Un’ANSA di oggi ci dice che dietro la parete est del Salone dei 500 di Palazzo Vecchio a Firenze, c’é un vuoto che cela un muro preesistente e sul quale si vedono macchie di colore nero, rosso e beige, attribuibili alla Battaglia di Anghiari, l’affresco perduto di Leonardo da Vinci.
Emerge dai risultati del team diretto da Maurizio Seracini, presentati oggi a Firenze e frutto dello studio iniziato a fine 2011, fatto con indagini radar e una sonda endoscopica che ha saggiato la parete proprio dove, secondo il Vasari, Leonardo aveva affrescato il suo “sfortunato” capolavoro.
Ciò che si sa è che la pittura murale di Leonardo, databile al 1503, a causa dell’inadeguatezza della tecnica, venne lasciata incompiuta e mutila e che, circa sessant’anni dopo, durante la decorazione del salone affidata a Giorgio Vasari, questi “nascose” i frammenti leonardiani sotto un nuovo intonaco o, come ora pare, sotto una nuova parete.
Si sa anche che, nonostante l’esito disastroso, a causa di una scelta che, come e peggio del caso dell’Ultima Cena, si rivelò sbagliatissima, molti contemporanei ne fecero copie, di cui, la più famosa, è di Rubens, conservata al Louvre, interpretazione della parte centrale della’opera di Leonardo, fatto o da una precedente copia o da un cartone.
La scoperta di Seracini porterà, forse a breve, a rivedere ciò che resta della’opera del grane Toscano e di nuovo, nonostante gli errori di fissazione e l’insulto del tempo, ne ammireremo il genio, nel concentrare in una unico blocco, un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440, per celebrare il concetto di libertas repubblicana.
Con in più ciò che è stato solo descritto e non rappresentato con la forza leonardesca né da Rubens né dagli altri: lo sconvolgimento della “pazzia bestialissima” della guerra, come la chiamava l’artista, con molti personaggi ai lati della scena, che lottano instancabilmente per ottenere il gonfalone, simbolo della città di Firenze, con quattro cavalieri che si stanno contendendo la massiccia asta e tre fanti si trovano in terra, atterrati e colpiti dagli zoccoli dei cavalli.
Un capolavoro ritrovato, forse, dopo una lunga, paziente ricerca, mentre, fra due giorni, la tv “ritroverà” , almeno pare, Sabrina Guzzanti, che partirà su La7, in prima serata, mercoledì 14 marzo, in uno studio con uno striscione con la scritta “No Tav”, in cui sarà attuata una parodia di Mario Monti, con Michael Moore in collegamento telefonico, mentre i politici saranno scansati.
E con Sabrina, tenuta dietro l’intonaco televisivo per ben nove anni, tornano i suoi cavalli di battaglia (non meno leonardeschi quando a plastica capacità espressiva): Moana Pozzi e Lucia Annunziata e, ancora, Barbara Palombelli, quest’ultima di particolare attualità visto il caso Lusi, pronta a difendere il marito perché “Francesco può non sapere, Francesco non sa la maggior parte di quello che gli succede intorno, non lo capisce proprio, è come un bambino”.
E poi la satira, che “fa un po’ quel cazzo che gli pare” , come chiosa Sabina in conferenza stampa, citando Daniele Luttazzi, anche lui “scomparso” da anni e non più ritrovato.
Tutti i giornali dicono che il ritorno della Guzzanti è una vittoria per l’Italia ed una vittoria (un’altra dopo quella di Mentana e della Dandini), per l’emittente che fa parte del cosiddetto “terzo polo” televisivo italiano insieme a MTV e attualmente è di proprietà di TI Media.
Grande ed innovativa televisione, se si confronta al duopolio Rai-Mediaset, ma anche lei con le sue ipocrisie ed i suoi peccati.
Ad esempio la chiusura del programma di Daniele Luttazzi “Decameron” che, secondo il tribunale di Roma, sarebbe stato abolito “in modo arbitrario e illegittimo”, per via di una battuta su Giuliano Ferrara.
Era nato nel 2007 “Decameron” e rappresentava il dirompente ritorno del comico in tv, a cinque anni dall’ “editto bulgaro” (o “arcoriano”) che l’ aveva, di fatto, cacciato dalla Rai.
Appena cinque puntate e arrivò un altro editto, per una battuta (dice ora il giudice), per un’ offesa (sostiene La7) nei confronti di Giuliano Ferrara, all’ epoca conduttore di “Otto e mezzo”, sulla stessa rete televisiva.
Certo siamo solo al primo round , ma, per il momento, il giudice ha condannato La7 a un pagamento che, fra penali e mancati versamenti, ammonta a 1 milione e 200 mila euro lordi, più interessi e spese legali.
Molto più di quanto gli scienziati a Firenze, hanno speso per rintracciare Leonardo.
Anche se, per ora, il tribunale di Roma da ragione al comico, inserendo la sua battuta nella tradizione tutta italiana del Ruzzante, ci sarà il secondo round, perché La7 non ci sta e fa sapere che “prende atto della sentenza e informa di aver già dato mandato ai propri legali per ricorrere in appello”.
E poi, anche perdesse in seconda battuta, c’è sempre la Cassazione che, di recente, ha annullato la condanna a Dell’Utri e Cosentino e, per sovrappiù, non ha perso tempo e dichiarato che il concorso esterno non esiste.
Sicchè, un domani, si potrà sempre dire che il Ruzzante non esiste, ma esiste invece il colto figlio naturale del medico Giovan Francesco Beolco, che non si perde mai, a differenza dell’inesistente “pseudonimo contadino”, in uno scavo progressivo mai viziato da populistico fervore, che, nel complesso porta ad un ritratto “a tutto tondo” della realtà del contado pavano, basato sulle falsità e sulla ipocrisia dei domanti, come anche dei dominati.
Il comico italiano Dario Fo, durante il discorso pubblico nella cerimonia di assegnazione del Nobel per la Letteratura, disse del Ruzzante che non fu mai amato, in nessun tempo, della borghesia, perché, sempre, dichiarò sulla scena, in modo schietto ed arguto, ciò che pensava.
Insomma, secondo Fo (e noi), Ruzzante, come Leonardo e Luttazzi, sono, a livelli diversi di forma espressiva ma non di efficacia, i grandi custodi di una libertas sempre meno fruibile e rappresentata. Sempre più rara e, pertanto, da ritrovare in fretta e custodire con grande tenacia.
Carlo Di Stanislao
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