“La grande e ineludibile sfida che abbiamo oggi davanti è nel veder la politica in Italia risollevarsi dall’impoverimento culturale che ne ha segnato la decadenza”(Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana). Rendiamo onore ai Martiri della Resistenza e della Libertà, festeggiamo insieme il 67° anniversario del 25 Aprile 1945, la Giornata della Liberazione degli Italiani dal regime fascista e dalle truppe naziste. Una data indelebile scolpita nei nostri cuori e nelle nostre menti, che deve essere vissuta e partecipata da tutti come una Festa Nazionale. Una festa essenzialmente antifascista, come ci ricordano gli amici dell’Associazione Nazionale Partigiani (ANPI), una festa che va vissuta da antifascisti qual siamo e dichiariamo di essere in un’epoca dove la follie del nazifascismo ritornano a scoppiettare nelle menti apparentemente “normali” dei giovani europei (strage di Utoya-Oslo AD 2011). “L’ANPI fa appello a tutte le italiane e a tutti gli italiani affinché – si legge nella nota ufficiale – il 25 Aprile scendano nelle piazze a festeggiare la Liberazione, a ritrovarsi uniti e appassionati attorno alle radici autentiche della nostra democrazia e del futuro: Antifascismo, Resistenza, Costituzione. Raccontarle a chi non sa o ancora non vuol sapere, ai distratti, agli indifferenti, a chi non smette di strumentalizzare questo giorno facendone mero strumento di cieca e violenta propaganda. Vi è stato chi ha attaccato la nostra Associazione e il suo Presidente Nazionale, con argomenti infondati e inaccettabili e addirittura con insulti e accuse di “fascismo” su una specifica questione politica fino a sostenere che non dovremmo celebrare la festa del 25 Aprile: facciamola quindi più grande e più partecipata per ribadire con forza la nostra volontà di contribuire al “riscatto” del Paese e il significato profondo della guerra di Liberazione e della inedita partecipazione di tanta parte del popolo italiano”.
L’ANPI ricorda che “l’unità di forze diverse tra loro, con un impegno e una generosità straordinari, condusse il Paese fuori dal baratro della dittatura nazifascista, inaugurando una stagione di grande entusiasmo e rigenerazione civili, destinata ad approdare ad una Costituzione tra le più avanzate del mondo. E cerchiamo di ritrovare quell’impulso, quel prendersi per mano, con fermezza e intelligenza, per intraprendere sentieri comuni, imprescindibili”. In questa festa nazionale bisogna ricordare “i partigiani, forti di cuore e di coraggio, forti di amor di Patria e di sogno: democrazia e socialità, col concorso responsabile di ognuno, ogni giorno. Ricordiamo la loro aspirazione più profonda alla pace, al dialogo, all’uguaglianza, alla giustizia. Prendiamoci cura della memoria di queste donne e uomini della libertà, teniamone in vita virtù e tensione morale, difendiamoli dal revisionismo, dalla strumentalizzazione e dall’indifferenza”. Il Comitato nazionale dell’ANPI invita a ricordare “i tanti militari che dissero NO al fascismo risorto dopo l’8 settembre 1943 e per questo pagarono il prezzo altissimo e tragico della deportazione e della morte. Ricordiamo tutti coloro che vollero resistere alla sopraffazione, anche senz’armi: la nostra Repubblica è fondata sul loro sacrificio. Ricordiamo il contributo del popolo, che tanto diede ai partigiani, nutrendoli, offrendo loro un riparo, un conforto; spesso restando nell’anonimato e correndo pericoli gravissimi per sé e per le proprie famiglie. Portiamo in piazza le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”, leggiamole, facciamole conoscere, sono il miglior antidoto all’imbarbarimento politico e sociale. Portiamo in piazza la parte migliore dei cittadini; quella che non cede al disincanto e alla indifferenza, quella che è ancora capace di indignarsi di fronte alla decadenza morale ed alla corruzione diffusa; quella che aspira ad una democrazia vera, fatta di uguaglianza e socialità. Quella che vuole portare avanti i sogni, le speranze, le attese di tutti coloro che combatterono e si impegnarono per la libertà. Sarà così una grande festa di popolo, in cui la memoria si unirà alla riflessione, all’impegno antifascista, alla volontà di uscire dalla crisi con un avanzamento generale della nostra società e della democrazia, nella riaffermazione dei valori di fondo della Resistenza e della Costituzione”. Vanno ascoltati i continui richiami del Capo dello Stato al rispetto della memoria storica di tutti i Patrioti, della responsabilità istituzionale e del senso comune della Patria rinata sull’isola di Cefalonia ove perirono per mano dell’esercito tedesco (non delle SS), in nome della Civiltà e della difesa dell’Italia, migliaia di soldati (Patrioti in stellette) italiani all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre 1943; e sulla gloriosa corazzata “Roma” affondata nel tratto di mare della Sardegna compreso tra l’estremità settentrionale dell’Asinara e le Bocche di Bonifacio, al largo di Castelsardo, alle ore 15:59 del 9 settembre 1943, dopo soli 12 minuti dall’inizio dell’attacco.
