“Chiunque si pone come arbitro in materia di conoscenza, è destinato a naufragare nella risata degli dei”(Albert Einstein). La Natura aborre il vuoto sismico. A 35 mesi dal disastroso terremoto di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti), in piena Emergenza Neve, l’unica lezione finora impartita da quel drammatico evento non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi civili del mondo. Le nostre città continuano ad essere molto esposte alle catastrofi naturali causate dall’uomo. Le Tredici Raccomandazioni della International Commission on Earthquake Forecasting for Civil Protection per salvarsi dal terremoto, espresse nel 2009 dagli scienziati di tutto il mondo all’indomani del sisma aquilano, attendono di essere applicate. La situazione sismica italiana è nota (www.emsc-csem.org) anche a livello euro-mediterraneoalla vigilia dell’Egu Spring Meeting della European Geosciences Union di Vienna (22-27 Aprile 2012,http://meetings.copernicus.org/egu2012/).Lo status sismico, idrogeologico e tettonico del Gran Sasso e dei Monti della Laga, e dell’Appennino centro-settentrionale interessato dalle forti scosse sismiche di questi ultimi giorni, è sotto il costante monitoraggio dei geo-scienziati. Nella maggior dei casi le tragedie naturali si possono evitare con il giusto grado di approntamento: in primis grazie a un costante, corretto, comprensibile, capillare contributo scientifico e divulgativo sulle tematiche che investono direttamente, con estrema urgenza, la conoscenza, la ricerca, gli investimenti e le soluzioni tecnologiche per garantire la reale efficace delle misure di protezione civile necessarie per la sicurezza dei cittadini, delle coste, delle abitazioni e delle città. La salvezza comincia da una libera opinione pubblica informata, cioè realmente “sovrana”, in grado di indirizzare le Istituzioni con proposte, progetti, programmi e soluzioni concrete grazie anche ai dispositivi portatili (Apple) più avanzati oggi disponibili. Sempre sulla base delle conoscenze offerte dal mondo della scienza e della tecnologia, le cui fucine risiedono nelle Università, negli Istituti di ricerca e nei centri di eccellenza che sono il latte del Prodotto Interno Lordo. Naturalmente bisogna agire prima delle catastrofi. Prevenire è sempre meglio che curare. Da una corretta informazione, in collaborazione con gli scienziati, i ricercatori e i tecnici, può nascere l’idea di un concreto Progetto nazionale finalizzato, come Grande Opera Pubblica, alla totale messa in sicurezza anti-sismica ed anti-alluvionale dell’Italia prima della fine del XXI Secolo. Mille proroghe e mille condoni permettendo! Allora, il tuo Comune ha un Piano di Protezione Civile secondo la Legge e non secondo il politichese? Il tuo Sindaco, con i suoi poteri, è in grado di offrire una risposta comprensibile, esaustiva ed efficace? Le vie di comunicazione del tuo Comune sono facilmente accessibili ai mezzi di soccorso? La tua casa è in sicurezza anti-sismica ed anti-alluvionale? I campanelli di “attenzione” non mancano. Ecco i primi dell’anno. Due sono stati gli eventi sismici significativi in Italia: il terremoto in provincia di Reggio Emilia del 25 Gennaio 2012 di magnitudo locale M=4.9; e l’evento sismico in provincia di Parma del 27 Gennaio 2012 di magnitudo locale M=5.4. Il terremoto localizzato nella Provincia di Reggio Emilia alle ore italiane 09:06 presso i comuni di Brescello, Poviglio e Castelnovo di Sotto, aveva una profondità ipocentrale stimata pari ai 33 km. Sono state registrate varie repliche di energia piuttosto bassa. