Alle origini delle Sante Quaranta Ore in onore di Gesù Cristo Eucarestia

Nelle chiese, nelle basiliche e nelle cattedrali di tutto il mondo, parrocchiali e non, è il tempo delle Sante Quarant’Ore in onore di Gesù Cristo Eucarestia Signore dell’Universo. La Pasqua si avvicina e la Chiesa Cattolica Apostolica Romana offre a tutti i fedeli del mondo l’opportunità di raccogliersi davanti al Signore Gesù, per essere più […]

Nelle chiese, nelle basiliche e nelle cattedrali di tutto il mondo, parrocchiali e non, è il tempo delle Sante Quarant’Ore in onore di Gesù Cristo Eucarestia Signore dell’Universo. La Pasqua si avvicina e la Chiesa Cattolica Apostolica Romana offre a tutti i fedeli del mondo l’opportunità di raccogliersi davanti al Signore Gesù, per essere più consapevolmente partecipi del mistero di Salvezza che Egli ha affidato alla Chiesa tutta. “Dio cerca adoratori in spirito e verità”. Le Sante Quarant’Ore sono un tempo di grazia. L’esposizione del Santissimo Sacramento, detta Esposizione delle Quarant’ore, ebbe questo nome in memoria del tempo che Gesù stette nel santo sepolcro. Una volta, questa pia pratica era in grado di rivoluzionare le nostre città e contrade perché l’intenzione era quella di condurre i peccatori alla conversione. Il significato originario delle Quarant’Ore è quello di onorare Gesù Cristo durante le quaranta ore in cui giacque nel santo sepolcro durante la Settimana Santa. Come si legge nel Messale Romano (1983) “a partire da questa esigenza invalse l’uso di deporre l’ostia consacrata nascosta in un apposito altare sotto forma di sepolcro”. L’origine di questa devozione che porta il titolo di Oratio quadraginta horarum, è incerta. La prima testimonianza di tale pratica la troviamo tra i Battuti di Zara presso la chiesa di S. Silvestro, già prima del 1214, dove sorse pure la confraternita In Coena Domini delle Quarant’Ore. L’uso di esporre il SS. Sacramento all’adorazione dei fedeli per quaranta ore continue al fine di propiziarsi l’intervento del Signore, specie in tempi di calamità e guerre, avvenne per la prima volta nel 1527 presso la chiesa del S. Sepolcro a Milano. Fu per iniziativa dell’agostiniano Antonio Bellotti di Ravenna (†1528), che istituì anche la scuola del Santo Sepolcro legata a tale scopo, avviando l’uso di ripetere le Quarant’Ore anche fuori la Settimana Santa. Il papa Paolo III, mediante la richiesta del vicario generale di Milano fatta a nome del governatore e del popolo milanese, approvò questa pratica con breve apostolico del 28 agosto 1537. I Cappuccini, a cui si unirono anche i Minoriti, furono ferventi propagatori dell’uso delle Quarant’Ore; altrettanto zelo fu espresso anche dai Gesuiti i quali diffusero quest’uso in tutta Europa e in Italia. Urbano VIII con l’enciclica Aeternus rerum Conditor del 6 agosto del 1623, prescrisse a tutte le chiese del mondo la celebrazione delle Quarant’Ore. Nei secoli successivi vari papi si sono occupati di esse con molti documenti come l’Instructio di Paolo V nel 1606 e di Innocenzo XI nel 1681. “Per quanto riguarda la prassi, dall’indagine storica si rilevano due forme: un turno annuale ininterrotto d’adorazione di chiesa in chiesa, che si è affermata e mantenuta solo nelle grandi città per ragione di disponibilità di chiese e fedeli;
la forma sporadica, legata solo ad alcuni momenti dell’anno, fatta spesso senza l’adorazione notturna, che è quella più diffusa e in uso ancora oggi in molte comunità parrocchiali”. Nei secoli XVII e XVIII questa seconda forma fu introdotta nei tre giorni precedenti il mercoledì delle Ceneri come funzione riparatrice da opporre alle intemperanze del carnevale, sostenuta e diffusa dai Gesuiti.