Quando si compì il tragico destino della corazzata “Roma” affondata dagli aerei tedeschi mentre navigava scortata dal gruppo navale salpato da La Spezia. Morirono 1393 marinai, tra cui 2 ammiragli e 86 ufficiali d’equipaggio, i superstiti furono 620. La “Roma” fu attaccata da 15 bombardieri tedeschi, con un nuovo tipo di bombe-razzo “intelligenti” radiocomandate FX-1400 sganciate da grande altezza. Insieme alla corazzata ammiraglia, colarono a picco i due cacciatorpediniere “Da Noli” e “Vivaldi”. La sua agonia fu documentata con una serie di foto scattate dall’incrociatore “Attilio Regolo”. L’affondamento della “Roma” non fu solo un deliberato atto di vendetta dei tedeschi per il presunto “tradimento italiano”, ma la conseguenza di un piano per salvare lo Stato e la monarchia sabauda, elaborato dallo Stato Maggiore della Marina e rimasto segreto per anni. Furono i primi atti eroici della Resistenza attiva delle nostre Forze Armate. Che, benché non coordinati, nel caos dell’Armistizio dell’8 settembre, contribuirono insieme ai nostri Partigiani sul territorio, a rendere immortale il messaggio della difesa del suolo patrio dall’invasore. Il 25 Aprile, festa nazionale degli Italiani, vuole essere il richiamo ai valori della Resistenza, attiva e silenziosa, ai valori della Patria, della Nazione e della Libertà che si incarnano nel percorso democratico deciso, voluto e difeso dagli Italiani nelle tre date storiche del 25 Aprile 1945, del 2 Giugno 1946 e del 18 Aprile 1948. Abbiamo sconfitto insieme i misfatti del nazismo e del fascismo in Italia, in Europa e nel mondo, ristabilendo definitivamente la realtà e la verità storiche, a cominciare dall’influenza decisiva delle truppe angloamericane, dalla presenza attiva e costante della Chiesa Cattolica Romana (con almeno due sacerdoti-martiri nel Teramano che ancora attendono giustizia, memoria e preghiera!) che diede aiuto e rifugio ai nostri Patrioti Partigiani, ai perseguitati di tutte le fedi politiche, a molti Ebrei perseguitati, esercitando un ruolo umanitario essenziale per la pacificazione mondiale. “A Montorio al Vomano – rivela don Giovanni Saverioni, sacerdote aprutino, in una nostra intervista sulla Liberazione della Città di Teramo – vi fu l’accanimento del partigiano yugoslavo Mirko Jovanovic contro i preti, a dimostrazione dell’esistenza di una lotta parallela anticlericale: era fuggito in Italia e si era unito ai patrioti contro i nazifascisti. Mirko uccise due sacerdoti: don Salvatore d’Ovidio, parroco di Poggio Umbricchio, e don Gregorio Ferretti di Collevecchio. Fu l’amico Ammazzalorso a raccontarmi questi fatti e non credo che l’avrebbe fatto se non fossero stati veri e autentici.
