Lo scorso anno, fra maggio e giugno, a Lanciano, presso l’Auditorium del Mario Negri Sud, una rassegna di film (dal titolo “Femminile singolare”), ci ha insegnato che la donna è un’alchimia di passioni profonde che spingono al cambiamento.
Dal 21 febbraio scorso, poi, in una serie di incontri aperti al pubblico, intitolati allo stesso modo, Emilia Costantini, giornalista del Corriere della Sera e scrittrice, intervistando alcune protagoniste del mondo dell’imprenditoria, della politica, dello spettacolo, della medicina, della scienza, del giornalismo, dello sport, per capire se la natura femminile sia stata davvero così stravolta o se invece sia possibile coniugare femminilità e mente, impegno lavorativo e famiglia, amore materno – coniugale e ambizione, cuore e ragione; ha scoperto (o riscoperto), risvolti inediti, lati privati e nascosti che mostrano aspetti inattesi sul femminile anche di oggi.
In occidente, come in oriente, l’uomo preistorico ha inciso nelle pareti delle grotte o scolpito nella pietra la Dea Madre, principio di “ ciò che è e sempre sarà”, l’Iside dal mantello nero che ci ricorda l’insegnamento “Io sono ciò che è, ciò che è stato e che sarà, ed alcun mortale non solleverà mai il mio velo”.
Ma ora il velo è frantumato e non solo per mano maschile.
Nel 2008, un romanzo anche stavolta titolato “Singolare femminile”, quasi interamente abitato da donne (la protagonista, le tre figlie e la madre), scopre che anche in quel mondo, ed anzi, soprattutto fra loro, vi sono segreti e bugie ed odi e veleni ed isterie da proiezione.
E, ancora, che l’anticonformismo di Martina, donna divorziata che ha avuto le tre figlie da padri diversi, è in realtà il frutto di una sorta di diffidenza nei confronti del genere maschile, dovuta proprio al fatto che ha vissuto nell’ambiguità, che l’ha mangiata con il pane e l’ha trasmessa, intatta, come ricevuta dalla madre alle tre figlie, le quali, cresciute alla sua scuola, dimostrano coi fatti di non avere grande capacità di vivere l’amore: con Maria che sposa l’uomo sbagliato, Giuliana che si lega ad un vecchio e poi ad un giovane, pateticamente e Osvalda che resta sola, a covare la speranza di una prossima morte della madre.
Mi fermo a guardare la madre che pronuncia la frase antica “attraverso lei, io mi realizzo”.
Quante volte è stata detta? Da quanti secoli la sentiamo ripetere? Quante donne hanno vissuto una “non vita”, tra matrimoni imposti, lavori mai ottenuti, aspirazioni nemmeno portate a conoscenza?
Quante ragazze l’hanno sentita questa pressione materna dettata da una forma d’amore tenace e distruttivo allo stesso tempo.
Una pressione di sogni non realizzati, da riversare sulla figlia femmina, che diviene l’aspirazione ad un matrimonio con un uomo “che ti farà vivere come una signora”, ieri, ed oggi di apparire in televisione, in qualunque forma o veste, anche quasi completamente svestita.
Lo scorzo marzo, il 23 del mese, presso la Facoltà di Lettere (Palazzo Manzoni) di Perugia (una città che amo ed in cui torno sempre volentieri, per retaggio materno e per quello culturale degli studi universitari), ho ascoltato Cinzia Spanò e Silvia Giulia Mendola che, da scritti e riflessioni di Miriam Mafai, Concita De Gregorio, Naia Ginori, Michela Marzano, Lella Costa, Lorella Zanardo, parlavano di donne e lavoro, donne e corpo, donne e maternità.
Ma anche donne e amore e principi azzurri che troppo azzurri non sono.
Ricordando che “Vince chi sa aprire la porta e guardare con occhi più grandi. Vince chi soffre e poi trova un rimedio. Non chi si rifiuta di vedere”. “Vince chi dichiara il suo diritto ad una corsa senza trucchi e senza colpe”.
Così ho imparato che, come scrive Eve Ensler ne “I monologhi della vagina” e “Il corpo giusto” di, a ciascuno donna è fragile soprattutto perché non ha mai imparato ad amarsi, ad accettare pienamente il proprio corpo senza modifiche, aggiustamenti e finzioni.
Perché è il frutto di un sogno infranto e frantumato, spesso di insidiosa origine materna.
Il ruolo della donna ha subito notevoli cambiamenti nel tempo, ma il desiderio di piacere rimane immutato.
Pancia piatta, seno prosperoso, lato B perfetto e un sinuoso naso alla francese sembrano essere fondamentali per il gentil sesso.
Questo ci dice una ricerca italiana condotta dall’associazione “Donne e qualità della vita”, presentata oggi e concepita per capire come sono cambiati nel tempo i gusti e lo stile di vita del gentil sesso nel belpaese.
Così, mentre al secondo posto della categoria desideri troviamo, attestata al 21%, la ricerca del corpo perfetto, sul gradino più basso avere un posto di lavoro e cioè una propria autonomia economica e realizzativa.
Singolarità di un femminile che pare non voler più essere coscienza del mondo e che al primo posto vuole sentirsi bello e desiderato, con un numero sempre crescente di signore e signorine che si rivolgono al chirurgo estetico, per migliorare il proprio aspetto e senza nessun valore per la propria coscienza.