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha realizzato delle mappe di scuotimento del suolo calcolate a partire dai dati delle reti sismiche e accelerometriche dell’Ingv, nelle quali sono rappresentati i valori di intensità macrosismica stimata MMI (Modified Mercalli Intensity) e quelli di PGA (Peak Gorund Acceleration) in percentuale dell’accelerazione di gravità. “Il risentimento previsto – si legge nella Relazione ufficiale dell’Ingv – è pari al IV-V grado MMI ed è esteso su gran parte della Pianura Padana, interessando diverse province dell’Emilia Romagna e della Lombardia. Le accelerazioni misurate alle stazioni della Rete Sismica Nazionale hanno raggiunto il valore massimo di 2.6 (in % dell’accelerazione di gravità, ossia 0.026 g) alla stazione posta a Parma, mentre si stima un’accelerazione di poco superiore a 2.7 in percentuale di g nella zona epicentrale”. Tramite il questionario on line “Hai sentito il terremoto?”, è stata “ricostruita una prima mappa dei risentimenti macrosismici prodotti dal terremoto che confermano l’ampio risentimento che ha avuto il terremoto nella Pianura Padana come dedotto dalle mappe di scuotimento”. Maggiori informazioni e aggiornamenti sono disponibili sul sito http://terremoto.rm.ingv.it/index.php?page=explain. “Queste mappe sono ottenute dalla compilazione diretta sul web dei questionari macrosismici senza verifiche puntuali e in sito, che sono in corso”. L’Ingv ha analizzato il terremoto nel contesto storico e della sismicità strumentale degli ultimi anni. “L’area in oggetto nei precedenti tre mesi non è stata interessata da sismicità. Il terremoto è stato il più forte evento sismico registrato dal 1996 entro i 30 km dall’epicentro, mentre più a sud si è verificato un terremoto di magnitudo locale 5.2 il 23 Dicembre del 2008. Anche il terremoto del 2008 è avvenuto a profondità intorno ai 30 km. Il terremoto del 1996 ha interessato un’area circa 15 km a Est rispetto all’epicentro” dell’attuale terremoto “ed è avvenuto a profondità leggermente inferiori”. Le informazioni storiche derivano dal catalogo denominato CPTI11 (Rovida et al., 2011; disponibile sul sito http://emidius.mi.ingv.it/CPTI11/) e indicano che le magnitudo dei terremoti che hanno interessato l’area in oggetto non sono state superiori a 5.5 e hanno interessato una fascia posta al limite tra la pianura e i primi rilievi dell’Appennino”. L’ingv ha altresì evidenziato che il terremoto, nel contesto della pericolosità sismica nazionale, sulla base di tutte le conoscenze scientifiche al momento disponibili riassunte nella Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale (GdL MPS, 2004; rif. Ordinanza PCM del 28 aprile 2006, n. 3519, All. 1b) dalla quale si rileva che l’area in oggetto è a medio-bassa pericolosità, è “frutto di una normale attività tettonica naturale”. Il terremoto di magnitudo locale 5.4 localizzato nella Provincia di Parma, registrato alle ore italiane 15:53 presso i comuni di Berceto, Corniglio, Monchio delle Corti, Solignano, Mormorola, tutti entro i 15 km dall’epicentro, è avvenuto alla profondità ipocentrale stimata a circa 60 km. “Sono state localizzate delle repliche di magnitudo locale (Richter) di 2.7, 3.2 e 2.0”. L’epicentro è localizzato al confine tra Emilia Romagna e Toscana. Sono disponibili le mappe dello scuotimento previsto del suolo. “Il risentimento, pari al IV grado MMI, interessa la provincia di Parma e alcuni comuni delle province adiacenti. Le accelerazioni misurate alle stazioni della Rete Sismica Nazionale hanno raggiunto il valore massimo di 2.5 (in percentuale dell’accelerazione di gravità, ossia 0.02 g) alla stazione più vicina all’epicentro, mentre si stima un’accelerazione circa uguale a 2 (in percentuale di g) nella zona epicentrale”. È stata ricostruita una prima mappa dei risentimenti macrosismici prodotti dal terremoto che confermano un ampio risentimento del terremoto in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, come dedotto dalle mappe di scuotimento ottenute dalla compilazione diretta