Ora, un prete di campagna non parteggia per nessuno in guerra: mi domando ancora, a distanza di 67 anni, perché mai furono uccisi quei due sacerdoti, se non per l’odio viscerale dei comunisti verso la Chiesa cattolica. Noi preti davamo da mangiare e da bere a tutti. Certo volevamo tutti la liberazione e la libertà. Non si può dimenticare il contributo di sangue dei nostri Patrioti alla causa: è vivo il ricordo del martire Mario Capuani e di tanti altri che versarono il loro sangue per la nostra libertà. Ma le vendette successive alla liberazione di Teramo, furono un’infamia. Una volta – prosegue don Giovanni Saverioni – nella casa di mio zio Raffaele, Ammazzalorso mi disse:<Io non sono comunista, sono socialista!>, per indicare che lui quelle cose non le faceva. Ma io non capii subito la differenza perché non sapevo nulla dei partiti politici, solo che il Papa aveva condannato il marxismo. Durante il Ventennio, infatti, non si poteva parlare di partiti: o eri fascista o eri morto. I libri sui partiti venivano custoditi in cantina”. Dunque, non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo negare ed affossare la verità storica: la guerra fu vinta da coloro che sconfissero la brutalità dell’oppressione nazi-fascista ed affermarono con il sacrificio della propria vita la conseguente necessità e urgenza di combattere il male per la liberazione e la libertà. Ma è altrettanto necessario ricordare che accanto alle vittime del nazifascismo ci furono molte vittime della violenza civile (molti sacerdoti cattolici vennero uccisi dai partigiani, anche in provincia di Teramo, con accuse infamanti di collaborazionismo) sulle quali c’è un colpevole silenzio durato anche troppo. Questa memoria piena, lunghi dal voler essere qualificata come “revisionista”, finalmente deve portare alla comprensione del sacrificio di tutti coloro che attivamente e passivamente operarono nella Resistenza. Soprattutto quando si tratta di vittime come quelle cadute tra il ’45-’48, cioè a guerra finita. Fatti sui quali la storiografia ufficiale ha preferito glissare nelle scuole e nelle università pubbliche, finanche nelle Istituzioni della Repubblica, con colpevole dimenticanza ed appoggio politico trasversale. Occorre riflettere sul ruolo, sulle azioni e sulle motivazioni di alcuni partigiani comunisti non italiani, che combatterono il nazifascismo non certo per instaurare la libertà in Italia, bensì un regime “internazionalista” sovietico, grazie alla presenza tra le fila partigiane comuniste, inquadrate sul modello dell’Armata Rossa, della figura del commissario politico. Chi ricorda i Partigiani e i Patrioti cattolici? Il 25 Aprile è la data di nascita della democrazia della nuova Italia, che con la Repubblica e la Costituzione gettò le basi del proprio radicale cambiamento istituzionale e civile. Dal collasso dello Stato nel 1943 prese l’avvio un complesso movimento di opposizione al nazifascismo: i partigiani della Resistenza armata, i militari combattenti delle risorte Forze Armate, i militari internati della “resistenza senz’armi” e la popolazione civile. Questo vasto schieramento, con il determinante apporto degli Alleati anglo-americani, riuscì ad abbattere gli oppressori, a cacciare gli occupanti dall’Italia, a ricostruire nel Dopoguerra la convivenza civile e democratica. Furono la Patria ed il Patriottismo ad animare gli Italiani che si batterono per il riscatto nazionale e la rinascita dell’Italia nella libertà e nella democrazia, preservate nel Patto Atlantico (la NATO, altro che “relitto della guerra fredda” come proferito dal Presidente Putin, alcuni giorni fa, alla Duma) durante gli anni della “cold war” Usa-Urss nel reciproco timore di un improvviso olocausto termonucleare. Resta intatto nel nostro cuore il debito di riconoscenza verso tutti gli artefici della nostra salvezza.