Tale iniziativa fu intrapresa, per la prima volta, a Macerata nelle Marche nel 1556. A causa di una commedia giudicata sconveniente, che si voleva mettere in scena nel carnevale di quella città, due missionari gesuiti pensarono bene di opporvi l’esposizione del SS. Sacramento secondo la forma del Quarant’Ore, dandogli il carattere di espiazione e di penitenza. Questa iniziativa ebbe la meglio sulla commedia, e da allora tale uso rituale si diffuse. Altro momento dell’anno dedicato alla celebrazione delle Quarant’Ore è l’inizio della Settimana Santa, legato tradizionalmente al precetto pasquale annuale, la cui collocazione temporale si ispira alla forma tradizionale più antica, sostenuta e diffusa dai Cappuccini. La prima memoria storica di un’adorazione, espressamente dedicata in questo senso, risale al tempo di Alessandro III (1159–1181) e viene raccontata da un cronista di Zara. Il Pontefice, recatosi a Venezia nella Quaresima dell’anno 1177 ad un convegno con l’imperatore Barbarossa, ricevette la visita dell’Arcivescovo di quella città, accompagnato da alcuni fedeli i quali gli chiesero di voler arricchire di indulgenze il devoto esercizio che essi intendevano compiere pregando per quaranta ore davanti al SS. Sacramento chiuso in un tabernacolo dal mattino del Giovedì al mezzogiorno del Sabato Santo. Il Pontefice acconsentì alla richiesta permettendo che in tale circostanza il SS.mo Sacramento venisse esposto alla vista del popolo contro la consuetudine universale mantenuta fino ad allora, per la quale la sacra Ostia, anche nelle adorazioni solenni, non veniva mai esposta alla vista dei fedeli: consuetudine di cui rimane la testimonianza nella esposizione solenne del Giovedì Santo, comunemente chiamata “Il Sepolcro”. Le Quarant’Ore nel senso attuale risalgono, quindi, al secolo XVI. La pratica viene approvata con un Breve pontificio solo nel 1537, periodo in cui incombeva la minaccia turca e la diffusione dell’eresia protestante. Introdotta a Milano da G.B. Bellotti (1572), ebbe il primo ordinamento da S. Carlo Borromeo (1576). Ma  a Roma, già nel 1550, San Filippo Neri organizza un’esposizione delle Quarant’Ore la prima domenica di ogni mese nella chiesa di San Salvatore in Campo e in alcune Confraternite quali, Santa Caterina da Siena, Orazione e Morte, Trinità dei Pellegrini e Pietà dei Carcerati. Diverse erano le forme di rappresentare l’esposizione, mentre a Roma i Cappuccini usavano celebrarla nel corso della Settimana Santa e nel periodo dell’Avvento, attraverso una scenografia povera costituita da croci e corone di spine che richiamavano la Passione di Gesù, i Gesuiti organizzavano l’evento nelle grandi occasioni quali i Giubilei, l’elezione del Papa e soprattutto negli ultimi giorni del carnevale in cui  esibivano sfarzose “macchine”. Clemente VIII (1592) con la Bolla Graves et diuturnae istituì canonicamente il “turno incessante” delle Quarant’Ore, cioè una preghiera continua, recitata a rotazione nel corso di tutto l’anno. Pratica adottata in seguito nelle principali città e diocese di tutto il mondo. Il fine del Pontefice, come quello del primo istitutore, era quello di rendere propizia la Misericordia divina a tutti i fedeli e tener lontani dai cristiani ogni sorta di male, con il trionfo della Chiesa e la conversione dei peccatori. La pratica assunse la forma definitiva con Clemente XII (1731)  attraverso l’Instructio Clementina. L’esposizione solenne dell’Ostia consacrata all’adorazione dei fedeli, quale atto di devozione al SS. Sacramento, si svolgeva per un periodo di quaranta ore distribuite in diversi momenti dell’arco di tre giorni. Il significato della cerimonia si richiama al biblico numero quaranta ed è occasione di preghiera e di intercessione per pubbliche necessità. La simbologia del numero quaranta, nella tradizione delle Sacre Scritture, rappresenta un periodo di purificazione ed espiazione per condurre i fedeli al traguardo della salvezza. Quaranta è il numero della tribolazione e della prova, della penitenza e del digiuno, della preghiera e della punizione; quaranta giorni e quaranta