sul web dei questionari macrosismici. “L’area prossima all’epicentro (entro 20 km) del terremoto nei precedenti tre mesi non è stata interessata da sismicità. Si osserva, invece, che il terremoto segue una serie di terremoti con magnitudo maggiore di 4.0 che dal Luglio del 2011 sta interessando la Pianura Padana, incluso il M 4.9 del 25 Gennaio avvenuto in provincia di Reggio Emilia e il M 4.3 del 27 Luglio fortemente risentito a Torino”. Secondo l’Ingv “i terremoti che hanno interessato l’area sono localizzati prevalentemente sul versante toscano dell’Appennino e le loro magnitudo non sono state superiori a 6”. I terremoti più rilevanti dell’area sono quello del 14 Febbraio 1834 in Lunigiana (M 5.8) e quello del 7 maggio 1481 in Garfagnana (M 5.6). Il terremoto del 1873, localizzato nella Valle del Parma (M 5.4), presenta una distribuzione degli effetti simile a quella del terremoto odierno. Terremoti con magnitudo inferiore sono avvenuti nel 1940, con localizzazione a pochi chilometri dall’epicentro di quest’ultimo evento e con M = 5, nel 1903 e nel 1545, entrambi con M 5.2. Circa 40 km a Sud-Est dell’evento, vanno ricordati il terremoto del 1920 in Garfagnana meridionale, di magnitudo intorno a 6.5 e quello del 1837, di M 5.8. “Tutte le conoscenze scientifiche al momento disponibili sono riassunte nella Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale (GdL MPS, 2004; rif. Ordinanza PCM del 28 aprile 2005, n. 3519, All. 1b) dalla quale si rileva che l’area in oggetto è a pericolosità media”. Questi terremoti ci ricordano che l’Italia è un paese sismico e che dobbiamo convivere con questi fenomeni naturali. La prevenzione deve essere perseguita costantemente indipendentemente dall’occorrenza di eventi di piccola o moderata magnitudo, come quelli che stanno interessando in questi giorni la Pianura Padana. Cosa succede sotto i Monti della Laga e del Gran Sasso d’Italia? Per il professor Antonio Moretti dell’Università di L’Aquila, che ringraziamo vivamente per il generoso contributo offerto, le aree interessate dai recenti terremoti nell’Appennino Emiliano sono periodicamente caratterizzate da eventi simili, tuttavia esistono zone più “pericolose” di altre come rilevano i suoi Studi. “In realtà ho fatto parecchie ricerche sull’Appennino Tosco-emiliano agli albori della mia esperienza di geologo-sismotettonico, negli ultimi Anni ’80 – rivela il prof. Antonio Moretti – ho lavorato con il gruppo di sismotettonica dell’Università di Pisa: prima per una ricerca sulla sismicità della Garfagnana-Lunigiana finanziata dall’Enel per problemi di stabilità delle dighe (era ancora fresco il Vaiont…), poi con il Progetto Sismica della Regione Toscana, attivato a seguito del famoso allarme sismico della Garfagnana del 1985. Dopo tre anni di lavoro, non solo mio ma di gente che ha veramente i santissimi appesi sotto il cavallo dei pantaloni, come il professor Paolo Scandone allora membro anche della Commissione Grandi Rischi, partorimmo un dettagliato Rapporto in cui si raccomandava di rivedere la classificazione sismica di alcune aree importanti dell’Appennino Tosco-emiliano, considerate da noi ad elevato rischio sismico”. Che fine ha fatto quel Rapporto ufficiale? “Inutile dire che del Rapporto non ne è stato fatto uso alcuno, ma riprenderemo il discorso alla fine della trasmissione!”