Si discute molto sulla stampa e nei blog dei grandi premi attesi al Kodak Theatre di Los Angeles il 26 febbraio 2012, con candidati agguerriti e Billy Cristal che condurrà per la nona volta la Notte degli Oscar. Si discute meno dei premi “minori” che, credo, non sono meno interessanti. Iniziamo con il “miglio attore non protagonista”, che vede schierati gli eccellenti Kenneth Branagh per My Week with Marilyn; Jonah Hill per L’arte di vincere (Moneyball); Nick Nolte per Warrior; Christopher Plummer per Beginners e Max von Sydow, per Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud and Incredibly Close), con la giuria chiamata ad una scelta davvero complicata. Per ragioni affettive e cinefili che, io tifo per Carl Adolf von Sydow, Svedese, figlio di un celebre etnologo, con il suo esordio al cinema, dopo un folgorante inizio teatrale, in “Bara en mor”di Alf Sjöberg (1949), a soli 20 anni.
Nel 1956 è l’indimenticabile protagonista de “Il settimo sigillo”, che inaugura la fruttuosa collaborazione con il regista Ingmar Bergman, continuata con “Il posto delle fragole” (1957), “Alle soglie della vita” (1958), “Il volto” (1958), “La fontana della vergine” (1960), “Come in uno specchio” (1961) e “Luci d’inverno” (1963).
Si trasferisce poi a Hollywood interpretando Gesù nel film di George Stevens “La più grande storia mai raccontata” (1965) e l’anno dopo è accanto a Julie Andrews in “Hawaii” (1966), di George Roy Hill.
Nel periodo successivo gira vari film con la connazionale, anche lei passata allo “Star System”, Ingrid Bergman: “L’ora del lupo” (1968), seguito da “La vergogna (1968), “Passione” (1969) e “L’adultera” (1971).
Robusto e straordinario nell’incarnare i più differenti personaggi, dall’imperatore Ming nel brutto film di Mike Hodges “Flash Gordon” (1980), al pittore Frederick nello splendido “Hannah e le sue sorelle” (1986), di Woody Allen, Max von Sydow con la sua partecipazione aggiunge valore tanto al cinema d’autore quanto a quello più commerciale.
Fra gli impegni più recenti è stato il commissario Ulisse Moretti nel film di Dario Argento “Non ho sonno” (2001) e Sir Walter Loxley in Robin Hood, nuova versione della leggenda dell’onesto fuorilegge di Notthingam, diretta da Ridley Scott nel 2010.
Per quanto concerne, poi, l’Oscar alla migliore non protagonista, in lizza Bérénice Bejo con The Artist; Jessica Chastain per The Help; Melissa McCarthy – per Le amiche della sposa (Bridesmaids); Janet McTeer con Albert Nobbs e Octavia Spencer, anche per The Help.
E’ facile prevedere un premio alle due candidate del film scritto e diretto da Tate Taylor (“The Help”, adattamento cinematografico del romanzo di Kathryn Stockett L’aiuto, distribuito in Italia dal 20 gennaio scorso, con ben tre premi ai Critics’ Choice Movie Awards, la più importante associazione di critici statunitensi.
Tuttavia non escludo che possa spuntarla l’ironica e spumeggiante Melissa McCarthy, con “Le amiche della sposa”, la divertente commedia di Paul Feig, in cui, con espressione politicamente sbilanciata e scorretta, la dimensione corporale e scatologica imbocca la via per l’altare incrinando (per sempre) la glassata piacevolezza delle torte nuziali e le patine ideologiche di tante commedie matrimoniali.
E veniamo alla migliore sceneggiatura originale, con, a contendersi la statuetta placcata-oro, sono Michel Hazanavicius, per te The Artist; Annie Mumolo e Kristen Wiig per le Le amiche della sposa (Bridesmaids); J.C. Chandor, con Margin Call, Woody Allen – per Midnight in Paris e Asghar Farhadi per Una separazione (Jodái-e Náder az Simin).
Se prevarrà l’idea di premiare chi di altri premi sarà privo, credo che l’Oscar se lo accaparrerà Chondor per “Margin Call”, autore di una trama che si svolge nell’arco di 24 ore presso una banca d’investimento e si concentra sulla crisi finanziaria del 2007; film che ha concorso alla 61esima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, nominata per l’Orso d’oro.
I candidati per la sceneggiatura non originale sono invece Alexander Payne, Nat Faxon e Jim Rash per Paradiso amaro (The Descendants); John Logan per Hugo Cabret (Hugo); George Clooney, Grant Heslov e Beau Willimon – Le idi di Marzo (The Ides of March); Steven Zaillian, Aaron Sorkin e Stan Chervin, per L’arte di vincere (Moneyball) e Bridget O’Connor e Peter Straughan – La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy).
Fossi io a scegliere darei il premio a “L’arte di vincere”, bel film di Bennett Miller, basato sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis, incentrato sulla squadra di baseball Oakland Athletics e sul loro general manager Billy Beane, interpretato da un molto convincete Brad Pitt.
