Consumo di suolo e armatura verde della città – territorio

Il territorio aquilano oggi è attraversato da progressivi fenomeni di depauperamento, che vanno da situazioni di frangia urbana, variamente frammentate, a situazioni di dismissione delle aree agricole, particolarmente intense nell’ultimo decennio, nei riguardi delle quali si pone un problema di riconversione. Ciò richiede l’avvio di una ricognizione preliminare delle condizioni strutturali degli spazi aperti, finalizzata […]

Il territorio aquilano oggi è attraversato da progressivi fenomeni di depauperamento, che vanno da situazioni di frangia urbana, variamente frammentate, a situazioni di dismissione delle aree agricole, particolarmente intense nell’ultimo decennio, nei riguardi delle quali si pone un problema di riconversione. Ciò richiede l’avvio di una ricognizione preliminare delle condizioni strutturali degli spazi aperti, finalizzata alla formulazione di un’ipotesi di scenario di “armatura verde”, in sintonia con i nuovi modelli di agricoltura urbana ispirata alla tradizione. Oggi “l’agricoltura urbana sta vivendo un boom e viene praticata da ottocento milioni di persone in tutto il mondo”. Questa frase tratta dal libro di John Thackara In the Bubble, offre uno spunto di riflessione sulla portata di un fenomeno ricco di potenzialità per il futuro di L’Aquila. L’agricoltura urbana, infatti, oltre ad essere motivo di aggregazione sociale o utile e piacevole passatempo, può assumere funzioni importanti. Thackara scrive: “fino al quaranta per cento dell’impronta ecologica di una città moderna è riconducibile ai suoi sistemi alimentari, ossia al trasporto, all’imballo, al deposito, alla preparazione e allo smaltimento di ciò che mangiamo.” Il sistema agricolo urbano potrebbe infatti rispondere alle esigenze di approvvigionamento alimentare a chilometro zero, instaurando così un circolo virtuoso ed ecocompatibile. L’integrazione tra potenziale agricolo, paesaggistico e ambientale va perseguita in una chiara regolamentazione degli usi del suolo. Prenderebbero corpo così le proposte di valorizzazione, gestione e apertura al pubblico di un congruo numero di spazi naturali e agricoli periurbani. Dopo il terremoto del 1703, l’Aquila conserva gran parte del suo impianto originario e, come mostra la pianta del Vandi del 1753, tra il “costruito” e le mura è presente un’apprezzabile corona riservata alle colture ortive. Spesso cedute con la porzione di mura a cui sono addossate, queste fanno parte di una complessa rete di paesaggio agrario che, estendendosi a comprendere l’intera città-territorio, è contraddistinta da contrade specializzate in funzione del tipo di produzione e della distanza dal centro abitato. La fascia degli orti è quella più prossima all’aggregato di case. Generalmente recintati, gli orti contengono anche le vigne e le piante da frutta. L’intimità dei legami che uniscono l’abitato urbano al quartiere oricolo si spiega nel ruolo essenziale svolto dal concime d’origine domestica, il trasporto e la sua distribuzione. Nonostante il massiccio processo di urbanizzazione e artificializzazione dei suoli e il progressivo abbandono delle aree agricole meno produttive, ancor oggi, a l’Aquila, fuori le mura, permangono pratiche di un’agricoltura residuale, di tipo quasi amatoriale, riscontrabili fuori porta Rivera e porta Roiana e in alcuni piccoli contesti, prevalentemente localizzati lungo il nastro fluviale dell’Aterno. Lo sconsiderato consumo di suolo, operato in risposta all’offerta abitativa del post sisma – che attinge alla miope visione modernista del secolo scorso – ha reso incontrastata l’avanzata della speculazione fondiaria ed edilizia ed il conseguente proliferare dei quartieri-dormitorio. A seguito di questo modello, la città ha cominciato a decadere (da: “de capitare = non più capitale” del territorio agrario circostante). Tuttavia se siamo stati in grado di progettare modi per renderci la vita difficile, possiamo progettarne altri per risolvere i nostri problemi. L’impatto ambientale dei prodotti, dei servizi e delle infrastrutture che ci circondano si determina, fino all’ottanta per cento, in fase di progetto. La visione di l’Aquila città-territorio slow, fondata sulla metafora delle reti ecologiche, pone l’accento sulla costruzione di una trama verde di agglomerazione, intesa come maglia di spazi naturali e agricoli interconnessi, strutturalmente e funzionalmente diversi, costituiti da zone sensibili da tutelare, zone agricole da valorizzare e spazi aperti di interesse paesaggistico. Lo sviluppo basato sull’integrazione e sull’autosufficienza produttiva, alla fine del XIX secolo, era un concetto imprescindibile e in questa chiave di lettura l’agricoltura non può essere tralasciata; anzi, “il suo modello ciclico di funzionamento va preso come esempio dalle altre discipline economiche.” In tale prospettiva la “trama verde” viene assunta come fattore determinante della qualità della vita degli aquilani, dell’equilibrio sociale e del welfare della città-territorio, impiegata come dispositivo per regolamentare l’incorreggibile dispersione del fenomeno urbano e strutturarne lo spontaneo policentrismo in una visione incentrata sulla tematizzazione di una grande “infrastruttura verde”, chiamata a valorizzare, interconnettere e salvaguardare, tutti gli elementi significativi presenti nell’insieme territoriale aquilano che, dal punto di vista paesistico e funzionale oggi si presenta estremamente frammentato. Nella politica di costruzione di spazi periurbani destinati alla tutela ambientale, alle forme di un’agricoltura sostenibile e al loisir di prossimità, la continuità ecologica si avvia a verificare la propria fattibilità, intercettando, all’interno di un Parco agricolo, destinazioni di uso più estese, contraddistinte:
– dalla tutela, valorizzazione e ripristino delle risorse ambientali, naturalistiche e paesaggistiche;
– dal recupero, qualificazione e rilancio imprenditoriale dell’attività agricola;
– dalla fruizione ludico-sportiva-ricreativa-culturale dei territori specifici del Parco.
L’intento è quello di considerare gli spazi verdi della città non solo come luoghi di separazione del costruito, o solo come luoghi esclusivamente ricreativi, ma anche come luoghi in cui la produzione agricola deve rappresentare un’utilità sociale. Da ciò prende forma il proposito di creare le condizioni favorevoli al mantenimento di un’agricoltura periurbana accessibile e perenne, a dispetto dell’attuale dispersione e frammentazione dei fondi agricoli e far passare una consistente quantità di territorio da un ordinamento di riserva di urbanizzazione, a un ordinamento fatto di zone a vocazione agricola, naturale o ricreativa. Questa visione da una parte è di sostegno al ruolo di riequilibrio socio-ambientale svolto dall’azienda agricola nel contesto metropolitano aquilano, dall’altra è di rinforzo alla funzione produttiva e all’integrazione con il mercato urbano, che può essere strategico in termini di valorizzazione delle produzioni e di sviluppo dei servizi alla competitività.

Giancarlo De Amicis


Lottizzazione orticola all’interno di un “Parco agricolo”.

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