. Torniamo alla geologia, o meglio alla “sismotettonica”, cioè a quella branca delle Scienze della Terra che studia i rapporti tra le deformazioni della crosta terrestre, le grandi strutture tettoniche regionali e l’attività sismica che da esse si sviluppa: prof. Moretti cominciamo dall’inizio, cioè da tanto tempo fa…“Più o meno all’inizio del Terziario, alcune decine di milioni di anni fa, lo scenario delle nostre regioni mediterranee era molto diverso dall’attuale. Tutte le formazioni rocciose che attualmente costituiscono l’ossatura della catena dell’Appennino, da La Spezia fino alle montagne del Pollino, erano ancora grandi banchi corallini che prosperavano in un mare subtropicale che occupava la posizione dell’attuale Mar Mediterraneo. Corsica, Sardegna e Calabria facevano ancora parte del margine europeo, più o meno nella zona che ora prende il nome di Golfo del Leone, tra Nizza, Tolone e Barcellona. La futura catena Appenninica aveva appena iniziato a formarsi lungo questo margine continentale, spinta dai movimenti di convergenza tra Africa ed Europa. Circa 25 milioni di anni fa Corsica, Sardegna, Calabria ed isole Baleari cominciarono a staccarsi dal resto del continente europeo, lasciando spazio ad un mare che oggi si chiama, appunto, Balearico”. Il motivo di questo distacco? “Tra una piattaforma corallina e l’altra, si trovavano ancora ampie porzioni del fondo di un antico oceano, che i moderni geologi hanno chiamato Tetide. Queste plaghe di antica litosfera vecchie più di 100 milioni di anni, fredde e pesanti, hanno iniziato a sprofondare nel mantello, liberando la loro energia potenziale gravitazionale (come farebbe un mattone che cade sul piede) e richiamando, a colmare lo spazio da loro lasciato libero, i frammenti del continente europeo e la futura catena Appenninica. Via via che la catena avanzava verso il mare, più rapidamente a Sud che non a Nord, inglobava e raccoglieva davanti a sé, come una gigantesca scopa, i frammenti continentali e le barriere coralline che trovava sul suo cammino, impilandole le une sulle altre come grandi tegole fino a formare una catena montuosa definita “a falde di ricoprimento”. Le fasi di questa avanzata, ricostruita con grande dettaglio dai geologi nel corso di più di un secolo di studi, le potete vedere sintetizzate nella figura tratta da un lavoro di Carlo Doglioni, uno dei massimi geologi italiani. Circa 10 milioni di anni fa il sistema si è fermato per qualche istante (non più di un paio di milioni di anni) per poi ripartire dimenticandosi alle spalle un paio di pezzi di litosfera: Baleari, Corsica e Sardegna. Dal Messiniano ad oggi l’Appennino ha continuato la sua avanzata verso il mare Adriatico, ruotando progressivamente in senso antiorario fino ad occupare la posizione attuale e lasciando spazio al Mare Tirreno (in verità un piccolo oceano a tutti gli effetti, con tanto di dorsale centrale). La Calabria invece ha preferito fare per conto suo, separandosi dal resto dell’Appennino secondo una specie di “binario” trasversale ed avanzando verso Est di alcune centinaia di chilometri verso il mare Ionio”. Che cosa sta accadendo sotto l’Italia? “La situazione attuale del bacino mediterraneo, semplificata, la potete vedere in figura. Tornando ai terremoti del Parmigiano, si nota una sezione della struttura dell’Appennino tosco-emiliano, tagliato in senso SW-NE; il disegno è valido tanto per l’Appennino settentrionale quanto per quello centrale e, con poche varianti, anche per quello Abruzzese. La crosta, meglio dire la litosfera, adriatico-padana è vecchia e pesante e pian piano si piega ed affonda sotto l’Appennino. Così facendo libera la sua energia potenziale (il famoso mattone che affonda) e produce lavoro. Questo lavoro richiama dal mantello inferiore astenosfera calda (chiamata “soffice” perché caratterizzata da basse velocità delle onde sismiche) la quale, espandendosi, spinge verso l’alto la catena appenninica. Questa a sua volta, crescendo e rompendosi al suo interno, scricchiola e produce quelle onde elastiche che noi chiamiamo terremoti. Gli eventi sismici che si sono verificati pochi giorni fa, a profondità di 33 e 60 km, sono legati giustappunto all’affondamento della litosfera padana, come tutti i terremoti che si sono verificati anche nel