L’infrastruttura verde, nuovo codice del paesaggio urbano aquilano

“Il paesaggio terrestre, il più antico dei quadri di riferimento – dalla sua cornice naturale alle modificazioni dell’uomo – è diventato precario; abbiamo imparato che l’uomo può guastarlo o distruggerlo nel suo insieme, e la nostra tecnologia è ancora incapace di padroneggiare la sua complessità, in scala geografica e in scala urbana.” Sono le frasi […]

Il paesaggio terrestre, il più antico dei quadri di riferimento – dalla sua cornice naturale alle modificazioni dell’uomo – è diventato precario; abbiamo imparato che l’uomo può guastarlo o distruggerlo nel suo insieme, e la nostra tecnologia è ancora incapace di padroneggiare la sua complessità, in scala geografica e in scala urbana.” Sono le frasi conclusive di un denso libricino di Leonardo Benevolo, dal titolo “La cattura dell’infinito”.

La crisi dell’ambiente territoriale e urbano di oggi è contrassegnata dall’assenza di codici condivisi, in quanto chi ci governa “non intende il paesaggio come preziosissimo ‘capitale territoriale’ da non sprecare perchè insostituibile, bensì come una sorta di zavorra, un peso morto di cui liberarsi mediante operazioni speculative.” (Salvatore Settis). A l’Aquila, l’incubo di una città sdoppiata, quella che i cittadini vogliono immaginarsi e quella che, grazie ad una serie di aggressioni e di insensatezze sta diventando realtà, rende vivo e porta alla ribalta la tematica del paesaggio. L’“egoismo proprietario” che ha promosso la logica comportamentale del “fare da padroni in casa propria” e la “proprietà immobiliare intesa come valore sicuro” su cui investire, hanno favorito l’instaurarsi di tale sdoppiamento, in cui il paesaggio ha assunto i caratteri della “grande vittima sacrificale”. Infatti, per i più, la terra è una moneta fuori corso se non è edificabile e il paesaggio è una riserva di caccia! Lo strisciante e tacito assorbimento di questi codici da parte della società civile, ha contribuito all’affermarsi – già prima del sisma – di una città dilatata, dall’ipertrofico accrescersi dei “pieni edilizi”, sospeso sullo sfondo di un improduttivo e scialbo paesaggio. La sola struttura che ancor oggi attecchisce e conferisce continuità allo smisurato ammasso di enclave e di spore urbane, è la rete trasportistica, “l’infrastruttura grigia” fatta di strade monofunzionali, che ammorsa e tiene unito l’enorme agglomerato, dal nome “l’Aquila”, altrimenti in frantumi! Una rete in cui pullulano veicoli di ogni tipo, in gran parte riconducibili al mezzo privato: il denominatore comune della mobilità aquilana di oggi. A nulla vale la constatazione del vorticoso aumento del costo della benzina, degli intasamenti dovuti in gran parte ad autoveicoli con a bordo un solo guidatore (circa mille chilogrammi per spostarne settanta). A nulla interessa conoscere quali sono le prospettive di un prossimo futuro! Il nuovo piano europeo per i trasporti punta a ridurre le esalazioni di gas serra e la dipendenza dal petrolio attraverso una serie di soluzioni radicali; tra queste emergono l’eliminazione delle auto a benzina dalle città e l’utilizzazione di carburanti sostenibili meno inquinanti. Di fronte all’incubo incessante di una città sdoppiata, va contrapposta la consapevole adesione al codice: “Il paesaggio è Salute e Bene di tutti e non profitto per pochi”. Il suo divenire è strettamente legato al progetto della infrastruttura verde, e della sua messa in rete, non solo nel contesto extraurbano, ma anche e innanzi tutto all’interno della città, per gli evidenti benefici che può arrecare all’ambiente urbano. Un progetto che sia contemporaneamente architettonico, urbanistico e politico e che offra a ciascun cittadino una chiara immagine di appartenenza. Tutto il “territorio aperto” aquilano, lo spazio intermedio compreso tra gli ambiti del centro storico, delle frazioni e delle periferie, insieme al reticolo fluviale – oggi visti come scialbo e improduttivo paesaggio, riserva di caccia della speculazione fondiaria ed edilizia – deve trasformarsi in infrastruttura verde, in cui è insita la nozione di rete, in grado di restituire naturalità all’ambiente urbano e stabilire una nuova gerarchia di mobilità, fondata sul primato del mezzo di trasporto pubblico e su un consistente ruolo della mobilità pedonale e ciclabile. A differenza di quella tradizionale, l’infrastruttura verde è multifunzionale, in quanto associa alla mobilità aspetti eco-sistemici, quelli legati alla produzione agricola e forestale, alle attività ricreative, venendo a interessare componenti più propriamente legate all’architettura del paesaggio e agli aspetti benefici che essa è in grado di produrre sugli abitanti. Il progetto della rete infrastrutturale verde, a l’Aquila può prendere lo spunto dalla ridefinizione di alcuni tasselli di riqualificazione verde, quali il recupero e la rigenerazione urbana di aree residuali, di spazi abbandonati, elementi base di un complesso sistema verde, che viene ad interessare – laddove possibile – anche le strade di maggiore transitabilità. Nell’approntamento della rete di spazi verdi all’interno della città-territorio, i parchi non si configurano più come “ isole” situate negli interstizi o all’interno dei “pieni edilizi”, ma come componenti fondamentali di una maglia intessuta di elementi lineari verdi. I benefici di questo modello infrastrutturale, rispetto a quello stradale attuale, si rinvengono nella capacità di stabilire connessioni ambientali, di permeabilità sociale e di ridefinizione della spazialità urbana, soprattutto in quegli ambiti situati tra un quartiere e un altro. Le fasce fluviali, i viali alberati, i parchi e i giardini della città, le aree agricole periurbane, i boschi, le cave e le discariche da recuperare, assurgono a “materiali di base” “mattoni” per la ricostruzione del paesaggio urbano-territoriale aquilano: il grande quadro di riferimento, luogo della identità collettiva dei cittadini. Al livello più alto di questa gerarchia si pone il reticolo fluviale dell’Aterno, asse portante dell’intera infrastruttura verde, seguito dai parchi urbani e dalle aree boscate lineari attraversate. Successivamente – in termini di qualità ambientale – si distinguono le strade alberate, dove è consentito il traffico motorizzato privato. All’interno di queste vanno distinti i semplici viali, accompagnati da filari di alberi, dalle strade con fasce boscate laterali in grado di assolvere a funzioni di mitigazione degli impatti locali. Questa nuova visione richiede un ripensamento basilare della rete stradale aquilana, chiamata a svolgere la funzione di introdurre la natura nella città, in forma di sistema: un progetto volto a collegare le diverse funzioni urbane (dalle residenze alle attività lavorative, da quelle pubbliche dell’istruzione e della ricerca alle attrezzature sportive e del tempo libero, dai parchi urbani, stazione ferroviaria, terminal bus alle attrezzature culturali, luoghi per il divertimento) con i percorsi pedonali, ciclabili e con quelli dedicati a mezzi ecologici con prevalenza di quelli pubblici. Superando l’angusta visione di una progettazione settoriale – propria della strada tradizionale – il disegno dell’infrastruttura verde si pone come strumento fondante e rigenerativo della città-territorio, significato e significante delle nuove fisionomie spaziali del paesaggio urbano aquilano.

Giancarlo De  Amicis

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