Lo spauracchio dell’islamizzazione, del conflitto sociale urbano tra nazionalità diverse e dei costi della politica di integrazione agitato da nazionalisti e xenofobi miete successi anche nel paese additato da decenni come il modello per le pari opportunità e il welfare, la Svezia. “Il paradiso sociale” svedese è un mito del passato, sempre forte se confrontato con altri Stati europei, ma comunque in crisi e con un paradigma che sta mutando negli ultimi anni. È questo il messaggio di Marco Buemi, esperto di diritti umani della Presidenza del Consiglio, nel libro di cui è autore “Diversamente Svezia. Un paese si guarda allo specchio” appena pubblicato per Infinito Edizioni con la prefazione di Filippa Lagerbäck.
Alle ultime elezioni politiche del settembre 2010, per la prima volta è entrato in Parlamento il Partito dei democratici svedesi, fondato nel 1988 e guidato dal 31enne Jimmi Åkesson, che ha ottenuto 20 seggi su 349 con il 5,7% dei voti. Si tratta, racconta Buemi, di una formazione nazionalista e xenofoba, a dispetto del nome, che è riuscita a cavalcare il malcontento della popolazione proprio sul tema cruciale del welfare, che è al centro dibattito svedese almeno dagli anni Trenta del Novecento. Dopo un excursus storico che spiega in modo semplice le vicende politiche del paese dalla fine dell’Ottocento in poi, l’autore racconta il riadattamento del sistema di welfare dagli anni Novanta in poi, fino a oggi con la crisi. Mercato del lavoro e sussidi di disoccupazione, pari opportunità, famiglia e immigrazione sono le chiavi tematiche di questo viaggio a Stoccolma. Una serie di scatti fotografici di vita quotidiana accompagnano il racconto di un paese che cambia.
La deriva xenofoba contro gli immigrati non rappresenta un caso isolato in nordeuropea, secondo Buemi, che cita la crescita di consensi per queste formazioni politiche estremiste anche in Finlandia (Partito dei veri finlandesi), in Danimarca (Partito del popolo), nei paesi Bassi (il partito per la Libertà di Geert Wilders) e in Norvegia con i progressisti di cui faceva parte anche il terrorista Breivik. Quella svedese rimane la seconda economia più competitiva al mondo secondo il rapporto 2011 – 2012 del “World economic forum”, dopo la Svizzera e Singapore. Questo, sostiene lo studioso, è frutto delle scelte politiche degli anni Novanta, quando si decise di affrontare la crisi economica eliminando i sostegni economici e governativi a banche e aziende poco competitive, per investire su ricerca, cultura ed enti locali.
Sui 9,3 milioni di abitanti, 1,4 milioni sono di origine straniera o hanno almeno un genitore nato all’estero. Ex Jugoslavia, Iraq, Somalia e Iran sono i paesi da cui è arrivata la maggioranza degli immigrati negli ultimi tre decenni. “È il paese con il più alto numero di riconoscimenti dello status di richiedente asilo e rifugiato politico al mondo, superiore perfino a quello degli Stati Uniti” si legge nel libro. Cresce la diffidenza degli svedesi verso gli islamici, mentre le norme sull’integrazione non si rivolgono più agli stranieri ma a tutta la popolazione, proprio per evitare ghettizzazioni. “La globalizzazione e le migrazioni per motivi politici o di lavoro hanno cambiato completamente il Paese –scrive Buemi – la Svezia non sembra più quel che era mezzo secolo fa. Anche il concetto di svedesità è cambiato, e non tutti sanno che uno dei nomi più comuni a Malmö, tra i bambini appena nati, è Mohammed, e che i negozi di pizza, sushi e hamburger sono i più frequentati dagli svedesi stessi”.
Ma per capire quanto quella realtà, seppur in crisi, sia lontana anni luce da quella italiana, può essere utile citare uno degli esempi raccontati in “Diversamente Svezia” come uno dei tre casi sull’immigrazione più dibattuti degli ultimi anni nel paese. Si tratta di una storia di discriminazione di cittadini svedesi per favorire gli stranieri avvenuta in un’università pubblica. L’ateneo di Uppsala nel 2003 decise di riservare 30 posti su 300 disponibili per la facoltà di Giurisprudenza ai figli di immigrati. Una quota in positivo per aumentare il numero di studenti di origine straniera. Due figli di svedesi non riuscirono ad accedere nonostante avessero voti migliori degli stranieri. “Venne messo così in discussione l’importante principio della meritocrazia”, sottolinea Buemi. L’Università fu denunciata e condannata per ‘discriminazione etnica’ commessa nei confronti dei due studenti svedesi e pagò un risarcimento di 8 mila euro a studente.
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