passato sul margine esterno dell’Appennino. Significativo a questo proposito è quello del 25 ottobre 1972, più o meno gemello dell’attuale, anche se leggermente più profondo. Proprio perché relativamente profondi, questi terremoti “esterni” distribuiscono la loro energia su di una porzione di territorio molto ampia, producendo intensità locali relativamente modeste, storicamente non superiori al grado VIII della scala Mercalli. Diciamo una bella botta che però non butta giù le case. Una bella differenza”. Cosa è possibile dedurre? “Proprio la loro semplice presenza, tuttavia, è la testimonianza che il sistema geodinamico profondo, il “motore” della sismo tettonica nord-appenninica, è ancora attivo. Sotto l’Appennino sono ancora presenti relitti della vecchia litosfera adriatico-padana, in grado di produrre e cedere energia alle strutture di superficie, quelle in diretto contatto con le comunità umane, cioè le vallate interne dell’Appennino, dalla Lunigiana alla Val Nerina, passando per la Garfagnana, il Pistoiese, il Mugello, il Casentino, Colfiorito, il Reatino, ecc.. Queste prima o poi cederanno, come hanno già fatto in passato, e genereranno i loro terremoti. Naturalmente non so dirvi quando”. Perché è utile e saggio rispolverare il Rapporto ufficiale del Progetto Sismica? “Alla fine delle nostre ricerche sull’appennino Tosco-emiliano dimostrammo che in campagna le strutture tettoniche superficiali erano praticamente continue tra Lunigiana e Mugello, quindi anche dal punto di vista sismico ci saremmo dovuti aspettare una continuità delle strutture profonde. Che questa continuità cinematica esista, lo dimostra anche la continuità tra il terremoto del Mugello del 29 giugno 1919 e quello della Garfagnana-Lunigiana del 7 settembre 1920. Dalle mappe delle isosiste (allora si andava con la china…) è evidente un “buco” sismico in corrispondenza della zona di Bagni di Lucca (dove vi sono fortissime risalite termali di gas profondi e radon) e S. Marcello Pistoiese. Purtroppo, proprio l’assenza da lungo tempo di forti terremoti, invece di fare aumentare la prudenza, ha fatto sì che la zona fosse declassata come “non sismica” nella zonazione del 1984 (mentre lo era nelle mappe del Regio Ufficio Geologico). Il vostro Rapporto scientifico sarà pur servito a qualcosa?“Nonostante il nostro Rapporto, la classificazione non è cambiata negli anni a venire, e quindi rimane sottovalutata anche nelle mappe di pericolosità che su tali dati si basano. Nella zonazione 2010, alcuni comuni sono stati inseriti…Meglio tardi che mai! A proposito della zonazione 2010, noto che L’Aquila rimane in zona 2”. Per collegare ciò che succede nel Nord-Appenino con la situazione abruzzese, cosa bisogna considerare rilevante? “È da rimarcare il fatto che la stessa struttura (litosfera antica che si immerge sotto la catena) prosegue fino all’altezza dei monti Sibillini, poi nei due archi gemelli del Gran Sasso e della Maiella, sostanzialmente identica. Dalla Maiella verso Sud, le piattaforme carbonatiche e le relative pieghe si nascondono sotto le Falde molisane. Sono conosciute anche in sottosuolo per l’estrazione di idrocarburi (Casoli-Bomba, Val d’Agri, ecc.) così come i terremoti del parmense, anche il nostro margine esterno ha i suoi, tutti relativamente profondi e legati al piegamento della piastra adriatica: Ascoli Piceno, Macerata, Teramo, Lanciano, ecc.; le nostre vallate aquilane e sulmonesi, invece, sono il prolungamento dei bacini già descritti, come il Reatino e la Val Nerina. Più a Sud si va, più i terremoti divengono frequenti: in Irpinia si ripetono ogni poche decine di anni”. Anche la Calabria è a forte rischio sismico: quanta energia è in grado di liberare? “La Calabria è un altro discorso perchè ad affondare sotto la catena è il mare Jonio che è un frammento