predeterminate.
Tale capacità, che è funzione della magnitudo, decade nello spazio e nel tempo con leggi di potenza simili al decadimento spaziale co-sismico e alla legge temporale di Omori”. Gli esperti del G10 hanno registrato che i terremoti tendono a raggrupparsi: la presenza di repliche aumenta la probabilità di nuove scosse, ma i terremoti che si sono riscontrati in questo periodo a L’Aquila, “rientrano nella normalità e stanno scendendo di intensità”. Le sequenze sismiche possono accelerare la sismicità ma la comunità scientifica non è in grado di distinguere la scossa preliminare, che può storicamente in genere precedere sugli Appennini un evento di grande intensità, dalla normale attività sismica.
Gli sciami sono frequenti ma non sono sempre legati a terremoti forti e gli eventuali aumenti di probabilità sono comunque molto limitati. “La scossa di aprile 2009 ha aumentato il rischio di terremoti forti nella zona limitrofa – ricorda Warner Marzocchi – ma si tratta comunque di probabilità basse. Per noi non sarebbe una sorpresa se a L’Aquila si verificasse un’altra scossa perché i terremoti tendono a clusterizzare, a raggrupparsi: le probabilità però sono spalmate nel tempo, non si possono fare stime per il singolo giorno. Posso dire che c’è una probabilità del 25% che in Abruzzo si verifichi una scossa di magnitudo pari o superiore a 5 nei prossimi dieci anni. Se parliamo del prossimo mese la probabilità scende all’1%-2 %”. Per quanto concerne gli eventuali legami del terremoto del 6 aprile con terremoti del recente passato, gli esperti del G10 li escludono.
La faglia di Paganica, con la scossa del 6 aprile, avrebbe scaricato solo una minima parte dell’energia potenziale ma è poco conosciuta. Resta il fatto che gli scienziati del G10 non si pronunciarono mai su quanta energia fosse stata rilasciata e quanta ancora fosse da liberare. Dati che sarebbero stati chiariti da studi successivi e che meritano senz’altro un altro Summit di alto profilo scientifico. Vibrante è la raccomandazione degli scienziati affinché le previsioni probabilistiche siano rese tempestivamente pubbliche, chiare, leggibili e comprensibili perché la gente deve conoscere il rischio sismico. Per far questo è auspicabile l’affermazione di un Protocollo deontologico tra amministratori, politici, ricercatori e giornalisti,“per evitare la diffusione di voci di corridoio e allarmismi ingiustificati”. Il G10 è dal 2009 la voce della scienza ufficiale, la fonte primaria che informa la Protezione civile nazionale alla quale è demandata la funzione di informare la popolazione sulla situazione contingente avvalendosi degli strumenti della ricerca. Grazie al professor Warner Marzocchi convinto assertore “di un’informazione completa anche se ciò alcune volte significa ammettere incertezza. È importante chiarire alla gente come stanno le cose”.
Il G10 ha evidenziato altresì la necessità di un pubblico Bollettino del Rischio Sismico, giuridicamente vincolante anche per il Legislatore e la Pubblica Amministrazione, che periodicamente grazie agli scienziati della commissione informi la Protezione civile italiana. “L’Ingv ha fornito e sta fornendo con continuità previsioni probabilistiche di lungo e di breve termine. Con le previsioni probabilistiche di lungo-termine – ricorda Marzocchi – si possono identificare (e già lo si è fatto) le aree dove avverranno i grandi terremoti del futuro. Di particolare rilevanza in questo ambito è la mappa di pericolosità elaborata dall’Ingv nel 2004 (http://zonesismiche.mi.ingv.it/) che fornisce lo scuotimento del terreno atteso nei prossimi 50 anni”. Dalla mappa appare evidente la zona colpita dal terremoto: è quella dove ci si aspettavano alti valori di scuotimento del terreno. In generale, questo tipo di studi permette di definire opportuni criteri di costruzione anti-sisimica (a tal proposito, se oggi tali procedure si seguissero alla lettera, la previsione dei terremoti sarebbe di scarsa utilità, poiché i crolli sarebbero minimi)”.