Il nostro memore pensiero va ai caduti ed alle vittime, combattenti e civili, della guerra di liberazione, ai Martiri ed agli eroi che pagarono con la vita la fedeltà alla causa e al giuramento militare. Il 25 Aprile 1945 restituì agli Italiani la dignità e la capacità di decidere per il proprio futuro. L’anniversario che celebriamo non è una semplice festa di paese ma costituisce una tappa fondamentale della nostra storia ed un monito severo a preservare a qualsiasi costo i valori fondamentali dell’uomo, della persona e della società occidentale, oggi e sempre. Una data che per gli Abruzzesi tutti, assume un significato particolare insieme a quella dell’anniversario della battaglia di Bosco Martese del 25 Settembre 1943 (Teramo). Le iniziative previste dalle celebrazioni del 25 Aprile assumono un significato molto importante in quanto nel 2005 la Provincia di Teramo è stata insignita della Medaglia d’Oro al Valor Civile per la Resistenza e, nelle motivazioni ufficiali del riconoscimento, è espressamente citata la battaglia di Bosco Martese. La località di Bosco Martese è posta a 1.134 metri sul livello del mare e si trova in località Ceppo di Santa Maria, nel punto terminale della strada che unisce Teramo alla Valle Castellana. Tantissimi furono i giovani che, sprezzanti del pericolo, offrirono la vita per liberare Teramo dalle truppe d’occupazione nazifasciste. Tanti furono gli uomini e le donne a cui le generazioni successive alla guerra di liberazione devono la loro attuale libertà e la possibilità di vivere in una nazione libera. L’Europa deve eterna riconoscenza alle truppe alleate, ai giovani soldati americani, inglesi, indiani, canadesi, russi e australiani, morti per una giusta causa, ma ancora non ricordati espressamente nelle commemorazioni ufficiali, con alcune lodevoli eccezioni nel territorio nazionale. Essi lottarono per la sconfitta militare e politica dei fascisti e dei nazisti con l’eliminazione della macabra ideologia che ha portato al tentativo di sterminio totale di esseri umani ritenuti “non puri”: oltre sei milioni di donne, uomini, giovani, vecchi e bambini uccisi nei campi di sterminio europei, colpevoli solo di essere Ebrei, e altrettanti milioni di non Ebrei. Il comando delle operazioni militari partigiane di massa in Bosco Martese, venne affidato ad uno Stato Maggiore composto dal capitano Lorenzini, dal tenente Gelasio Adamoli, dal tenente colonnello Guido Taraschi, dal tenente Arnaldo Di Antonio, dal tenente di vascello Ciro Romualdi, dal tenente Francesco Di Marco. Il responsabile fu Ettore Bianco, capitano dei carabinieri regi della Stazione di Teramo. Tra il 9 e il 14 Settembre 1943 furono disposte le tende dell’accampamento, vennero inquadrate le formazioni, si installarono le mitraglie Saint Etienne, i pezzi di artiglieria pesante…Bosco Martese è sicuramente il simbolo della Resistenza Abruzzese ma anche e soprattutto la prima tappa gloriosa della Resistenza Italiana. Dopo Cefalonia, dopo la corazzata “Roma” e l’episodio di Porta San Paolo che furono “atti” di Resistenza attiva del Regio Esercito e della Regia Marina Italiane, il 25 Settembre del 1943 ad Ara Martese, successivamente denominato Bosco Martese, fu vinta la prima battaglia campale della Resistenza Italiana, grazie anche ai Carabinieri di Teramo, nei confronti di una colonna motocorazzata dell’esercito tedesco che da Foggia cominciava a risalire il territorio per occuparlo.
