“Le lesbiche non sono malate, il vero problema è l’accettazione di sé, dovuta a una lesbofobia interiorizzata, che ha come matrice l’omofobia diffusa”. Reagisce così Giordana Curati, vice-presidente nazionale di Arcilesbica e presidente della sezione napoletana dell’associazione, alla notizia – diffusa ieri da una testata on line – che per lo Stato le lesbiche sono “malate”, stando a quanto recita il modulo “Icd9-cm” del ministero della Salute, vale a dire l’elenco ufficiale delle patologie e dei traumi. Nel modulo si parla di “lesbismo egodistonico”. “In realtà – precisa la vicepresidente di Arcilesbica – il lesbismo non è definito una malattia ma è attribuito a un disturbo che riguarda la non accettazione della propria identità sessuale. Se è così, vuol dire che il vero problema è lesbofobia interiorizzata e che il disturbo è provocato a sua volta dalla cultura imperante nel nostro Paese, dove esiste un disturbo di tipo sociale delle persone che non accettano l’omosessualità”. Se l’omosessualità come malattia è stata cancellata dall’Organizzazione mondiale della sanità nel ‘93 e successivamente anche in Italia, lo stesso non vale, a quanto pare, per il “lesbismo egodistonico”, che ancora non ha recepito il nuovo modello internazionale delle malattie ufficiali, l’Icd10, dove non c’è più alcun riferimento in questo senso.
“Recepire il nuovo modulo è complicato – spiega Giordana Curati – Il vecchio parla specificamente di lesbismo perché non è un orientamento sessuale prevalente ma anomalo, per cui chi lo ha si suppone viva un disagio. L’anomalia non verrebbe agita socialmente se non ci fosse una cultura etero – orientata”. Il problema, dunque, è di pari dignità tra cultura etero e quella omosex? “Non solo: è anche un problema di pari trattamento, di tutela dei posti di lavoro, di contrasto al bullismo omofobico. In Italia c’è un continuo parlare un linguaggio omofobico”. Il problema, secondo la vice-presidente di Arcilesbica, è uguale dappertutto ma più grave al Sud. “Napoli non fa eccezione – dice – perché, nonostante sia tradizionalmente una città accogliente, per l’accoglienza verso gay e lesbiche non si può dire faccia differenza, anche se vi sono molte associazioni attive che si battono per i loro diritti. La pervasività dell’omofobia rende impossibile definire qualsiasi città del Sud accogliente, anzi: qui è più grave perché l’omofobia ha la stessa matrice del maschilismo, appartiene a una società patriarcale, che condanna gli atteggiamenti omosessuali. Una società per la quale un gay scende di livello, non ha un valore”.
Ida Palisi
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