notti durò il Diluvio Universale e Mosè sostò quaranta giorni sul Monte Sinai in attesa ricevere la Legge (Esodo 24,38); il cammino nel deserto del profeta Elia (1 Re 19,8) e il periodo della penitenza nella città di Ninive (Gio, 3) durarono quaranta giorni; il viaggio nel deserto degli Ebrei durò quaranta anni; il periodo del digiuno di Nostro Signore Gesù, dopo il Battesimo, durò quaranta giorni ed in seguito  anche la Quaresima (tempo di Passione) della Chiesa; l’apparizione di Cristo ai suoi discepoli avvenne quaranta giorni dopo la Resurrezione; il corpo di Nostro Signore rimase nel Sepolcro per quaranta ore. “Tra le manifestazioni del culto eucaristico – scrive E. Picucci su L’Osservatore Romano – restano ancora attuali le Quarantore, una volta così diffuse e così solenni da costituire un tempo di rinnovamento spirituale e sociale, di preghiera e di penitenza, di comunione tra il clero e il popolo, tra ricchi e poveri, tra superiori e sudditi. La storia dice che, durante i giorni della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano; i lavori dei campi erano sospesi; le barriere sociali cadevano e la fede rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare. L’adorazione coinvolgeva tutte le categorie di persone che, giorno e notte, si avvicendavano in preghiera, spesso in modo inventivo e spontaneo, per quarantore davanti a Gesù Eucaristia”. Per tre giorni si stabiliva quasi una “tregua divina” affinché i violenti diventassero mansueti, i ladri restituissero il maltolto, i falsari diventassero onesti, i nemici si riconciliassero, la gioventù si innamorasse di Dio e i sacerdoti non si allontanassero dall’altare e dai confessionali. “E questo perché le Quarantore pian piano acquistarono lo stile, l’importanza e l’efficacia di una vera missione popolare, affidata a predicatori che le ritenevano un ottimo mezzo per preparare la predicazione più impegnativa, quella quaresimale, immancabile in tutte le chiese”. Un tempo di grazia che rinnovò la vita cristiana prima delle grandi rivoluzioni politiche, industriali e sociali con gli inevitabili cambiamenti. “Le città divennero più grandi e meno accoglienti; più industriali e meno religiose; più ricche materialmente e più povere di rapporti umani e di amicizia cristiana; più intellettuali, ma religiosamente meno preparate. La ragione, sublimata oltre misura, cominciò a dubitare della fede e a criticarla, tanto che si affievolì, facendo calare molte pratiche religiose, comprese le Quarantore, che incisero sempre meno nella vita individuale e sociale. Resta comunque il fatto che, per oltre due secoli, questa devozione è stata al centro del culto eucaristico e un argine potente ed eccezionale per fronteggiare tempi di calamità, di divisioni e di lotte”. A chi si deve questo movimento così benefico? “Gli storici dicono che le radici dell’adorazione affondano nella consuetudine cristiana del digiuno e dell’astinenza praticati negli ultimi giorni della Settimana Santa, con l’adorazione della Croce e poi del Crocifisso da parte del Vescovo, del clero e dei fedeli: pratiche a cui si aggiunsero pian piano veglie di preghiera che iniziavano la sera del Giovedì Santo e si concludevano a mezzogiorno del sabato, nel triste pensiero del Sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da S. Agostino, rimase Quarantore. Il passaggio da questa forma liturgico-devozionale locale e particolare alla nota e classica forma dell’adorazione che lentamente assunse un carattere più popolare e universale con l’ininterrotta esposizione per Quarantore del Sacramento, avvenne a Milano nel decennio 1527-1537. Il cambiamento fu possibile innanzitutto per la religiosa disponibilità dei milanesi e poi per lo zelo di uomini che portarono contributi che si fusero e si arricchirono a vicenda, fino ad assumere la fisionomia che, salvo alcune particolarità, dura fino ad oggi. Il protagonista delle Quarantore fu il sacerdote ravennate Antonio Bellotti che nel 1527 (l’anno del disastroso Sacco di Roma) obbligò i devoti della scuola da lui fondata nella chiesa del Santo Sepolcro, a celebrare