oceanico vero e proprio ed ha energia da vendere. Qui i terremoti sono veramente disastrosi”. Gli scienziati, i ricercatori e i tecnici non sono maghi, profeti, veggenti e capri espiatori: spetta ai Politici, democraticamente eletti, assumersi tutte le responsabilità nell’interpretazione dei dati e nelle successive fasi operative. Tutti sappiamo che la Protezione Civile Nazionale nel 2011 è stata “commissariata”, cioè depotenziata rispetto ai poteri che aveva ai tempi di Guido Bertolaso, come evidenziato dall’attuale responsabile Franco Gabrielli (http://www.protezionecivile.gov.it/). In queste condizioni non è facile, in caso di emergenza e di forza maggiore, decidere immediatamente (quando occorre salvare subito le vite umane) cosa fare mettendo in sinergia forze, competenze, autorità di ogni ordine e grado, capacità e comandi che fanno capo a soggetti molto diversi tra loro. Il coordinamento burocratico tra lo Stato e il territorio richiede tempo prezioso. In caso di emergenza e di forza maggiore su chi contare? Occorre ricordare che il Dipartimento della Protezione Civile Nazionale ha attivato dal 4 luglio 2011 il numero verde 800.840.840 che è un servizio d’informazione per i cittadini ed è a disposizione dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18 per chiunque desideri avere informazioni o fare segnalazioni che riguardano le attività di competenza del Dipartimento della Protezione Civile. Con le stesse finalità, è previsto che il servizio sia esteso H24 anche in situazioni di emergenza, ma sia in ordinario sia in emergenza non sostituisce i tradizionali numeri di soccorso (115, 112, 113, 118) a cui i cittadini devono sempre far riferimento. Non bisogna poi confondere le aree di competenza istituzionali e i relativi settori di studio e sviluppo tecnologico dei vari Istituti nazionali di ricerca. Ad esempio, quali sono le funzioni dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia? “Intorno alla metà degli anni ’30 del secolo scorso – spiega il professor Domenico Giardini Presidente dell’INGV – Guglielmo Marconi, allora presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, propose la creazione di un istituto che promuovesse ed eseguisse, coordinandoli, studi e ricerche sui fenomeni fisici della Terra e sulle loro applicazioni pratiche. La disposizione presidenziale firmata dallo stesso Marconi nel novembre del 1936 dava vita all’Istituto Nazionale di Geofisica (ING) dotandolo di quattro geofisici e quattro tecnici e di un ambizioso programma scientifico. Tra le attività scientifiche previste primeggiava la sismologia, ma si intendeva approfondire anche altri settori della fisica terrestre come la fisica ionosferica, l’elettricità atmosferica e terrestre, le radiazioni naturali e l’ottica atmosferica, il geomagnetismo. Su tutti questi temi l’Istituto Nazionale di Geofisica ha rappresentato un caposaldo della ricerca italiana per oltre 40 anni. Il terremoto dell’Irpinia del 1980 ha imposto una prima importante svolta; l’ING è stato chiamato ad accompagnare lo sviluppo della nuova Protezione Civile – quella che si era già distinta dopo il terremoto del Friuli del 1976 – diventandone uno dei pilastri portanti. Venti anni dopo, l’ultima e definitiva svolta: nel 1999 nasce l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV, d.l. 29.9.1999 n. 381) dalla confluenza dell’ex-ING, dell’Osservatorio Vesuviano di Napoli e di alcuni istituti affini per vocazione scientifica, già parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche, quali l’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania, l’Istituto di Geochimica dei Fluidi di Palermo e l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico di Milano. Si apre così una nuova pagina nella storia della Geofisica e delle Scienze della Terra in Italia. Oggi