Da sempre le alte tasse vanno di traverso ai cittadini ed ogni grande rivoluzione liberale è stata alimentata da una rivolta fiscale: la guerra di secessione americana nasce a causa di un diverso regime di imposizione a favore del Nord e delle sue manifatture, passando poi per il famoso principio “no taxation without representation”.
Secondo l’ “Indice delle Libertà Economiche”, in Europa l’Italia è battuta solo dalla Grecia nella graduatoria dei maggiori freni alla crescita rappresentati da troppe imposte, contributi, vincoli all’impresa, rigidità del mercato del lavoro.
“Tasse, tasse, adorate tasse!”, urlava Principe Giovanni, sguazzando tra fila di monete in una carrozza d’oro, nel capolavoro “Robin Hood”, cartone animato della Walt Disney.
Ed anche se sono in molti a pensarla in modo diverso e a dire che le tasse pagate da tutti porterebbero solo ad un aumento della spesa (o dello sperpero pubblico), sconfessando Oscar Giannino, autore nel 2009 del libro “Contro le Tasse”, Mario Monti oggi ha riunito una task force al dicastero in via XX settembre, alla quale hanno partecipato i vertici del ministero e delle agenzie fiscali e, alla fine, ha dichiarato: “”Il fisco sarà più leggero se tutti dichiarano il giusto”.
La riunione è servita in particolare a verificare l’attuazione delle recenti norme volte a dare più incisività alle Agenzie Fiscali nel campo delle verifiche delle dichiarazioni dei redditi e delle fatturazioni, della documentazione doganale, della trasparenza e dei controlli nell’area dei giochi e scommesse.
E, nel corso dell’incontro, si è parlato anche di come dare ulteriore impulso all’attività di semplificazione e supporto al cittadino in regola con il fisco per facilitarne gli adempimenti.
Tornando al libro (e all’idea di Giannino ed altri), non è vero, come molti sostengono, che la successione dei passaggi dovrebbe essere l’abbassamento del debito, quindi il recupero dell’evasione fiscale e, infine ed eventualmente, il taglio delle tasse.
Perché, se la facciamo dipendere dal contenimento del debito pubblico e dal superamento dell’evasione fiscale, è evidente che non si arriverà mai alla riduzione delle tasse.
Ma questa impossibilità non è il prodotto di ragioni tecniche, bensì di constatazioni politiche.
Per cui i “gianniniani” sostenitori del “libero Mercato”, sperano di tornare a fare delle imposte una grande questione nazionale e internazionale di libertà, prima di ogni altra cosa.
Certamente ha ragione Giannino quando sottolinea la portata politica, e non solo finanziaria della questione; uno dei motivi per cui il debito pubblico in Italia è così elevato è da ricondursi ai “costi” della mediazione politica a vantaggio delle corporazioni presenti nel nostro paese (ciascuna della quali ha i propri addentellati nell’apparato statale e nel sistema partitico) e, secondariamente, all’applicazione implacabile, da parte del ceto politico della Prima repubblica (ma non solo, in realtà), delle massima keynesiana in base alla quale “nel lungo periodo saremo tutti morti”, nel senso che, il più delle volte, per i politici quel che conta è sistemare le cose nel presente e per le future generazioni si vedrà.
Altrettanto certamente, da sempre ed ancora oggi, il rapporto della classe dirigente italiana con la propria base ricorda da vicino quel fenomeno che Hegel definiva la “dipendenza del padrone dal servo”: il debito pubblico è funzionale a reiterare una serie di rendite di posizione accanitamente difese dai rispettivi titolari, nei confronti delle quali la politica è per lo più impotente (per non andare lontano si veda il problema del cosiddetto “scalone” nell’ambito della riforma del sistema previdenziale).
E questo, per ora, non sembra cambiato neanche col governo dei tecnici.
La soluzione, per Giannino, è quella proposta da Reagan: “affamare la belva”, ovvero ridurre la spesa pubblica per costringere lo Stato a dimagrire.
Questo, naturalmente, penalizzando scuola e sanità che sono già al lumicino. Insomma, applicare le regole della Scuola di Chicago a l’Italia, porterebbe ad una inedia di quel corpo di tutele sociali che già da molto e fortemente si trovano a languire.
Naturalmente non la penso come Giannino, ma ne rispetto idee e pensiero, diversamente da chi lo ha violentemente contestato e continua a dargli del fascista, a partire dagli studenti della Statale di Milano, che lo hanno rumorosamente insultato nel dicembre scorso.
Assistere a simili spettacoli, vedere un professore come Ichino dover entrare in facoltà sotto scorta, o Caselli rinunciare alla presentazione di un libro perché teme turbative dell’ordine pubblico, davvero mi allarma e mi addolora.
Ed anche se non condivido affatto l’idea, espressa un mese fa dal dandy-Oscar, di riscoprire la disubbidienza fiscale; non mi sento per questo di dover scendere a livello dell’insulto e della minaccia personale.
Così come non condivido chi manda bombe e proiettili a Befera, all’Agenzia delle Entrate ed anche Equitalia, e non solo perché loro fanno il proprio mestiere, ma soprattutto perché non condivido coloro i quali sanno esprimersi solo in modo violento.
Anche se sono convinto che ogni più sacro fondamento del diritto di persone e individui viene da anni sempre più calpestato, in materia fiscale, perché lo Stato, assetato di risorse, si dà ragione nel diritto e nella giurisprudenza; non posso per questo tollerare che spara insulti, proiettili o minacce di morte all’indirizzo di chi la pensa diversamente.
Quindi, anche se, per ora i fatti paiono dirmi che i provvedimenti che il governo Monti ha adottato o si propone di adottare sono i soliti: aumentare le tasse e tagliare poco o niente, con grande timidezza sulle riforme strutturali che invece dovrebbero essere forti e decise, non mi armo certo di parolacce e proiettili per protestare.
Carlo Di Stanislao
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