A Bosco Martese ci fu una grande unità d’intenti tra persone di fede politica diversa. Esso ebbe un carattere “nazionale” in quanto si unirono uomini e donne il cui unico intento era quello di combattere gli occupanti nazisti per riconquistare la libertà e difendere l’interesse nazionale dell’Italia. Una città intera, Teramo, che decise di passare alla lotta contro l’invasore tedesco diventando un laboratorio con in embrione quelle caratteristiche che faranno forte e matura la Resistenza dell’Italia del nord. Il 25 Aprile ricordiamo anche l’eccidio della Divisione Acqui: migliaia di soldati italiani uccisi a sangue freddo per essersi rifiutati, nonostante il caos dell’8 settembre 1943, di consegnare le armi alla Wehrmacht. Commemoriamo i nostri connazionali barbaramente trucidati a Cefalonia e sulla corazzata “Roma”, per difendere con orgoglio l’onorabilità dei nostri militari che, ieri come oggi, hanno tenuto fede al Giuramento prestato, sacrificando la loro stessa vita per la Libertà. Come hanno sempre fatto. E come fanno oggi, sempre nel solco dei valori resistenziali, sotto l’egida delle Nazioni Unite e della NATO, nelle missioni di Pace in tutto il mondo a difesa della civiltà, della libertà e della democrazia dei popoli oppressi. Valori tradotti nella cinematografia moderna in capolavori come “Avatar” di James Cameron, simbolo di lotta per la libertà dei popoli nativi. “Avatar ha luogo in un mondo distante – ci ricorda il regista canadese – ma è veramente sul pianeta miracoloso che abbiamo qui con noi che è arrivato il momento di prendere una posizione e diventare guerrieri della Terra”. Non solo su Pandora del sistema solare Alpha Centauri. Anche per James Cameron è urgente una “chiamata alle armi” per salvare il pianeta Terra dall’autodistruzione. Oggi, infatti, prendere posizione in difesa della protezione dell’ambiente naturale, dalla Cina al Brasile, può fare la differenza tra la vita e la morte di miliardi di persone. Il kolossal ha creato una risposta emotiva nei popoli nativi di tutto il mondo, non soltanto tra gli ambientalisti e gli ecologisti. “È interessante davvero che le persone vedano la loro realtà riflessa nel film – fa notare Cameron – e spero che Avatar contribuisca a smitizzare l’idea promossa dalle lobbies che sia necessario scegliere tra un’economia forte e l’ambiente. È ridicolo. La Natura sta raggiungendo i suoi limiti. E la nazione che diventerà leader nelle energie rinnovabili guiderà il mondo tra dieci o vent’anni e stando alle proiezioni quel paese sarà la Cina”. Due anni fa l’Europa è stata messa in ginocchio da una nuvola minacciosa prodotta dall’eruzione di un lontano vulcano ghiacciato islandese.
Nulla in confronto a quello che ci aspetta. Salvare il pianeta Terra, oggi è un “atto” di Resistenza, di Pace, di Libertà, di Giustizia, di Scienza e di Verità: è questo il messaggio della Giornata Mondiale della Terra (http://www.giornatamondialedellaterra.it/). Tuttavia, non ha più alcun senso, nella festa del 25 Aprile, strumentalizzare i sacrosanti valori e principi costituzionali della Resistenza (magari, e in abominio, svendendo il prezioso sangue dei nostri Patrioti, sacerdoti cattolici compresi, che hanno donato la vita per la nostra Libertà) sull’altare di interessi politici particolari, di segreteria, di bottega, di potere, di arrivismo, trasformando la Festa della Liberazione di tutti gli Italiani in un “pozzo avvelenato” della vita democratica. Non è assolutamente giusto e, per questo, invitiamo tutte le Istituzioni a vigilare attentamente. Perché nuovi “tribuni” del popolo e nuovi pifferai magici, niente affatto democratici, potrebbero spuntare come funghi, promettendo la salvezza! La mobilitazione della piazza va indirizzata alla risoluzione della grave crisi economica che attanaglia il mondo e non solo l’Italia; alla lotta contro ogni forma di terrorismo e di guerra come mezzo per la risoluzione delle crisi e delle controversie territoriali e internazionali; alla conquista della Pace con i mezzi e i valori della Persona, della Solidarietà, della Sussidiarietà e della Reciprocità, che sono principi umani universalmente condivisibili. Molti Paesi non democratici e molte ideologie alimentati dal terrorismo integralista organizzato di matrice fondamentalista, certamente non