Pochi chilometri ad ovest di Roma, nel cuore verde della campagna di Rieti, in Sabina, si trova uno scrigno di storia, arte e paesaggio ancora tutto da scoprire. Proprio in questo territorio ricco di cultura millenaria, ai piedi del monte Acuziano ed a breve distanza dal fiume Farfa, sorge l’Abbazia di Farfa immersa nel silenzio di un borgo dove il tempo sembra essersi fermato e la trama della sua storia così antica si intreccia con quella di imperatori romani, principi longobardi e franchi e con le più nobili famiglie romane. Se già l’imperatore Commodo, riconoscendo la magnificenza dei luoghi vi fece costruire la propria villa o forse un tempio dedicato alla dea Vacuna, protettrice dei campi e della natura, Carlo Magno sostando nell’Abbazia, costruita su quegli antichi complessi pagani dalle comunità cristiane di epoca tardo antica, riconobbe a Farfa il privilegio dell’autonomia da ogni potere civile e religioso che la fece crescere in splendore e ricchezza.
Con lo sfaldamento dell’Impero Carolingio l’Abbazia conobbe un lungo periodo di decadenza essendo dapprima oggetto di barbariche razzie che ne depredarono le bellezze e poi della cupidigia delle famiglie feudali romane che, insediandosi nei suoi territori, ne divennero di fatto padrone. A ridosso dell’anno mille l’Abbazia visse una ripresa della comunità monastica, secondo la regola cluniacense, e dell’antico splendore schierandosi durante la lotta per le investiture a favore di Enrico IV e quindi contro il Papato. Al tempo di Enrico V i possedimenti dell’Abbazia si estendevano dalla Toscana all’Umbria, da Civitavecchia all’Adriatico includendo anche le zone di S. Eustachio e Palazzo Madama a Roma. Ma il Concordato di Worms del 1122, segnando il passaggio del monastero sotto il controllo dell’autorità pontificia, ne decretò anche l’irreparabile decadenza economica insieme a quella della vita monastica.
Nonostante il prestigio dei secoli passati fosse solo un ricordo,a partire dalla seconda metà del XV secolo, le nobili famiglie romane intervennero per migliorarne le strutture. Gli Orsini costruirono l’attuale chiesa, i Barberini riordinarono e ampliarono il borgo. Alla fine del XVIII secolo i Francesi la saccheggiarono e nel 1861 fu confiscata dallo Stato italiano. Dal 1921 l’Abbazia appartiene alla comunità benedettina di S. Paolo fuori le mura.
L’antica storia del monastero è visibile nella ricca stratificazione di testimonianze e reperti che oggi fanno parte del percorso museale strutturato in diverse tappe. Il corridoio d’ingresso con le vestigia del “coro quadrato” conduce all’antico refettorio con affreschi del XVII secolo e ai due chiostri in cui sono conservati reperti archeologici di epoca romana e medievale.
Merita particolare attenzione la fronte di sarcofago con scena di battaglia risalente al II secolo d.C. situata all’ingresso della cripta e la Biblioteca Statale del monumento Nazionale di Farfa, nella quale è conservato un patrimonio di circa cinquantamila volumi tra i quali manoscritti e documenti di estrema rilevanza come il codice del’XI secolo con la raffigurazione dell’ immagine della Madonna farfense ripresa nella tavola del XIII secolo venerata nella chiesa abbaziale.
Quest’ultima è un vero scrigno “palinsesto” poichè al suo interno si possono distinguere frammenti di sarcofagi paleocristiani, resti della pavimentazione cosmatesca originaria ed un altare di epoca carolingia, tra le testimonianze più antiche, mentre tra gli interventi realizzati tra cinque e seicento spiccano, sulla controfacciata, il maestoso Giudizio Universale, olio su muro del pittore fiammingo Henrik van der Broek, nelle cappelle laterali tele di scuola di Orazio Gentileschi, sui soffitti decorazioni a “grottesche” di mano degli allievi dei fratelli Zuccari, queste ultime difficili da trovare in un edificio sacro tanto da farne un “unicum” nel suo genere. Ma vera rivelazione di tale percorso è il museo archeologico con scenografie a scopo didattico progettate dall’artista, scenografo ed illustratore genovese Emanuele Luzzati. Le gesta dei fondatori e degli Abati, le invasioni, le distruzioni e le rinascite diventano, nell’allestimento delle scenografie artistiche, nelle quali sono contestualizzati i reperti antichi, una narrazione spaziale e sensoriale che affianca disegni e manufatti in un percorso leggendario di cui il visitatore è protagonista. Il Museo costituisce sezione distaccata del Museo Civico Archeologico di Fara Sabina, tuttavia di tale legame nessuna traccia è menzionata nel sito internet dell’istituzione museale dove il distaccamento farfense viene del tutto ignorato. Allo stesso modo nessuna indicazione turistica dell’esistenza del particolare allestimento museale nell’abbazia è fornita al visitatore che giunge nel borgo di Farfa. Impossibile poi l’eventualità di effettuare approfondimenti storico-artistici del percorso museale poichè non sono disponibili pubblicazioni dedicate, fatta eccezione per sommari e generici pieghevoli o brevi guide di dubbio spessore.
Nonostante ciò, senza ombra di dubbio l’Abbazia di Farfa merita, per le sue pecurialità storico-artistiche tanto rilevanti, di essere conosciuta da un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo sancendone così la piena valorizzazione.
Beatrice Mastrorilli (agenparl)
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