ogni anno le Quarantore non solo durante il triduo della Settimana Santa, ma anche a Pentecoste, all’Assunta e a Natale”. Iniziativa che si estese anche ad altre chiese milanesi dopo la sua morte (1528) e che il frate domenicano spagnolo Tommaso Nieto associò alle processioni che egli indisse nel 1529 per scongiurare la guerra e la peste che minacciavano la città. “A questo punto entra in scena Fra Buono da Cremona, un eremita amico dei barnabiti e soprattutto di S. Antonio Maria Zaccaria, loro fondatore. Nel 1534 egli chiese al duca di Milano Francesco II Sforza e al Vicario Generale Ghillino Ghillini, Vescovo di Comacchio, l’autorizzazione a poter esporre il Santissimo sopra l’altare per un’adorazione di quaranta ore ininterrotte. Pare, comunque, che la sua attività si confonda e confluisca nelle iniziative dell’amico S. Antonio Maria Zaccaria, dei suoi barnabiti e del cappuccino p. Giuseppe Piantanida da Ferno. Una cronaca del tempo racconta che nel 1537 alcuni homeni – i primi barnabiti e il loro fondatore – proposero di allestire un altare nell’abside del Duomo per esporvi «el Corpus Domini de continuo», idea caldeggiata dal predicatore quaresimalista e vivamente raccomandata al popolo”. La proposta fu accolta e le Quarantore si fecero a turno in tutte le chiese della città, cominciando da quella di Porta Orientale e terminando con quella di Porta Vercellina. “È certo che gli homeni di cui parla il cronista sono i barnabiti; certo anche, grazie a un’accurata indagine del gesuita Angelo De Santi, che il predicatore fosse davvero p. Giuseppe, per cui sembra giusto affermare con p. De Santi che «le circostanze storiche sembrano affratellare il santo fondatore dei barnabiti, i suoi religiosi compagni, l’eremita fra Buono e p. Giuseppe da Ferno…Tutti ebbero una parte veramente precipua nell’introduzione del turno incessante delle Quarantore a Milano nel 1537: lo Zaccaria come primo ispiratore; i suoi religiosi e fra Buono come esecutori attivi della rotazione delle chiese per il pio esercizio; p. Giuseppe come instancabile propagatore». Accertato questo, c’è da ammettere che le Quarantore sarebbero rimaste nei piccoli orizzonti cittadini se zelanti confratelli di p. Giuseppe non ne avessero fatto un evento prima italiano e poi europeo, divulgandole nelle loro predicazioni quaresimali, come riconosce lo stesso p. De Santi. «A p. Giuseppe da Ferno – egli scrisse – va data la gloria incontrastata di essere stato il primo a spargere per le città d’Italia la pia devozione, cominciando quell’anno stesso a Pavia; ed ai suoi compagni e discepoli e a tutto l’ordine dei Cappuccini deve riconoscersi il vanto d’esser stati, dopo di lui, i più ferventi, i più efficaci e i più fortunati promotori delle Quarantore». A loro, nella seconda metà del sec. XVI, si unirono i Gesuiti, cioè un altro istituto che si dedicava alla predicazione: i Barnabiti, votati all’educazione della gioventù, non potevano impegnarsi come un Ordine che faceva della predicazione itinerante un aspetto qualificante dei suo stile di vita”. Le prime regioni in cui si organizzarono le Quarantore furono l’Emilia (1546 a Bologna), le Marche (1542 a Recanati) e il Lazio (1548 a Roma). “Tra i diffusori si distinsero p. Francesco da Soriano nel Cimino (VT) che migliorò l’organizzazione e il cerimoniale e le diffuse in mezza Italia, rappacificando la gente, divisa da lotte fratricide; P Fulvio Androsio; p. Giovanni Battista d’Este († 1644) e p. Mattia Bellintani da Salò († 1611) che le introdusse in Francia e in Boemia, mentre p. Giuseppe de Rocabertí da Barcellona († 1584) le introdusse in Spagna. Altri religiosi le diffusero in Germania e nei Paesi Bassi, dove la gente le chiamava le «perdonanze dei Cappuccini»; poi in Svizzera, in modo che in poco più di un secolo si coprì tutta l’Europa, per passare l’oceano nella metà del sec. XIX, allorché il Vescovo Neuman le introdusse nella diocesi di Philadelphia. Il secondo Concilio di Baltimora le introdusse poi ufficialmente in tutti gli Stati Uniti, dove divennero «una preghiera universale notissima tra i cattolici»”.