amano la Democrazia e la Pace che oggi noi Italiani custodiamo in quello scrigno prezioso che è la nostra Carta costituzionale. Di fronte alle grandi emergenze ambientali (catastrofi sismiche e vulcaniche mondiali) dimostriamo al mondo intero di che cosa siamo capaci. Il fronte antigovernativo, le mafie e le relative lobbies, tuttavia, allontanano “la meglio gioventù” dalla Politica e dalle Istituzioni democratiche: come ispirarsi a quei valori sacrosanti della Resistenza e della Costituzione repubblicana, dimenticando l’esempio dei più saggi? Il rischio è proprio quello di una totale “abdicazione” dalla realtà e dalla verità storica e, soprattutto, dal futuro del Paese reale. “Il 25 Aprile, festa della Liberazione – dichiara il Presidente Giorgio Napolitano – ritroviamo le forze migliori della nazione impegnate a perseguire gli stessi grandi obbiettivi ideali: libertà, indipendenza, unità. Perché quei valori già affermatisi attraverso il moto risorgimentale e sanciti con la nascita dello Stato nazionale italiano, dovettero essere a caro prezzo recuperati fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945.
Fu necessario riconquistare con le nostre forze – cooperando con gli eserciti alleati, senza attenderne passivamente i decisivi successi – le libertà negate dal fascismo, l’indipendenza violata dall’occupazione e dal dominio nazista, l’unità di un’Italia divisa in due. E ci si riuscì grazie ai militari delle Forze Armate, primi ad iniziare la lotta di Liberazione, già all’indomani del fatale 8 settembre del ‘43; ci si riuscì grazie al confluire di tante forti e giovani energie nelle formazioni partigiane e nel Corpo Italiano di Liberazione; ci si riuscì grazie a quella partecipazione, in molteplici forme della popolazione, e grazie, dovunque e comunque, al coraggio di uomini liberi. La nostra storia comune – prosegue il Capo dello Stato – deve nutrirsi di questi esempi di coerenza e fierezza morale, di rinato, limpido amor di patria; e deve fondarsi anche sulle vicende vissute in tanti luoghi, in tanti piccoli Comuni che continuano a ricevere dalla Repubblica sia pur tardivi riconoscimenti per aver dato apporti preziosi alla causa della Liberazione”. Il Presidente Napolitano ha definito il 25 Aprile festa non solo della Liberazione ma della Riunificazione d’Italia. “E non c’è dubbio che in effetti riunificazione vi fu, dal punto di vista nazionale e statuale, su basi democratiche, anche se è stato necessario un tempo ben più lungo, fino ad anni recenti, per rimarginare le ferite riconducibili ad una dimensione di guerra civile che si intrecciò con quella, fondamentale, di guerra di Liberazione. Ma anche lo sforzo compiuto in questo senso ha dato i suoi frutti: rendendo possibile la più larga condivisione della giornata celebrativa del 25 Aprile”. Il Capo dello Stato ha più volte sottolineato “l’esperienza rigeneratrice della Resistenza” come “risposta a colpi durissimi e a rischi estremi vissuti dalla nazione”, poiché “dalla memoria e dalla viva consapevolezza di prove come quella possiamo trarre la fiducia indispensabile per affrontare le sfide di oggi e del futuro. La complessità di queste sfide e delle incognite che vi si accompagnano, la difficoltà dei problemi che già ci si pongono e ci incalzano, richiedono un nuovo senso di responsabilità nazionale, una rinnovata capacità di coesione, nel libero confronto delle posizioni e delle idee, e insieme nella ricerca di ogni possibile terreno di convergenza. È nell’interesse comune che dal richiamo del 25 Aprile, degli anni della Resistenza, della ricostruzione democratica e del rilancio economico, sociale e civile dell’Italia, dal richiamo a quelle grandi prove di impegno collettivo, venga lo stimolo a tener fermo quel che ci unisce e deve unirci come Italiani”. Il Presidente Napolitano parla “del lascito della Resistenza, dell’eredità di quell’Assemblea Costituente che sull’onda della Liberazione nacque insieme con la Repubblica. Rendiamo così omaggio a coloro che combatterono e caddero sognando un’Italia libera, prospera e solidale, non più fatalmente lacerata, capace di rinnovare e rafforzare le basi della sua unità”. Il 25 Aprile è la festa delle Associazioni Combattentistiche, Partigiane e d’Arma, e dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra.
