Giuseppina Virgili, imprenditrice di Empoli, promotrice del Copii, Comitato Piccoli Imprenditori Invisibili, afferma:”Noi piccoli imprenditori rovinati dalla crisi siamo in caduta libera senza paracadute. Dobbiamo reagire e smettere di vergognarci. Dobbiamo lottare per rompere la cortina di silenzio che ci circonda. Dopo cinque anni passati a lottare in solitudine, sono stanca di essere invisibile: non risulto disoccupata, non mi posso iscrivere alle liste di collocamento. E ho 50 anni, un’età in cui è difficile rimettersi sul mercato del lavoro”.
L’associazione Copii è nata solo lo scorso gennaio, ma sta già raccogliendo adesioni in Piemonte, Lombardia, Veneto e Puglia e ieri sera ci è stata la sua prima iniziativa pubblica: in contemporanea a Firenze, Milano e Torino, a partire dalle 20.30, si sono svolte tre fiaccolate, in memoria dei piccoli imprenditori morti suicidi per motivi economici. Un “funerale collettivo”, secondo la definizione degli organizzatori, per far uscire allo scoperto una situazione drammatica e troppo a lungo ignorata: la “strage” di piccole e piccolissime imprese, quelle che formano gran parte del tessuto economico italiano, e le sue vittime tragicamente reali. “La mia era una piccola azienda – continua Giuseppina Virgili -. Producevo confezioni con marchio proprio, usando solo prodotti italiani, dal tessuto ai fili per cucire. Anche l’artigiano esterno a cui mi affidavo era italiano. Sono fallita per 30.000 euro di crediti non pagati. Dalle banche ho ricevuto solo risposte negative, nessun’altro mi ha aiutato. Ora mi trattano come un evasore fiscale, perché dopo anni ho ancora debiti con Equitalia. Ma negli ultimi tempi di attività ho dovuto scegliere tra pagare gli stipendi ai cinque dipendenti o le tasse. E non ho avuto dubbi”. Tessere di un domino in caduta libera: per quanto piccolo sia, un imprenditore in difficoltà trascina con sé dipendenti e fornitori. Sempre più spesso non si fallisce per i debiti accumulati, ma per crediti non esigibili o talmente dilazionati da strozzare l’economia di una piccola impresa. E succede che colpevoli siano anche enti pubblici.
In Italia il movente economico incide sempre più sul totale dei suicidi: le ultime elaborazioni Eures riguardano il 2009 e parlano del 10,3%, a fronte del 2,9% rilevato nel 2000. La ricerca si basa su dati Istat, che utilizzano solo i casi certi, denunciati alle forze dell’ordine. Ma nel caso di imprenditori, è difficile avere cifre esatte: 198 casi di suicidi per motivi economici nel 2009, 187 nel 2010. Numeri alti, ma certamente inferiori alla realtà per la difficoltà di stabilire una lettura univoca del “movente”, dovuta anche alla ritrosia dei familiari nel rendere pubbliche le cause. Quanti dei motivi “psichici” che secondo l’Istat nel 2010 hanno portato ben 1.100 persone a togliersi la vita erano depressioni dovute a problemi economici, all’incapacità di vedere un futuro? E quanti sono “nascosti” tra gli altri 1.107 suicidi per “movente ignoto o non indicato”? Più “facile” contare i suicidi tra disoccupati e inoccupati, e i numeri assoluti sono da brivido: 357 nel 2009, 362 nel 2010. Quasi uno al giorno.
Dalle ricerche Eures emerge un altro dato: il suicidio per motivi economici è un fenomeno prettamente maschile. Una differenza di genere spiegata dagli analisti con il fatto che le donne provano meno il senso di perdita di identità legato al ruolo sociale. E alla fine si dimostrano anche più combattive.
“Le donne sono state un pilastro fondamentale del distretto tessile negli anni d’oro, anche con molti sacrifici” racconta Manuela Biliotti, ex contoterzista pratese tra i fondatori nel 2010 del comitato Araba Fenice per la Rinascita di Prato. La sua storia è simile a quella di molti piccoli imprenditori, stroncati dalla crisi economica, condannati a fare da custodi a capannoni ormai vuoti, solo perché chiudere l’attività costerebbe troppo. “La voglia di reagire – ricorda – è nata pensando a mia figlia. Per gran parte della sua vita il lavoro mi aveva tenuto impegnata tutto il giorno fuori casa. Non si meritava di vedermi anche soccombere alla crisi senza reagire. Per me come per molti altri, era necessario almeno far sapere ai nostri figli che non ci arrendiamo, nonostante tutto. La speranza per il futuro non può morire”.
Anche lei ieri sera ci è stata a Firenze alla fiaccolata. Una via crucis laica, “apartitica e apolitica” come ci tengono a sottolineare gli organizzatori, con soste silenziose in luoghi simbolici dell’economia e della crisi. In tutte e tre le città le fiaccolate si fermeranno davanti a Regione e Comune, poi le tappe si differenziano: a Firenze e Torino due “stazioni” sono la Banca d’Italia e la Camera di Commercio, “obiettivi sensibili” vietati dalla Questura a Milano; il corteo torinese si ferma anche davanti alla sede Equitalia e al Provveditorato agli studi, quello fiorentino al Tribunale.
Mara Conti
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