Come nel film “Terraferma” di Emanuele Crialese. C’è una giovane donna sbarcata a Lampedusa che dopo essere scampata al naufragio, partorisce sul molo dell’isola, e una famiglia siciliana che decide di accoglierla in casa propria assieme alla neonata. Sembra una favola ma è una storia vera “di accoglienza siciliana e ci teniamo a dirlo”. Questo particolare geografico e il nome dei coniugi di mezza età che la raccontano, Rino e Maria Anna, sono gli unici dettagli che possiamo rivelare. Gli altri nomi dei protagonisti e la città dove la vicenda accade non possono essere raccontati per non mettere in pericolo la madre, che chiameremo Maryam e la figlia, per noi Aisha.
Sono rifugiate, hanno appena ottenuto il permesso umanitario di un anno. Tutto è iniziato il 17 aprile dell’anno scorso, quando un barcone con a bordo 760 profughi fuggiti dalla guerra in Libia, salpato dal porto di Zwara, rischiava di affondare a dieci miglia da Lampedusa. Tra i naufraghi c’erano bambini e 62 donne, di cui molte incinta. Soccorsi dalla Guardia Costiera con quattro mezzi navali, sono approdati tutti sull’isola. Le cronache dicono che una donna ha partorito una bambina subito dopo lo sbarco. Mentre l’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, spiegava che quello era il risultato di ”un traffico di esseri umani organizzato dal regime di Gheddafi come strumento di pressione su di noi”, la piccola Aisha rischiava di morire soffocata appena vista la luce.
“E’ nata con due giri di cordone ombelicale attorno al collo, aveva problemi di ipossia cerebrale, non arrivava l’ossigeno al cervello – racconta Rino – per questo lei e la madre sono state trasferite subito in elicottero in un ospedale sulla terraferma”. Maryam viene dimessa dopo qualche giorno, la sua bambina resta in incubatrice. “La ospitavano al Centro Astalli in una struttura che non è uno spazio di accoglienza, avevano fatto uno sforzo per il caso particolare- continua Rino – mia figlia Angela faceva la volontaria e ha conosciuto questa donna con una bambina in incubatrice di cui non sapeva niente, nemmeno se era maschio o femmina all’inizio”.
Maryam ha bisogno di protezione e il centro non può garantirla. Così Angela decide di ospitarla in casa sua. Nasce un rapporto di “autentica amicizia” tra la studentessa italiana e la giovane mamma nigeriana. “Poi mia figlia doveva andare a studiare a Parigi per sei mesi, ma non voleva più partire- continua Rino, che di professione è un medico -. Diceva ‘Maryam non la posso lasciare a casa da sola, non sa ancora parlare l’Italiano’”. Così dopo un tentativo di inserirla in un centro di accoglienza, che però non è andato a buon fine per carenze della struttura, Maryam e sua figlia Aisha sono approdate a casa dei genitori di Angela, in un altro comune siciliano. “È stata una parentesi di sei mesi, ma realtà da quel momento tutta la famiglia ha adottato entrambe”, raccontano.
Una coppia di mezza età in un piccolo paese della Sicilia con in casa una giovane nigeriana e una bimba di pochi mesi. Non è da tutti. Le culture diverse si sono fatte subito sentire. Di Maryam non si conosce la vera età. “Lei dice 25 anni – spiegano i coniugi – Ma cerca di sovrapprezzarsi perché in Nigeria il valore di una donna è molto legato all’età”. Il rispetto per l’uomo e per gli anziani è sacro per quella cultura. Così Maryam non si siede a pranzo “se papà Rino non è servito”. Eppure, raccontano, “quello di Maryam e Aisha è stato in realtà un viaggio verso l’emancipazione da un destino segnato, dai riti del vodoo con cui vengono legate le donne e dalla religione animista”.
Con il passare del tempo la famiglia ‘adottiva’ ha ricostruito i tasselli della storia della giovane rifugiata. “E’ arrivata a Lampedusa dopo un paio d’anni di Libia, scappava dall’uomo che è il padre della bambina perché la maltrattava, ha una storia di violenze di cui porta le tracce addosso – dice Rino -. La sua aspirazione era di fare nascere la figlia lontano dall’incubo della Libia, lontano dalla situazione da cui fuggiva. Il suo racconto sulla Libia è uguale a quello di tutti gli altri subsahariani: ci sono questi mega ghetti in cui la gente africana era costretta a lavorare o a prostituirsi fino a quando non riusciva a mettere insieme i soldi per partire. Lei non li aveva e stava per partorire sotto le bombe. Il posto gliel’ha ceduto un suo conterraneo. Le ha pagato il biglietto e materialmente l’ha messa sulla barca con il pancione a fine gravidanza, si è fatta tre giorni di travaglio in mare. Tutti si lamentavano perché era l’unica che stava distesa e occupava molto spazio. Fu così che partorì sul molo di Lampedusa”.
È passato quasi un anno e fra poco sarà il primo compleanno di Aisha. Nel frattempo, il passato di Maryam è riemerso dal canale di Sicilia. Sono arrivati in Italia anche i due uomini della sua vita, il marito che la picchiava e l’attuale fidanzato nigeriano, Paul, quello che le ha pagato il viaggio. Il primo non sa dove si trovino l’ex moglie e la figlia ma ha già chiesto il riconoscimento della paternità e sta usando il ricongiungimento familiare per avere lo status di rifugiato. È originario del Mali, dove c’è un conflitto in corso, e quindi ha più chance di avere la protezione internazionale.
“Paul invece è a Milano ed è in una pessima situazione con i documenti – dice Rino – ha ricevuto il diniego alla domanda di protezione e ha fatto ricorso”. Intanto Maryam è tornata a vivere a casa di Angela ed è così brava con le treccine per capelli che ha guadagnato abbastanza da restituire a Paul i soldi del suo biglietto per Lampedusa. “Pagarsi un debito vuol dire spezzare una catena – continua il medico siciliano -. Per sua fortuna al contrario di molte che arrivano con l’indirizzo della madame in tasca e scappano dai centri, lei grazie alla bambina e al parto è sfuggita al domicilio coatto. Il suo debito era solo quello del viaggio nei confronti di questo ragazzo”. Paul è stato ospitato a casa di Rino e Maria Anna per Natale, ora vorrebbe tornare a Pasqua. In famiglia è stato come fare la radiografia al fidanzato di una figlia. “Ci chiedevamo: sarà una brava persona?”, dicono i due siciliani. “Ma non crediate che sia una storia a senso unico – sottolineano – abbiamo ricevuto moltissimo anche noi, abbiamo avuto la sensazione di essere nonni e Maryam è il tipo di persona che non si alza da tavola senza dire ‘grazie’ a tutti i presenti”.
Una storia unica di una famiglia allargata grazie agli sbarchi dell’anno scorso. Ma secondo Rino e Maria Anna potrebbe essere da esempio per altri. “E’un tipo di accoglienza alternativa ai famosi centri e che non costa poi molto, non siamo provati economicamente anche se ci piaceva comprare vestitini e giocattoli, il rapporto con la bimba è meraviglioso”
Raffaella Cosentino
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