Per quanto riguarda le previsioni probabilistiche di lungo termine dell’occorrenza dei grandi terremoti, “dal 2005 esiste una pagina web (http://www.bo.ingv.it/~earthquake/ITALY/forecasting/M5.5+/) dove vengono fornite stime di probabilità di occorrenza di eventi con magnitudo 5.5 o maggiore in un intervallo di tempo di 10 anni. Essendo time-dependent, le mappe vengono aggiornate ogni 1° Gennaio e dopo ogni evento con magnitudo 5.5 o maggiore. Nella sezione Results della pagina web si vede che la zona dove è avvenuto il terremoto aveva la sesta più alta probabilità su 61 zone (di cui 34 con probabilità non trascurabili; mappa A). Se si guarda la densità spaziale di probabilità (mappa B), la zona interessata aveva la seconda più alta densità di probabilità su una griglia con 51 nodi”.
Altri studi compiuti di recente sullo stesso argomento nell’ambito della convenzione 2004-2006 tra l’Ingv e il Dipartimento della Protezione Civile (Progetto ”Valutazione del potenziale sismogenetico e probabilità dei forti terremoti in Italia”) hanno mostrato risultati analoghi. “Anche questi studi che hanno utilizzato modelli di occorrenza dei terremoti del tutto diversi da quelli utilizzati per gli studi appena descritti, hanno identificato l’area di L’Aquila come una di quelle a più alta probabilità di occorrenza di un terremoto distruttivo” – rivela Marzocchi. I risultati presentati al recente convegno della European Geosciences Union in una sessione speciale dedicata al terremoto dell’Abruzzo, hanno riscosso un notevole successo. Un’altra iniziativa importante in cui l’Ingv è attualmente coinvolto è il progetto internazionale CSEP (Collaboratory Studies for Earthquake Predictability; http://www.cseptesting.org, http://us.cseptesting.org, http://eu.cseptesting.org). Che nasce allo scopo di definire un esperimento scientifico per la verifica e il confronto dei diversi modelli di previsione probabilistica e deterministica dei terremoti.
Tali analisi e confronti sono effettuati in un centro (Testing Center) dove tutti i modelli vengono utilizzati per produrre previsioni indipendentemente dagli autori dei modelli stessi. “Le nostre previsioni sono “vere” previsioni – spiega Marzocchi – in quanto i dati utilizzati per il confronto sono i terremoti futuri dell’area investigata (il cosiddetto Natural Laboratory)”. I Natural Laboratories attivi finora sono la California, la Nuova Zelanda, l’Italia, il Giappone, il Pacifico Occidentale e il globo nel suo complesso. “È importante sottolineare che il confronto tra i modelli viene fatto NON in tempo reale (per avere a disposizione i cataloghi ufficiali è necessario aspettare qualche settimana o pochi mesi). Ciò non è un problema per CSEP poiché lo scopo dell’esperimento rimane scientifico. Alla fine del periodo di test (di solito è di 5 anni), l’esperimento si conclude con una “classifica” dei modelli che si sono comportati meglio nella propria classe di previsione. Di particolare interesse sarà anche il confronto tra le classifiche stilate per tutti i Natural Laboratories per vedere se sono sempre gli stessi modelli ad avere le capacità previsionali migliori. L’esperimento nel territorio italiano è condotto per diverse classi di previsione: 1) previsione giornaliera per terremoti di magnitudo superiore a 4 gradi; 2) previsione trimestrale per eventi di magnitudo superiore a 5 gradi; 3) previsione quinquennale per eventi di magnitudo superiore a 5 gradi”.
I ricercatori Ingv hanno già presentato modelli di previsione probabilistica per la California, la Nuova Zelanda, il Pacifico Occidentale e il mondo. Tuttavia, non dimentichiamo che molti fattori complicano le sequenze sismiche, incluse le complesse geometrie di rottura nella faglia, la natura caotica dei processi di rottura, le variazioni delle forze in atto nelle faglie. Le variabili sono e saranno sempre tantissime. Nel frattempo Jaume Dinares-Turell e Micol Todesco, ricercatori Ingv, sono stati selezionati “Exceptional Reviewers” (GSA Bulletin) dalla Geological Society of America, come si legge nell’ultimo numero della rivista GSA Today (http://www.geosociety.org/gsatoday/).
Nicola Facciolini
L’articolo sembra molto interessante, ma lo trovo di difficilissima lettura. Manca un po’ di spaziatura tra i paragrafi, un po’ di uso della formattazione (grassetto, sottolineato). Non si capisce la linea del discorso.