Storia universale e profondamente americana di un riscatto, di un atto di fede cieco e appassionato, di una scommessa esistenziale da vincere moralmente con compostezza attraverso la sofferenza e l’apparente sconfitta, senza che le luci del trionfo arrivino mai ad abbagliare le idee e la determinazione. Beane come l’ultimo degli eroi solitari del West.
Gran parte del merito della riuscita dell’operazione va allo sceneggiatore Aaron Sorkin, coadiuvato da un altro nome importante della scrittura cinematografica americana: come Steven Zaillian, ch, effettuando la medesima operazione (oggi molto utile, in un momento di profonda crisi di speranze e valori), come quella di Mark Zuckerberg in The Social Network, osservano una parabola di vita, scomponendola in dati quintessenziali e infarcendola di uno sguardo ampio e approfondito in grado di darle significati che travalicano l’esperienza soggettiva di un singolo e la rendono archetipica.
Per il montaggio gareggiano davvero alla pari, Anne-Sophie Bion e Michel Hazanavicius per The Artist; Kirk Baxter e Angus Wall , per Millennium – Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tattoo); Thelma Schoonmaker per Hugo Cabret (Hugo); Christopher Tellefsen, per L’arte di vincere (Moneyball) e Kevin Tent per Paradiso amaro (The Descendants).
Qui faccio decisamente il tifo per Baxter e Wall, che imprimono un ritmo incalzante al film di David Fincher, riuscendo anche a chiarire, con le sequenze giuste, la complessità di un personaggio (reso magistralmente da Daniel Graig, ingiustamente fuori dai premi), che è una scheggia impazzita, impegnata a raddrizzare i torti e a ricambiare le violenze fatte alle donne dagli uomini che le odiano.
Per la migliore scenografia una “storica” e multi premiata coppia italiana, composta da Dante Ferretti e Francesca Loschiavo per Hugo Cabret (Hugo), che si contendono il premio con Laurence Bennett e Robert Gould, per The Artist; Stuart Craig e Stephenie McMillan, per Harry Potter e i Doni della Morte: Parte II (Harry Potter and the Deathly Hallows: Part II); Anne Seibel e Hélène Dubreuil, per – Midnight in Paris e Rick Carter e Lee Sandales, per War Horse.
Non credo che la coppia italiana farà il bis, con l’aiuto di Scorzese, come accadde ne “Le gang di New York” e penso, invece, che lo scontro è fra l’uyltimo “Harry Potter” (a caccia di premi promozionali) e “War Horse”, del lasciato quasi fuori da tutto Steven Spielberg.
Un aspetto non di poco conto al cinema è poi il trucco, che rende incredibili gli attori e folgoranti gli effetti. Gareggiano in questa categoria Martial Corneville, Lynn Johnston e Matthew W. Mungl, con Albert Nobbs; Nick Dudman, Amanda Knight e Lisa Tomblin, con Harry Potter e i Doni della Morte: Parte II (Harry Potter and the Deathly Hallows: Part II) e Mark Coulier con J. Roy Helland, per The Iron Lady, con una gara fra gli ultimi due titoli e trionfo che dipenderà dalla propensione della giuria verso il “trucco sobrio e realistico” o fatto per stupire.
Per stupire, invece, servono gli effetti speciali, categoria nella quale si affrontano Tim Burke, David Vickery, Greg Butler e John Richardson, sempre per Harry Potter e i Doni della Morte: Parte II(Harry Potter and the Deathly Hallows: Part II); Rob Legato, Joss Williams, Ben Grossman e Alex Henning, per Hugo Cabret (Hugo); Erik Nash, John Rosengrant, Dan Taylor e Swen Gillberg, per Real Steel; Joe Letteri, Dan Lemmon, R. Christopher White e Daniel Barrett, per L’alba del pianeta delle scimmie (Rise of the Planet of the Apes); Scott Farrar, Scott Benza, Matthew Butler e , per John Frazier – Transformers 3 (Transformers: Dark of the Moon).
Anche se sono un fan del mio coevo Joe Letteri, grande disegnatore, esperto di effetti speciali cinematografici digitalizzati, che ha contribuito con il suo talento a realizzare film di grande successo generalmente di genere fantasy, fantascientifico e avveniristico, vincendo quattro premi Oscar, quattro Premi IOMA quattro premi BAFTA e tre premi VES (Visual Effects Society); Io tifo per “L’alba del pianeta delle scimmie”, con effetti non eccessivi e che rendono più avvincente e credibile la storia.
Il grande e pluripremiato John Williams è canditato per la migliore colonna sonora con due film: War Horse ed il molto divertente Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno (The Adventures of Tintin). Ma gli fanno temibile concorrenza: Ludovic Bource con The Artist; Howard Shore, con – Hugo Cabret(Hugo) e Alberto Iglesias con La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy) e, probabilmente, a quest’ultimo andrà quest’anno il premio, perché incornicia il film in modo discreto, pur sottolineandone i contenuti, creando quella condizione che Paul Cloudel definiva dello sguardo “in ascolto” e generando in maniera riuscitissima quella multisensorialità costitutiva dell’ esperienza estetica, che propria del cinema.