l’INGV è uno dei centri di ricerca più influenti al mondo nei settori della Sismologia, della Vulcanologia e della Geofisica Ambientale. L’INGV opera sotto il controllo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed ha come obiettivo principale quello di migliorare le conoscenze dei fenomeni naturali che nel loro insieme costituiscono la dinamica del nostro pianeta. Da un decennio, l’INGV è diventato un Centro di Competenza del Dipartimento della Protezione Civile per le tematiche relative a quasi tutti i rischi naturali”. Sicuramente da integrare e potenziare (in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e il Cnr) sono le competenze sui potenziali rischi derivanti da scenari di impatti cosmici e delle altre fenomenologie celesti, rilevanti su scala regionale e planetaria, come l’esplosione di Supernovae, gamma busts e novae. Oggi i sismologi dell’INGV sono in grado di localizzare (www.ingv.it) l’ipocentro del terremoto e di stimare la magnitudo nel giro di pochi minuti, anche per eventi debolissimi non percepiti dalla popolazione. Oltre una fissata soglia di magnitudo, queste informazioni vengono immediatamente comunicate alla Sala Operativa della Protezione Civile e al Ministero dell’Interno per organizzare i soccorsi in caso di necessità. L’INGV dispone di una poderosa infrastruttura di monitoraggio geodetico per misurare le deformazioni del suolo delle aree sismiche e vulcaniche (anche sottomarine) per scopi di ricerca e protezione civile. Nello Studio geologico-strutturale delle aree potenzialmente sismogenetiche della Toscana settentrionale del professor Antonio Moretti (Progetto Finalizzato Sismica, 7 Luglio 1989, Conclusioni, pag. 41) si raccomanda di prestare la massima attenzione “al vistoso buco in corrispondenza dell’area pistoiese”(cf. Studio geologico-strutturale della Garfagnana (febbraio 1988) a cura del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, Rapporto finale).E cioè “proprio l’assenza da quasi 700 anni in un’area tettonicamente e sismicamente attiva indica nella fascia appenninica pistoiese l’area della Toscana attualmente a maggior pericolosità sismica e fa ritenere estremamente probabile il verificarsi di un evento sismico disastroso a breve se non a brevissima scadenza”. Lo Studio geologico-strutturale evidenzia altresì, nelle conclusioni ufficiali, che “anche il Mugello non è sede di grandi terremoti da lungo periodo di tempo: nel caso di evento sismico quindi è da tenere presente la possibilità dell’attivazione dell’intera struttura, con effetti ancora più catastrofici di quelli storicamente ricordati”. Seguono le due Raccomandazioni finali:“di procedere quanto prima a riclassificare ad alta pericolosità sismica i comuni di Bagni di Lucca, Pescia, Pitegno, Abetone, Cutigliano, S. Marcello Pistoiese, Pistoia, Sambuca Pistoiese, Granaglione, Cantagallo, Vernio, Marciana, Montale, Montemurlo, Vaiano; di attivare immediatamente ulteriori indagini dell’area, volte da un lato a conoscere meglio i caratteri geologici, cinematici e dinamici degli elementi tettonici implicati nella citata fascia ad alta deformazione, dall’altro a definire i parametri di vulnerabilità ed esposizione delle aree ad alta pericolosità, al fine di poter valutare a breve scadenza il livello di rischio a cui è sottoposta la popolazione ed i possibili provvedimenti da adottare”. Nel frattempo è stata individuata a Vulcano (Isole Eolie) una via preferenziale di risalita del magma, come si legge in uno studio pubblicato on line sulla rivista internazionale Tectonophysics. L’articolo “Relocation and focal mechanisms of earthquakes in the south-central sector of the Aeolian Archipelago: New structural and volcanological insights” a cura di Salvatore Gambino, Vincenzo Milluzzo, Antonio Scaltrito e Luciano Scarfì, è frutto