Parole fuori misura

Certo, sebbene la teoria economica marxista conti in Italia su una tradizione intellettuale vivace, ben poco oggi resta di essa e nulla vi è in chi si dichiara sostenitore (o sostenitrice) di idee diverse di tipo neo-liberista. Screpanti, in pagine che per acume analitico sono tra le migliori della recente letteratura neomarxista internazionale, sostiene che […]

Certo, sebbene la teoria economica marxista conti in Italia su una tradizione intellettuale vivace, ben poco oggi resta di essa e nulla vi è in chi si dichiara sostenitore (o sostenitrice) di idee diverse di tipo neo-liberista.
Screpanti, in pagine che per acume analitico sono tra le migliori della recente letteratura neomarxista internazionale, sostiene che l’istituzione fondamentale del capitalismo non è l’assetto privatistico dei diritti di proprietà, bensì il contratto di lavoro.
Quest’ultimo ha per oggetto una relazione sociale asimmetrica: qualcuno aliena la propria libertà a qualche altro per un certo numero di ore al giorno.
Ma sappiamo nei fatti e nelle dichiarazioni, che questo governo e su tutt’altra linea e, se ce ne fosse ancora bisogno, la più ricca del gruppo, secondo i dati da un paio di giorni in linea, Anna Maria Cancellieri (che batte anche Passera e surclassa tutti gli altri), ci mette un carico da undici, dichiarando che “non è certo una vergogna” la ricchezza.
A me hanno insegnato che non ci vanta degli agi e dei soldi, ma caso mai di altri valori, ma mi rendo conto, adesso, di essere solo un sopravvissuto in questi tempi, un brontosauro che cerca un “giurassico” da tempo estinto e finito.
Però, anche se ricca in denaro (liquido e “solido”), la Cancellieri si è dimostrata povera in altri campi.
Come quanto, qualche settimana fa, in un’intervista rilasciata a TGcom24, forte del suo stipendio “fisso” e dei suoi altri cespiti e privilegi, ci spiegò cosa voleva dire Monti a proposito del “posto fisso”: “Monti ha voluto sdrammatizzare, non è stato fatto per mancanza di rispetto verso nessuno”. E mentre zelante giustificava il Premier, non si tratteneva e, con grande “rispetto”, si trovava ad offendere le migliaia di giovani costretti a vivere con mamma e papà, perché non trovano lavoro, o, se lo trovano, è sottopagato e precario.
Naturalmente senza nemmeno un accenno ai molti cervelli che Casa Nostra esporta e senza alcuna considerazione sui sacrifici di quei giovani costretti ad andar via dalle loro case per poche centinaia di euro al mese.
Dopo quella intervista e le recenti dichiarazioni sui suoi cospicui redditi, pensando ad un adagio partenopeo che recita “a vucca è na ricchezza, mi viene spontaneo immaginare che la guardasigilli di ricchezza ne avrà anche molta e tutta onestamente guadagnata, ma certo manca di quella del saper tacere o misurare, di volta in volta, le parole.
Sarà che sono teramano, oppure che sono il frutto di altri climi culturali, ma da sempre ho pensato che un grande ammonimento viene dal motto, sopra al bassorilievo che raffigura due volti di profilo che si fronteggiano, entrambi con le lingue sporgenti e trafitte da un compasso aperto, dei Melatino: “”A lo parlare agi mesura” (Misura le parole), poiché, Da Heidegger a Benjamin, da Wittgenstein a Rorty: “le parole sono pietre” con cui doversi continuamente misurare.
Le parole sono pietre, intitolava un suo libro Carlo Levi, denunciandovi la situazione siciliana alcuni decenni fa. Ed anche oggi, almeno per alcuni, quest’espressione può essere colta in tutta la sua polisemia per dire che le parole devono avere un loro peso, una loro gravità, cioè una loro forza ed efficacia, quindi devono avere una corrispondenza biunivoca con la realtà, cioè con dei concetti e con delle cose.
Ma, non solo i due fatti della Cancellieri, bensì molti altri e tutti recenti, ci dicono che sempre più le parole vengono usate con leggerezza, sfruttandone tutte le valenze semantiche, per cui vengono gettate verso gli ascoltatori, subito pronti a cogliere la possibilità di modificarne il valore ed il senso, per dirottare altrove il discorso.
Tutto questo per dire che dietro alle parole non c’è più un pensiero, un’opinione sicura da perseguire, un’idea da realizzare, ma c’è solo l’attenzione all’effetto, il miraggio di raggiungere dei risultati a proprio vantaggio, attraverso il tentativo di provare ed eventualmente modificare o addirittura smentire in caso che si veda che il discorso non va verso dove si vorrebbe, adducendo sovente la scusa di essere stati fraintesi.
Potremmo riprendere i versi di Emily Dickinson : “Alcuni dicono che / quando è detta / la parola muore. /Io dico invece che/ proprio quel giorno / comincia a vivere” (Silenzi: 1212).
Ma forse, tutto questo, ci fa ancora più illusi sopravvissuti, di cui liberarsi in gran fretta.
Anche perché i ricordati Melatino, che alle parole davano valore, furono distrutti ed annientati dai “Mazzaclocchi” prima e dagli Acquaviva poi, due famiglie che sul plus-valore, lo sfruttamento e la diseguaglianza, fondarono la loro fortuna.

Carlo Di Stanislao

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