“La Festa della Liberazione – afferma il Capo dello Stato – richiama alla nostra mente l’idea del compimento di un’opera, del termine di un percorso: la riconquista – per l’Italia – della libertà, dell’indipendenza e dell’unità, a fondamento della rinascita della democrazia”. Il Presidente Napolitano invita gli Italiani a guardare al 25 Aprile 1945 in una prospettiva più ampia ed attuale. “Siamo dinanzi a un nuovo prorompere delle istanze di libertà e di giustizia in regioni a noi vicine e comunque importanti per le sorti della comunità internazionale: dall’Africa al Medio Oriente. Sono improvvisamente insorti, e tendono a svilupparsi, moti di ribellione contro regimi oppressivi e dittature personali, con il loro contorno di privilegi e corruzione. Si rivendica in sostanza, anche sfidando sanguinose repressioni, il rispetto di quei diritti che le Nazioni Unite sancirono come universali nella solenne Dichiarazione del 1948 e che anche nel mondo diviso in blocchi si riuscì a riaffermare nell’Atto di Helsinki del 1975, destinato a divenire una delle leve essenziali per l’esplodere delle rivoluzioni democratiche nei paesi dell’Europa centro-orientale. Oggi ci interroghiamo, in Europa e in tutto l’Occidente, sulla possibilità di rivoluzioni o evoluzioni democratiche nel mondo arabo, fatto senza precedenti e carico di potenzialità straordinarie”. E le previsioni non sono facili. “Né è semplice il compito che può spettare a paesi come il nostro. Ma ciò non toglie che sentiamo – in particolare noi Italiani nel ricordo delle lotte di liberazione e del 25 Aprile – di non poter restare indifferenti di fronte al rischio che vengano brutalmente soffocati movimenti comunque caratterizzati da una profonda carica liberatoria. Non potevamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi in Libia: di qui l’adesione dell’Italia al giudizio e alle indicazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e quindi al piano di interventi della coalizione postasi sotto la guida della NATO”. Cui è seguito l’ulteriore impegno dell’Italia in Libia che costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a metà marzo 2011, secondo la linea fissata nel Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal Capo dello Stato e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento. “Naturalmente sappiamo bene come ai problemi di fondo che si pongono nei paesi dell’area africana e mediorientale lo strumento militare non può dare l’insieme delle risposte necessarie. Si richiede – da parte delle organizzazioni internazionali, dei paesi più avanzati e in modo particolare dall’Europa – uno sforzo consapevole, concreto e conseguente per concorrere alla crescita economica e al riscatto sociale cui aspirano i popoli dell’intera regione mediterranea”.