di una ricerca grazie alla quale sono state effettuate localizzazioni precise di terremoti avvenuti tra il 1993 e il 2010 in un’area comprendente Vulcano, Lipari, Salina e Filicudi. Il lavoro delinea la geometria di diverse strutture sismogenetiche attive, una delle quali orientata NE-SW e profonda 3-8 km, che interessa il settore settentrionale dell’isola di Vulcano. Tale struttura per la sua posizione e profondità può rappresentare un collegamento tra due volumi di stoccaggio magmatico, posti a 3-5 km e 7.8-13.5 km, riconosciuti in precedenza (Peccerillo A., Frezzotti, M.L., De Astis, G., Ventura, G., 2006. Modeling the magma plumbing system of Vulcano (Aeolian Islands, Italy) by integrated fluid inclusion geo-barometry, petrology and geophysics. Geology 34, 17-20) attraverso studi petrologici e geofisici. Questa struttura potrebbe quindi rappresentare un percorso preferenziale per la risalita magmatica. Secondo Salvatore Gambino, primo firmatario dell’articolo scientifico, tra le strutture sismogenetiche individuate e il vulcanismo dell’isola “c’è un legame spaziale: il riconoscimento di una struttura sismogenetica che attraversa Vulcano in prossimità di Vulcanello (ultima eruzione nel 1550) ad una profondità tale da interferire con i sistemi più superficiali di magma storage ipotizzati, è già un elemento di rilievo. Inoltre Vulcano si trova in uno stato di quiescenza che è interrotto periodicamente da “crisi” cioè da anomalie nelle temperature e composizione chimica delle fumarole. In diversi casi le “crisi” sono state precedute da sequenze sismiche che si localizzano lungo la struttura da noi individuata e questo fatto suggerisce una relazione tra dinamica della struttura ed evoluzione dei fenomeni vulcanici”. Questi studi aiutano a capire come potrebbe manifestarsi l’eventuale ripresa dell’attività. “La sismicità che si registra nel settore nord di Vulcano è piuttosto bassa e costituita da pochi eventi l’anno di magnitudo non superiore a 2.6. Un’anomalia in termini di numero di eventi e magnitudo segnalerebbe un incremento della dinamica lungo la struttura che potrebbe favorire la risalita del magma”. Per la cronaca, una scossa di terremoto di magnitudo 6.8 gradi sulla scala Richter è stata registrata alle 11.49 locali (le 4:49 in Italia) di lunedì 6 Febbraio 2012 nell’arcipelago delle isole Visayas nelle Filippine. Secondo il Servizio geologico degli Stati Uniti il sisma ha avuto ipocentro a circa 46 km di profondità ed epicentro nelle isole di Negros e Bohol. Il “primo” sisma di sabato scorso aveva fatto registrare una magnitudo 5,6. In stato di allerta il Centro di Emergenza Tsunami del Pacifico con sede alle Hawai: pur non essendoci pericolo di tsunami devastante, ha chiesto alla popolazione dell’isola di Negros di “allontanarsi dalle spiagge e di fare attenzione al livello del mare”. La scossa, di natura tettonica, ha mandato in frantumi delle finestre e causato delle crepe nei muri nelle città di Cebu (isola di Cebu) e San Carlos (isola di Negros). Maggiori informazioni sul sito http://www.philstar.com. Il terremoto ha causato panico tra gli abitanti. L’epicentro è distante una settantina di chilometri a Nord di Dumaguete e Negros, secondo quanto riportato dal Centro terremoti americano USGS che monitora l’attività sismica mondiale insieme all’INGV. Le Filippine si trovano al centro del cosiddetto Anello di fuoco del Pacifico, una vasta regione ad altissima attività sismica e vulcanica, colpita ogni anno da circa 7mila terremoti. E siamo alla vigilia del primo anniversario della catastrofe giapponese di Sendai e del Tōhoku (magnitudo 9) dell’11 marzo 2011 (http://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_e_maremoto_del_T%C5%8Dhoku_del_2011).
Nicola Facciolini
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