Alla metà del ‘500 si inserirono nella predicazione delle Quarantore i Gesuiti con una novità che fece epoca. “Nel 1556 a Macerata essi contrapposero al carnevale profano un «carnevale santificato» con le Quarantore che si svolsero in modo fastoso, attirando molta gente. Fu l’inizio di una nuova impostazione che a Roma affascinò anche il Papa, immancabile nellìoratorio del Caravita l’ultimo giorno del triduo. Si trattava di Paolo III, colui che rilasciò il primo documento pontificio di cui si è parlato. Successive approvazioni vennero da Giulio III; Pio IV; San Pio V e Clemente VIII il quale, angustiato per le guerre di religione in Francia, con una sofferta Enciclica Graves et diuturnae del 25 dicembre 1592, esortò il popolo romano e il clero alla preghiera e volle che si celebrasse pubblicamente in tutte le chiese della città «l’orazione perpetua sine intermissione» delle Quarantore. Altre approvazioni e direttive vennero da Paolo V, da Urbano VIII, da Benedetto XIII, da Innocenzo XI e da altri Pontefici: si tratta di un coro di approvazioni, di incoraggiamenti e di concessioni di indulgenze per una pratica in cui la meditazione si alternava con la preghiera vocale, alimentando una religiosità che rivitalizzò le confraternite, ne fece sorgere di nuove, impegnate nell’insegnamento del catechismo, nella diffusione del culto eucaristico, nel promuovere rappacificazioni generali che in genere avvenivano in chiesa, «tra il pianto e la commozione di tutti»”. Si deve alle Quarantore la nascita di alcune manifestazioni di fede e di arte che segnarono la storia dell’umanità. “Da loro nacquero, infatti, processioni significative; forme di penitenza praticate per secoli; un’arte religiosa – il barocco – che iniziò a Roma con Sisto V verso la fine del ‘500 e che divenne subito popolare perché interpretò ed espresse una nuova sensibilità: esaltare il Cristo Eucaristico presente come Re nella Chiesa.
Esse favorirono anche una produzione letteraria religiosa che ebbe nei Gesuiti la massima espressione, perché essi volevano che i testi esprimessero una drammaticità e un movimento simili a quello che utilizzarono nell’architettura delle loro chiese”. Oggi le Quarantore vengono collegate alla Parola di Dio e alla Santa Messa, cioè stanno tornando a quell’esigenza di interiorità, di spiritualità, di adorazione e di semplicità che sta all’origine della stessa devozione. “Il Vaticano II nell’Eucharisticum mysterium dettò alcune norme per questa devozione, soprattutto nel senso che l’esposizione deve apparire in rapporto con la Celebrazione Eucaristica che «racchiude in modo più perfetto quella comunione intera alla quale l’esposizione vuole condurre i fedeli»”. Il beato Giovanni Paolo II nella Lettera Dominicae Cenae del Giovedì Santo 1980 (http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/documents/hf_jp-ii_let_24021980_dominicae-cenae_it.html) afferma: «L’animazione e l’approfondimento del culto eucaristico sono prova di quell’autentico rinnovamento che il Concilio si è posto come fine, e ne sono il punto centrale…La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo Sacramento d’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andarlo a incontrare nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione!».(G. Moroni, Dizionario di Erudizione Storico – Ecclesiastica…vol. LVI – 1852; Le Quarantore, Storia, Liturgia, Adorazione (Bibliotechina di cultura per il popolo) –Periodico mensile,  Marzo – Giugno 1936; AA.VV. La festa a Roma dal Rinascimento al 1870, a cura di Marcello Fagiolo. Vol.II,   articolo di Renato Diez – 1997; G. Heinz- Mohr, Lessico di iconografia Cristiana. 1984; Le Quarantore – “L’Osservatore Romano” edizione quotidiana del 2-3 maggio 2005 articolo di E. Picucci; Giovanni Paolo II, Lettera Dominicae Cenae del Giovedì Santo 1980).

Nicola Facciolini

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