Ovviamente sarebbe tutto molto più semplice se, formalmente istituiti, finalmente operassero coesi gli Stati Uniti d’Europa. “Occorre in questo senso davvero una svolta, mancando la quale non potrebbero consolidarsi le prospettive di evoluzione nella libertà e verso forme di governo democratico nei paesi investiti dai recenti sollevamenti popolari, e finirebbero inoltre per subire gravi contraccolpi paesi dell’Unione Europea come l’Italia. La risposta di fondo al rischio di flussi migratori disperati e convulsi verso le nostre sponde, per il Presidente Napolitano sta in un fattivo, forte impegno di cooperazione allo sviluppo dei paesi delle sponde Sud ed Est del Mediterraneo. “Dobbiamo portarci all’altezza delle nostre responsabilità come mondo più sviluppato e ricco, mostrare lungimirante generosità, essere non solo coerenti con principi e valori di solidarietà, ma capaci di comprendere quale sia il nostro stesso interesse guardando a un futuro che è già cominciato. Nulla sarebbe più miope, meschino e perdente, del ripiegamento su sé stesso di ciascuno dei paesi membri dell’Unione Europea. Ciascuno dei nostri paesi ha un avvenire solo se scommette sull’unità dell’Europa, e sull’assunzione delle responsabilità che ci competono in un mondo così fortemente cambiato e in via di cambiamento”. È questo il cuore del 25 Aprile. “Questo è in realtà l’autentico significato della partecipazione dell’Italia e delle sue Forze Armate alle missioni internazionali nelle aree di crisi, nel nome della sicurezza comune e della pace, contro la minaccia e le trame destabilizzanti del terrorismo, e contro negazioni sistematiche dei diritti umani.
Il contributo alle missioni dell’ONU, della NATO, dell’Unione Europea ha posto in luce l’alta sensibilità e la qualità operativa – insieme con lo spirito di sacrificio, cui rinnovo il mio omaggio – dei nostri militari, ha dato nuovi titoli di credito all’Italia nella comunità internazionale, e va perciò valorizzato e sostenuto. Questo impegno delle Forze Armate è parte di una più generale visione che l’Italia è chiamata a coltivare, attraverso la sua collocazione europea e la sua politica estera, e attraverso tutte le forme della sua presenza nel mondo: una visione che rifiuta ogni pericoloso ripiegamento su ristretti, anacronistici orizzonti e approcci nazionali”. Per diffondere nelle nuove generazioni e tra tutti i cittadini il riconoscimento del ruolo delle Forze Armate e dello strumento militare, e per rendere evidente e condivisa quella visione generale dell’interesse nazionale e dell’interesse europeo, ormai tra loro inscindibili, che ispira, che non può non inspirare le scelte dell’Italia – il Presidente Napolitano intende fare “affidamento, lasciatemelo dire, sull’opera vostra, sull’opera appassionata delle Associazioni combattentistiche, partigiane e d’arma riunite per celebrare il 25 Aprile, il grande giorno della Liberazione del nostro paese”. In ultima analisi, proprio su quei valori e principi costituzionali del 25 Aprile, che sono intimamente antifascisti, su cui si fonda l’unità nazionale e, quindi, le Istituzioni democraticamente elette. Palmiro Togliatti nel dicembre 1945 ebbe a dichiarare:“Ricorderemo in eterno i soldati e gli ufficiali inglesi, degli Stati Uniti, della Francia, dell’Africa del Sud, dell’Australia, del Brasile, i quali hanno lasciato la loro vita o versato il sangue loro per la liberazione del suolo della nostra patria”. Parole che ancora in molti sul territorio italiano non sono in grado di pronunciare; che ancora attendono, dopo 67 anni, la giusta considerazione, il dovuto ricordo, l’imperitura memoria, accanto ai nomi dei nostri Patrioti che hanno versato il sangue nella lotta all’invasore nazista. Il 25 Aprile sia, dunque, una Giornata di festa per tutti, di mobilitazione generale, in difesa dei valori della Costituzione sul cui giuramento è fondata la nostra Libertà. Una festa non per l’odio ma per la Pace. L’obiettivo sia chiaro. Si risveglino le coscienze dei giovani ai valori della Resistenza, della Pace, della Libertà, della Giustizia, colonne portanti della Patria, della Nazione e della Costituzione che dobbiamo preservare e difendere, oggi e sempre, da qualsiasi invasore futuro. Viva il 25 Aprile, Viva la Resistenza, Viva le Forze Armate, Viva la Libertà, Viva l’Italia!
Nicola Facciolini
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