Era il mese di luglio del 1977. Nella piazza del paese rischiarata da un caldo sole aspettavamo il parroco. Tony era con me, il viso teso, l’espressione pensosa. Il parroco venne puntuale, ci aprì la chiesa ed entrammo così nella penombra austera che non riusciva a celare la bellezza e la sobrietà del luogo, in parte ricostruito dopo i danneggiamenti della seconda guerra mondiale. Antonio Giordani si guardava intorno ed avanzava con passo calmo, prudente, quasi nel timore di calpestare qualcosa di prezioso! Lo sguardo vigile di chi ha paura che qualche particolare gli possa sfuggire. Camminavamo al centro della chiesa, tra le file dei banchi, quando ad un tratto si fermò e, fissando lo sguardo sull’angolo a sinistra dell’altare, esclamò: “Là, in quel posto ci mettevamo con mia nonna ogni pomeriggio per la recita del rosario, ai Vespri”. In quello stesso punto s’inginocchiò e con gli occhi lucidi dal ricordo recitò una preghiera, rimanendo per qualche minuto in raccoglimento. Poi lasciò un’offerta al parroco, che prese l’impegno di celebrare una Messa per i suoi defunti, ed uscimmo all’aperto. Nella piazza c’era lo stesso sole di prima, ma il viso di Tony adesso appariva trasformato, disteso, come quello di uno studente che ha appena superato un difficile esame, con la stessa espressione di gioia che si può provare nel ritrovare un oggetto familiare, di valore, che si credeva smarrito per sempre.
Fu così che io, allora diciassettenne, come tutti i miei coetanei con la mente proiettata al futuro, capii il significato vero ed autentico di termini quali MEMORIA, RICORDI, RADICI, AFFETTI PERDUTI. Quella manciata d’intensi minuti improvvisamente mi illuminarono sul significato dei racconti di mio padre, emigrante anche lui per 14 anni tra Venezuela e Australia, e mi furono finalmente chiare le motivazioni della sua scelta di tornare. Mi apparivano in quel momento anche più evidenti e profondi gli stimoli che spingevano i miei zii e cugini ad affrontare periodicamente faticosi viaggi dall’Australia e dal Canada per ritrovare, anche solo per qualche settimana, le proprie radici e gli affetti più cari. Ed ogni volta che ripartivano era sempre evidente la malinconica certezza che le implacabili cesoie del tempo avrebbero reciso, prima o poi, tutto e per sempre!
“Tony l’americano”, come lo chiamava affettuosamente mio padre che gli era cugino, rimase ospite a casa nostra per l’intera settimana ed io, oltre ad improvvisarmi suo giovane cicerone, colsi l’occasione per immergermi nei suoi racconti che per me incarnavano un piccolo sogno americano. Già, Tony era arrivato poverissimo a New York ad 11 anni, insieme ai suoi genitori ed era cresciuto prima a Little Italy e poi nel Bronx, conoscendo la giungla della New York di strada. Ma dopo essersi diplomato, venne assunto come fattorino in una compagnia di assicurazioni dove fece una piccola carriera fino a diventare ispettore. Sposò una ragazza, figlia d’immigrati irlandesi, e riuscì a crescere tre figli, dei quali uno divenne affermato avvocato a New York, il secondo un sottufficiale delle forze militari NATO e la ragazza ingegnere idraulico sempre in giro per il mondo a progettar dighe.
Ma lui, Tony, arrivato all’età di 60 anni – tanti ne aveva allora – non si regalò una crociera o una vacanza in posti esotici e nemmeno in qualche affascinante capitale europea, preferì invece trascorrere sette meravigliosi giorni in uno sperduto paesino dell’Abruzzo montano dove poter calpestare le stesse pietre su cui aveva mosso i primi passi, rivedendo con gli stessi occhi di bambino ma colmi di nuova meraviglia, di incantato stupore, i paesaggi e i luoghi che erano stati per lui la prima finestra sulla vita e sul mondo. Tutto questo, circondato dall’affetto dei cugini che, seppur separati da sempre da un sterminato Oceano, erano rimasti i vicini della porta accanto, grazie a quella capacità di “condivisione” che non sempre è propria dell’animo umano ma che solo una generazione che ha sperimentato privazioni, affrontato sacrifici, coltivato sogni, può avere… La prossima volta, la visita con Tony visitammo alla casa dei suoi nonni, proprio dove lui era nato.
Scipione L’Aquilano
Lascia un commento