“Dove sono i nostri figli?”. Uno striscione bianco con una scritta rossa in arabo è stato appeso oggi pomeriggio davanti all’ambasciata della Tunisia a Roma, dai genitori e i fratelli dei circa 800 tunisini (250 nella sola Tunisi), scomparsi da quasi un anno, nel tentativo di raggiungere il nostro paese. Una piccola delegazione composta da una madre, un padre, una sorella e uno zio, in rappresentanza dei tanti parenti che in patria aspettano di sapere che fine hanno fatto i loro congiunti, sono tornati a chiedere notizie organizzando un presidio nella sede di via Asmara. In mano hanno tutti almeno una foto. Tra queste spiccano quelle di un servizio del Tg5, andato in onda a fine marzo del 2011, e che i familiari hanno vivisezionato, fotogramma per fotogramma, riconoscendo i volti dei propri cari. Immagini che costituiscono una prova dello sbarco di questi ragazzi sulle coste della Sicilia. Ma da allora non si sa più che fine abbiano fatto: se siano stati portati in un Cie, in un carcere o se abbiamo lasciato il paese. O se ancora abbiano fornito false generalità per non essere rispediti in patria. Ipotesi queste ultime che i familiari rifiutano categoricamente, perché -dicono- “si sarebbero messi in contatto con noi per dirci che stanno bene”.
Mehersia, madre di Mohammed, 19 anni partito dalla Tunisia a metà marzo del 2011, è a Roma in rappresentanza delle 250 mamme di Tunisi. “Hanno mandato me perché sono la più lucida in questo momento, le altre stanno impazzendo dal dolore – racconta -. E’ una sofferenza quotidiana non sapere dove sono i nostri ragazzi. Chiediamo una sola cosa: ridateci i nostri figli. Aiutateci a sapere che fine hanno fatto”. Anche lei ha in mano le foto del servizio del Tg5, suo figlio si vede in una sequenza mentre all’interno di un pullman grida da un finestrino: “No Tunisia!”. Le ultime notizie lei le ha avute da un amico di Mohammed che si trovava sulla sua stessa barca e che alle 21:30 del 14 marzo ha chiamato casa per dire che stavano arrivando in Italia e che vedevano gli scogli di Lampedusa. Mehersia è in Italia dal 28 gennaio, e in Sicilia ha chiesto informazioni in tre centri per minori mentre non è riuscita a entrare nel Cara di Caltanissetta per verificare se suo figlio fosse lì.“Cerco mio figlio, voglio solo sapere dov’è”, ribadisce Nourredim padre di Karim, partito il 29 marzo da Tunisi. Anche lui sa per certo che suo figlio ha toccato il suolo italiano. Così come Imez, che cerca i suoi due nipoti di 27 e 30 anni. “Sono sicuro che sono arrivati a Linosa, li ho riconosciuti in un servizio televisivo – sottolinea -. Bisogna risolvere questo problema, le loro madri stanno malissimo. E’ impossibile che siano andati all’estero, ci avrebbero chiamati. Pensiamo che siano rinchiusi da qualche parte”. Hajer, aspettava suo fratello Maher, 28 anni, a Roma. A chiamarla è stata un amico, dicendo che avevano raggiunto insieme la capitale. “Non sappiamo molto, speriamo solo che siano vivi perché molti altri siamo sicuri che sono morti in mare” afferma.
La delegazione oggi è riuscita a farsi ricevere all’ambasciata della Tunisia. “Siamo soddisfatti di questo incontro perché almeno le autorità stanno prendendo in considerazione il problema”, sottolinea Rebecca Kraiem dell’associazione “Giuseppe Verdi” di Parma che insieme ad altre associazioni, come la “2511” e “Pontes”, sta sostenendo i parenti in questa battaglia. “Chiediamo al governo italiano di aiutarci per risolvere la questione per vie legali”. Resta infatti il problema delle impronte digitali (previste sui documenti ufficiali), che il governo tunisino si rifiuta di fornire all’Italia e che permetterebbero di capire se alcuni dei ragazzi si trovano attualmente nei Cie o nei Cara. Con lei anche Rabih Bouallegue, in rappresentanza dell’ong tedesca “Borderline Europe” e del “Front national de concorde”, che punta il dito contro il console tunisino a Palermo, reo di aver diffuso false informazioni sulla sorte dei ragazzi arrivati in Italia. “Dice di sapere dove sono, ma di non volerlo dire – accusa -. Cosa ancor più grave ha detto che un barcone è stato affondato dalla Marina italiana, e a seguito di questa affermazione ripresa da un quotidiano tunisino, il padre di un ragazzo scomparso ha avuto un infarto. Noi chiediamo che sia rimosso dal suo incarico”. Dopo il presidio di oggi i familiari resteranno a Roma ancora per alcuni giorni, entro martedì aspettano infatti risposte dalle autorità italiane. (ec)
Lascia un commento