Ho sempre saputo, da quanto ho ragione e memoria, che la donna ha un potere che l’uomo non ha.
E che non si tratta di mettersi in competizione, perché la competizione è sempre indice di debolezza e povertà interiore.
Ed ho sempre saputo che il potere le donne lo hanno dimenticato e non sono andate più a cercarlo, per portare un’alternativa allo stile di vita, che ci viene chiesto oggi urgentemente, senza cadere vittime di quella sottocultura che da tenta anni i media ci instilla.
In questo 8 marzo, in cui di tutto si parta tranne che delle contraddizioni del maschile e del femminile, voglio, come dono, suggerire pertanto, ad amiche (ed amici), la lettura di un bel libro dal titolo chiaro: “Partire dal corpo”, scritto un anno fa da quattro donne (Laura Gambi, Maria Paola Patuelli, Serena Simoni e Cinzia Spaolonzi), in cui si immagina uno spazio circoscritto, ma pubblico – quindi politico – dove ragionare con metodo discorsivo e dialogico, partendo dal corpo e mettendo in questione stereotipi e sessismi.
Uno spazio in cui, donne e uomini, che la storia ha diviso in ruoli separati e spesso ostili, fra corpi negati, posseduti, “silenziati” – ma oggi frequentemente visibili in inedite e inaudite pratiche performative, spesso fondate su nuovi stereotipi sessisti – possano ritrovarsi in uno spazio comune, relazionale e discorsivo.
E, attraverso questo, dare vita a nuove pratiche che potrebbero essere “fondative” di un’altra idea di città, fatta di corpi mai solo naturali, mai solo culturali, che sono politici se parlanti, nella convinzione che le pluralità di genere, politiche e sessuate, potrebbero essere il tessuto di cui è fatta la nuova polis.
Una polis che riguarda tutti e, più ancora, chi una città la deve ricostruire, dalle fondamenta.
E in quello spazio ricorderei i tempi in cui la donna era Luna con le sue fasi, le stagioni, la vita e la morte e grande Madre, cioè Natura e le Stagioni: la primavera col fiore, l’estate col frutto l’ autunno con gli ultimi doni, l’inverno che nasconde il seme all’ interno del grembo della Terra, seme che darà il suo frutto nell’ eterno ripetersi delle stagioni legate alla rotazione della Terra, alla presenza del Sole, all’ influsso della Luna.
E mi perderei nei riflessi del sapere antico in cui la Terra, con tutta la sua potenza è il femminile, l’ origine, il principio, dell’ umanità, la Grande Dea dalla quale discende ogni cosa, la dea Tiamat, che presiedeva il flusso delle maree, governate dalla Luna, capace di rompere il velo oscuro del terrore e tracciare la via e le insidie, anche di notte.
E cercherei di capire, fra le altre cose, come fosse stato possibile il cambiamento dal matriarcale al patriarcale, da Ishtar nuda come la Verità, ai mille travestimenti di Zeus.
E mi ricorderei, infine, smemorando il tempo del dio-uomo, che nel regno del non manifesto, Purusha, l’Energia Vitale, illuminante scintilla divina, trascende le polarità, è Energia né maschile né femminile, creatrice di Idee che prendono forma in seguito in Prakriti, nel regno delle cose manifesto, E’ solo a questo punto che l’Energia diviene bipolare, Yin e Yang, Chandra e Surya, Eros e Logos, femminile e maschile, archetipi (idee primordiali registrate nell’inconscio collettivo) fondamentali nella mente umana, fortemente radicati nell’umanità fin dalla notte dei tempi, ed espressione di una visione limitata, che si riferisce per lo più agli attributi che caratterizzano uomini e donne.
La mitologia e la storia ci narrano di una tensione al potere sempre esistita, di alternanze di società patriarcali e matriarcali presenti in ogni tempo e in ogni luogo della Terra, eterna spina di angoscia nell’inconscio maschile, eterna nota dolente per il corpo e la psiche femminile. Ogni cultura maschilista inevitabilmente considera l’espressione della massima potenza, del Divino, un soggetto maschile, quando in realtà il Divino, l’Assoluto, o come qualsivoglia chiamarlo, sappiamo che è Energia al di sopra delle polarità.
Oggi, invece, la società in cui viviamo ci ha condizionati a giudicare sempre tutto, immediatamente, per poterci posizionare e differenziare e, soprattutto, per trarre maggior profitto da ogni situazione.
Così la madre vilipesa trova soddisfazione in una figlia mostrata, ma mai compresa e comunque ancora più venduta.
Il nostro futuro, invece, attende il riposo, dopo secoli di lotte, un riposo in cui comprendere che la Vita non calcola cosa sia più vantaggioso e per chi ; la Vita non accumula ; la Vita non ha carenze : i fiori non cercano di fiorire, loro fioriscono e basta e non sono minimamente preoccupati di cosa capiterà dopo la loro fioritura.
Ed in questo futuro, riuscire, uomini e donne, permettere alla vita di esprimersi in tutte le direzioni e sotto tutte le forme che sceglie. Ricordando l’unica vera, paritetica differenza: l’intenzione é il principio maschile della vita che nel seme reca la perfezione del potenziale; mentre accogliere e permettere a questa intenzione di manifestarsi, cioè lasciare che il seme sviluppi il suo potenziale per divenire un albero é il principio femminile, che col primo forma l’armonia che ogni essere testimonia ed è davvero la divinità ineluttabile che lo abita.
Carlo Di Stanislao
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