Si parla tanto dell’Arte della politica, come del suo periodo peggiore, eppure nell’accezione comune questo termine sta ad indicare la parte più esecrabile della stessa: la retorica. Esercizio, questo, completamente avulso dai nostri politici, poiché davvero è cosa difficile coniugare una forma plausibile per un concetto virtuale, tale e quale quello cui sono chiamati ad esprimere in questo preciso momento storico. Un concetto che vive più o meno lo spazio di vita d’un frammento d’immagine in realtà comporterebbe una conoscenza del “Verbo” non indifferente.
Indifferenza, invece lasciano tutti i messaggi, le dichiarazioni, i commenti che promuovono questi nostri politici, poiché riflettono la luce offuscata di un sistema creato ad arte, in cui però l’Arte non c’è più. Un Sistema che non si ciba più d’immenso! L’immenso, o se volete il vuoto che Jean Paul Sartre riempiva con la”fragilità cosmica dell’umana uguaglianza”, è l’immenso che illuminava il vate Ungaretti. Che poi era la stessa fiammella che muoveva le idee e le coscienze di un secolo sì folle, il Novecento, dove però certe utopie hanno permesso di realizzare il “sistema meno peggiore”, come affermava Popper: la democrazia!
Ebbene, di quell’immenso adesso rimane il nulla, celebrato sopra le ceneri di un sistema che è andato in frantumi; per questo si ritiene che la massima opera d’arte contemporanea è l’immagine continua delle due Torri gemelle che cadono l’11 settembre 2001. Se questa è l’espressione artistica del “nuovo mondo”, la politica è arrivata alla fine della processione, del suo corteo funebre, poiché come Medea ha realizzato tale opera di distruzione di massa, mangiando il sangue del suo stesso sangue: l’Uomo.
E l’Uomo, mai come ora, ha paura di quel silenzio che proviene dalla sua coscienza sociale morente. In questa settimana di grande nevicata in Italia, dove c’è stata una “improvvisa lentezza vitale”, è successo molto. E’ successo che la neve ha prodotto una tale isteria collettiva, dove non solo non ci si è illuminati d’immenso, ma si è spenta la speranza! Di quella voce del silenzio, solo sciame di lamentele. Perché la neve, imponendo una forzata vittoria del pensiero sull’azione, ha svelato di fatto la mancanza dell’esistenza del medesimo nell’uomo di oggi.
Il paesaggio lunare di Urbino, da sempre città ideale nell’Umanesimo, è divenuto – forse non a caso – emblema di questo “nuovo umanesimo”, dove però di umano non c’è rimasto più niente, se non la paura. Una paura da far tanto rumore per nulla.
Sono lontane le nevicate di Leopoli, da dove i nostri nonni tornavano a piedi e quelli che non sono tornati a piedi dall’Est della guerra sono rimasti sepolti nella neve. Ma sono lontane anche le nevicate di Amarcord, di Fellini, quando il freddo era un bellissimo pretesto per riscaldarsi l’uno sopra l’altro, sulla paglia. Ma d’altronde allora si leggeva Tolstoj, oggi si legge Volo, con tutto il rispetto per Fabio. La fine non può che essere una tremenda caduta … a meno che non si cada sulla neve, dove se non ci si congela si spera almeno ci si svegli!
Antonella Ventura
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