Due soli, invece, i finalisti per la migliore canzone: Man or Muppet, di Bret McKenzie, ne – I Muppet (The Muppets)e Carlinhos Brown (musica) e Siedah Garrett (testo) per Real in Rio, nello stesso film di Sérgio Mendez. Credo ce la farà il neozelandese Bret McKenzie, comico, attore, sceneggiatore, musicista e compositore di colonne sonore, che a soli 35 anni è un beniamino del pubblico anglofono, come componente del duo comico musicale “Flight of the Conchords”insieme a Jemaine Clement.
Quanto ai costumi, è noto che il loro apporto in un progetto cinematografico ricopre un ruolo fondamentale, aiutando a definire, a modellare il carattere e l’indole del personaggio, oltre ad aiutare la contestualizzazione storico-spaziale dell’intera opera.
In definitiva, il costume è parte di un linguaggio ancor più basilare, che sotto e sostiene l’azione e la parola. Candidati in questa negletta (ingiustamente) categoria: Lisy Christl per Anonymous; Mark Bridges, per The Artist; Sandy Powell, per Hugo Cabret (Hugo); Michael O’Connor per Jane Eyre e Arianne Phillips , per W.E. – Edoardo e Wallis (W.E.)di Madonna.
Saltano i documentari i corti ed i film di animazione (di cui abbiamo già detto), concludiamo con il montaggio sonoro, che consente l’ordinamento e la composizione acustica di un film, contribuendo, in modo spesso determinante, a conferire alla rappresentazione audiovisiva, tramite l’unione dei suoni e delle immagini in movimento, significato e logica narrativa.
Competono in questa categoria: Lon Bender e Victor Ray Ennis, per Drive; Ren Klyce per Millennium – Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tattoo); Philip Stockton e Eugene Gearty, per – Hugo Cabret (Hugo); Ethan Van der Ryn e Erik Aadahl, per – Transformers 3 (Transformers: Dark of the Moon) e Richard Hymns e Gary Rydstrom, per – War Horse e credo che a vincere sarà la Coppia di “Drive”, un film con un grande senso sonoo di continuità, in ogni singola sequenza, con un taglio che crea un momento di forte continuità della colonna audio con la storia.
Passando invece a “Razzies”, cioè i “Golden Raspberry Awards”, i premi dedicati ai peggiori film dell’ultima stagione cinematografica, una sorta di ironici e iconoclasti anti-Oscar, il fondatore John Wilson, ha rivelato che stavolta la cerimonia si svolgerà il primo di aprile, per far assumere, ancor più, al premio i contenuti di un vero e proprio “Pesce”. “Vogliamo tentare qualcosa di diverso quest’anno”, ha dichiarato Wilson, “Se non andrà bene, torneremo indietro. Ma è un’idea divertente che abbiamo sempre voluto provare”. Le nomination, invece, saranno annunciate il giorno prima la cerimonia degli Oscar, il 25 febbraio. Tra i candidati maggiori figurano Jack and Jill con Adam Sandler, Transformers 3 e The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 1. “Jack and Jill”, con il regista Dennis Dugan che dirige nuovamente Adam Sandler in una ennesimo e vuota commedia romantica, vede nel cast anche Katie Holmes e Al Pacino.
Circa “Trasformer 3”, Vanity Fair l’ha definito “il film con più errori del 2001”, con al secondo e terzo posto della sdpeciali classifica redatta da Movie Mistakes, che raccoglie le osservazioni degli spettatori più attenti e certosini, Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare e X-Men: L’inizio, che si candidano pertanto d’ufficio ai Razzies 2012.
Lo scorso anno, un giorno prima degli Oscar, come d’abitudine dal 2007, i Razzie per peggior film, peggiore sceneggiatura e peggiore regia sono stati assegnati L‘Ultimo Dominatore dell’Aria, di M. Night Shyamalan, che dopo “Il sesto senso” di film non ne azzecca più uno.
Circa i “Globi d’Oro”, assegnati a New York il 16 gennaio, tre sono andati a “The Artist” (con premiati anche i due protagonisti: Jean Dujardin e George Clooney), due a Paradiso “Amaro”; due alla Weinstein Company, e altrettanti a Fox, Sony e Paramount.
Trionfo personale di Martin Scorzese che si aggiudica il premio quale miglior regista, mentre per la sceneggiatura vince Woody Allen, clamorosamente assente alla serata, per “Midnight in Paris”.
Migliore attrice con “The Lady”, sulla vita della Teacher, Maryl Streep, con Michelle Williams, premiata per “My Week With Marylin”.
Migliori non protagonisti Octavia Spencer per “The Help e Christopher” Plummer per “Beginners”, con “Masterpiece” di Madonna, inserita nel suo da W.E., eletta miglior canzone.
Il premio al migliore film straniero è invece andato una separazione, che ha battuto sul filo di lana “Terraferma” di Crialese, favorito della vigilia; un film, quello dell’iraniano Asghar Farhadi, decisamente lento, scientifico e implacabile, ma anche meno poetico ed emotivo di quello italiano.
Carlo Di Stanislao
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